Federico Batini (a cura di)
La lettura ad alta voce condivisa
DOI: 10.1401/9788815410238/c3
Se nell’ambito degli studi letterari si tende a pensare che la realizzazione acustica di un’opera letteraria non faccia parte della struttura dell’opera [Schaeffer 2015, 96], osservando il fenomeno dal punto di vista dell’esperienza estetica
{p. 113}dobbiamo ammettere che la voce, la situazione comunicativa e i modi stessi dell’ascolto diventano inseparabili, e che la loro interpretazione è dunque pertinente e necessaria alla comprensione del fenomeno.
Per indicare la pratica dell’ascolto condiviso di testi scritti si ricorre al concetto di auralità [Batini 2022, 22], a sottolineare l’importanza assegnata al suono della voce e quindi all’udito come canale privilegiato di accesso al dispositivo testuale e all’esperienza estetica. Gli studi sulla voce umana [Albano Leoni 2022] e sul rapporto tra voce e linguaggio [Zumthor 1983; Bologna 2022] hanno descritto puntualmente la capacità straordinaria della voce di stabilire un contatto, di manifestare i significati e di agire sugli altri, dando «corpo e consistenza fisica a ciò che vogliamo dire quando parliamo o a ciò che vuole dire il nostro interlocutore quando ascoltiamo» [Albano Leoni 2022, 57]. La voce, che esiste solo nel momento dell’ascolto, preesiste al linguaggio ed è il segno distintivo dell’umano che si manifesta con la sua storicità nel mondo naturale:
Prima ancora che il linguaggio abbia inizio e si articoli in parole per trasmettere messaggi nella forma di enunciati verbali, la voce ha da sempre origine, c’è come potenzialità di significazione e vibra quale indistinto flusso di vitalità, spinta confusa al voler dire, all’esprimere, cioè all’esistere. La sua natura è essenzialmente fisica, corporea; ha relazione con la vita e con la morte, con il respiro e con il suono; è emanata dagli stessi organi che presiedono all’alimentazione e alla sopravvivenza [Bologna 2022, 35].
Poi, dal momento che inizia la lettura, facendosi tramite della storia e dispositivo in grado di innescare l’esperienza estetica, la voce che si fa linguaggio e che, grazie alle variazioni di ritmo, di volume e di intonazione [Albano Leoni 2022, 59], significa più del linguaggio stesso, dà vita a uno spettacolo di cui sono protagonisti l’esecutore, l’ascoltatore e il testo, tutti compresenti e necessari. Chi ascolta – afferma Zumthor [1983; trad. it. 1984, 293] – contribuisce alla produzione dell’opera in esecuzione, «è un ascoltatore-autore, appena un po’ meno autore di quanto lo sia l’esecutore».{p. 114}
Nello spettacolo dell’esecuzione orale, inoltre, la presenza di una voce che pronuncia il testo, diversamente da quanto accade con la lettura silenziosa di un testo scritto, «non sollecita l’interpretazione», «sospende l’azione del giudizio» e, in definitiva, assume un valore «politico» poiché «proclama l’esistenza di un gruppo sociale, ne rivendica (senza chiedere il suo parere) il diritto di parola, il diritto di vivere» [ibidem; trad. it. 1984, 293]. L’esecuzione, in quanto pratica che unifica e unisce, assume un valore in sé e dà valore al momento stesso della fruizione, conferendo a chi ascolta un ruolo attivo. Grazie alla possibilità di abbandonare il gruppo in ogni momento e di non partecipare, chi è invitato ad ascoltare ha la libertà e il potere di contribuire o meno all’esistenza di una storia e alla fondazione di una comunità.
Se la lettura è sempre intersoggettiva, una «esperienza unicamente umana di collaborazione» [Husvedt 2012; trad. it. 2014, 111], l’ascolto di una lettura ad alta voce – in quanto condivisione di storie che potremmo definire finzionali [Castellana 2019, 27-36] e che mettono in scena eventi che non fanno direttamente riferimento alla vita di chi racconta o di ascolta – è una pratica sociale che ricopre una fondamentale funzione comunitaria, che almeno da questo punto di vista è assimilabile alla condivisione di storie orali:
È la funzione più propriamente connessa alla dimensione relazionale della narrazione. Se narrare è mettere una storia in comune, questa funzione corrisponde a ciò che di più elementare la narrazione presuppone e produce: l’appartenenza reciproca, il senso di una condivisione [Jedlowski 2022, 199].
La compresenza di narratore e destinatario, la presenza della voce e il ruolo decisivo dell’ascolto concorrono alla realizzazione di una particolare comunità narrativa, un gruppo di persone che, «accettando di essere unite fra loro da un dono», «riconoscono reciprocamente la propria dipendenza» e – ricorrendo ancora alle parole di Jedlowski [2009, 33] – «riconoscono così la propria incompiutezza, la parzialità di soggetti che non si appartengono interamente e che per compensare questa incompiutezza dipendono gli uni dagli altri».{p. 115}
Mettere in comune storie – che nel caso della nostra lettura ad alta voce condivisa sono mediate dall’industria editoriale e, più specificamente, dal corpus della letteratura per l’infanzia – produce di per sé un’esecuzione dopo l’altra, una comunità fondata sull’ascolto reciproco e sulla condivisione di suoni, immagini, parole, personaggi, schemi di storia e, anche, di mondi possibili, la cui co-creazione, che è assolutamente individuale e originale, incarnata in ciascun partecipante, avviene contemporaneamente nello stesso luogo e consente di illudersi che davvero ciascun partecipante stia andando provvisoriamente ad abitare in un altrove in cui è possibile – grazie al semplice ascolto di una voce – simulare la stessa esperienza, compiere il medesimo viaggio, che quanto più sarà significativo tanto più contribuirà a consolidare un legame, a dare l’impressione che sia davvero possibile compiere almeno un tratto di strada insieme.

5. Libri, opere, storie

L’ascolto della lettura ad alta voce non equivale esattamente all’ascolto di una narrazione orale, innanzitutto perché, trattandosi dell’esecuzione di un testo scritto, l’esperienza conserva alcune delle caratteristiche fondamentali della lettura. Prima ancora di aver imparato a leggere e scrivere, la persona che ascolta una lettura può così prendere consapevolezza della separazione tra la mente di chi legge e il testo fruito, che è fissato su un supporto – in questo caso il libro – e che, nonostante il continuo riuso, rimane stabile nel tempo, una lettura dopo l’altra, mantenendo la stessa forma linguistica. Il testo scritto, inoltre, che si presenta già suddiviso in frammenti disposti in linea, può essere percorso in avanti, nell’ordine tutt’altro che naturale della lettura, e può inoltre essere interrotto e ripreso senza che perda nel frattempo le sue proprietà evocative, saldamente ancorate alla pagina. Poi, a patto che il libro sia conservato e reso accessibile nel tempo, la scrittura consente di mettere a confronto libri differenti, che possono essere osservati insieme o letti e riletti uno dopo l’altro, andando a costruire {p. 116}ulteriori sequenze di frammenti tra loro combinabili, che si accumulano e rimangono a disposizione, pronti per essere riattivati dalla voce esperta.
È il primo passo verso quella che possiamo definire una pratica letteraria [Giusti e Tonelli 2021], ovvero un’esperienza di «ri-uso» [Brioschi 2006, 158] analoga a quella della preghiera, in cui l’uso ripetuto di uno stesso testo, il quale non viene modificato se non nelle diverse sfumature dell’interpretazione vocale e nella percezione di chi ascolta, tende a far riconoscere a quel testo uno «status privilegiato» [Barenghi 2020, 102] da parte della comunità. Così una storia – un testo narrativo che riferisce fatti accaduti o che sarebbero potuti accadere a personaggi più o meno immaginari – può diventare, grazie alla cooperazione di chi narra e di chi ascolta, che insieme contribuiscono a rendere speciale il testo, un’opera, ovvero un particolare discorso di ri-uso «destinato a una fruizione pubblica ripetuta nel tempo da parte di un uditorio che si rinnova» [Brioschi 2002, 24] e che si distingue perciò da quei discorsi che sono destinati a consumarsi in un singolo atto di comunicazione. Si tratta di un comportamento che ci conduce alle soglie della letteratura come istituzione: un corpus di pratiche e di opere dai confini laschi, il cui carattere negoziale e relazionale è garanzia di mutevolezza e di adattabilità.
Gli albi illustrati, i libri con le figure, i classici riscritti, le fiabe e le favole lette ad alta voce sono dunque dei dispositivi in grado di sollecitare un comportamento che possiamo definire letterario, in un circolo virtuoso che si alimenta grazie all’esperienza estetica condivisa dal gruppo, attraverso la mediazione di una voce che attiva l’artefatto artistico e, con opportune inflessioni della voce, con gesti e posture esperte, ne attesta e conferma il valore presso gli ascoltatori, il cui potere di scelta e di cooperazione acquista forza e consapevolezza a ogni nuova esecuzione.
Prima ancora di porsi domande sul tasso di letterarietà e sulla canonicità di quei libri, dunque, è necessario prendere coscienza della letterarietà della lettura ad alta voce condivisa come comportamento in grado di far intendere per prova cosa significhi rendere speciale un artefatto lin{p. 117}guistico [Cometa 2018, 52-67; Barenghi 2020, 92-99] e quali siano le potenzialità immaginative dell’esecuzione orale di un racconto.
Senza incorrere nell’errore di identificare il testo narrativo con l’opera letteraria, inoltre, è importante riconoscere – sulla scorta degli studi letterari di matrice cognitivista e delle scienze umane e biologiche [Cometa 2010; Barenghi 2021] – quanto la conoscenza del comportamento narrativo e dei processi di artificazione sviluppati nel corso dell’evoluzione da Homo sapiens siano fondamentali alla comprensione del fenomeno letterario e del testo in quanto dispositivo in grado di orientare la risposta di chi legge in senso estetico, guidandone i comportamenti e regolandone le aspettative. Fenomeni già rilevati dalle teorie letterarie formaliste e strutturaliste, come la messa in rilievo (foregrounding) e lo straniamento o defamiliarizzazione, non ci dicono se un testo sia o meno letterario, ma ci aiutano a fare delle ipotesi sui motivi che rendono un testo più capace di altri di catturare l’attenzione di chi legge o ascolta [Miall e Kuiken 1994] e ci mettono in guardia circa i pericoli rappresentati da una visione ristretta ed esclusiva di letteratura, dall’uso di un numero limitato di testi in ambito educativo e dall’insistenza, nella didattica, su atteggiamenti e comportamenti che non trovano corrispondenza nella vita quotidiana di chi abitualmente ricorre alla lettura letteraria per rispondere ai propri bisogni, che sono analoghi a quelli di generazioni e generazioni di esseri umani in ogni parte della Terra.
Infine, da questa zona di confine tra studi letterari e scienze cognitive può arrivarci qualche ulteriore indicazione utile al caso di chi voglia affinare l’arte della lettura ad alta voce condivisa, soprattutto in merito alla scelta delle opere da proporre all’uditorio. La ricerca sperimentale, per esempio, ci sollecita a riflettere sulle differenze che si possono rilevare tra i diversi effetti ottenuti dalla lettura di narrativa popolare (da intendersi come paraletteratura [Spinazzola 2018, 13 ss.]) e di narrativa letteraria su tre distinte dimensioni della cognizione sociale: la complessità attribuzionale, il pregiudizio egocentrico e la precisione nella percezione sociale [Castano, Martingano e Perconti
{p. 118}2020]. In sintesi, senza entrare nel merito del metodo e degli strumenti adottati, il gruppo di ricerca guidato da Emanuele Castano ha lavorato alla conferma di alcune ipotesi circa l’esistenza di una correlazione tra la lettura di diversi tipi di opere narrative contemporanee, effettivamente reperibili sul mercato, e la capacità che le persone hanno di riconoscere le intenzioni degli altri, di decifrarne i comportamenti e di rappresentarne le opinioni e le credenze. Lungi dal voler individuare dei criteri per valutare la qualità dei testi, in questo lavoro viene mostrato come la lettura di diversi tipi di narrativa, «favorisce certi processi socio-cognitivi e stili cognitivi rispetto ad altri» [ibidem; trad. it. 2022, 110] e si avanza l’ipotesi che da una prospettiva psicologica – e, aggiungerei, educativa – una gerarchia della narrativa sia priva di significato, perché all’essere umano e alle sue comunità occorrono sia gli stili cognitivi allenati da quelle opere a cui la società attribuisce un valore letterario, che contribuiscono tra l’altro alla riduzione degli atteggiamenti pregiudizievoli, al miglioramento della capacità di comprensione delle intenzioni altrui, sia gli stili esercitati durante l’esposizione alla cosiddetta paraletteratura – i bestseller contemporanei che non vengono presi in considerazione dall’establishment letterario – utili a confermare le aspettative sul mondo e quindi, diversamente dalla narrativa letteraria, a ridurre l’ansia esistenziale [ibidem; trad. it. 2022, 113].