Andrea M. Maccarini (a cura di)
Character skills e didattica digitale
DOI: 10.1401/9788815374615/c2
D’altra parte la scuola, tranne alcuni casi eccezionali, è anche carente sul piano delle dotazioni strutturali: poco
{p. 58}attrezzata, poco aggiornata, poco connessa, poco formata; l’emergenza sanitaria in questo caso ha fatto da acceleratore a una transizione tecnologica che era indispensabile.
Tutti i finanziamenti che sono arrivati alla scuola sono stati impiegati per aumentare la connettività, abbiamo una banda larga di 100 mega in entrata e uscita che consente a tutti di connettersi contemporaneamente. È stato un bel costo ma necessario. Abbiamo acquistato 32 monitor interattivi così da avere gli strumenti adeguati in classe (da intervista a DS di IP).
E se indubbiamente molto si sta facendo nel presente, molte perplessità si stanno facendo strada rispetto al futuro: che cosa sarà in grado di lasciare, in positivo, in eredità al sistema scuola e a coloro che lo abitano questa lunga emergenza? In via riassuntiva, tre sono le sfide che la scuola sente di dover raccogliere: quella della formazione e dell’aggiornamento dei suoi insegnanti, quella dell’equipaggiamento tecnologico, e infine la più gravosa, ossia il tentativo di recupero rispetto a quelle disuguaglianze che la pandemia ha nuovamente fatto emergere.

3. Un altro modo di stare in classe: rischio e opportunità attraverso risorse e competenze degli insegnanti

Comprendere che cosa significhi fare l’insegnante o essere insegnante in tempi di pandemia significa descrivere situazioni e profili professionali tra loro molto diversi, più di quanto non accadesse nella quotidianità scolastica prima del lockdown. Sono in particolare le competenze dei docenti, la loro «cassetta degli attrezzi» emotiva, psicologica, relazionale ad avere fatto la differenza durante la pandemia, e ciò si può osservare su tre livelli: individuale, come componenti di un team docente e infine come docenti di una classe, intesa come comunità di apprendimento. Le narrazioni degli insegnanti delle sei scuole coinvolte nell’indagine presentano tra questi livelli alcuni elementi di convergenza e altri di profonda differenza. In linea generale, i focus groups condotti con {p. 59}gli insegnanti hanno messo in luce una rappresentazione corale: dentro la pandemia ci sono due stagioni distinte, e non solo per effetto dell’estate 2020, che ha segnato un allentamento delle misure restrittive e la fine della scuola, ma anche per il diverso impatto biografico rispettivamente in una prima fase di disorientamento, ma comunque associata a una qualche forma di reazione, resistenza e resilienza, e in una seconda fase associata ad affaticamento e sconforto. Le narrazioni insistono su questa cesura, profondamente avvertita da insegnanti e alunni:
lo scorso anno anche noi docenti eravamo maggiormente motivati, quest’anno siamo tutti in grande affanno, studenti e docenti; questa seconda zona rossa sta pesando, questo ricadere nella stessa situazione (da focus docenti IT, insegnante di geografia).
Su questo sfondo di una transizione lunga, che sembra non avere fine, un intermezzo che si sta dilatando oltre misura, si innestano le riflessioni degli insegnanti sulla quotidianità scolastica e sulla relazione educativa. Come si diceva poc’anzi, alcuni temi hanno sollecitato una convergenza tra opinioni: sono esemplari al riguardo gli aspetti organizzativi all’interno delle scuole e la gestione della DAD; quelli su cui è stata raccolta la maggiore eterogeneità invece riguardano le interazioni, le relazioni e la motivazione.
A livello individuale e di team docente l’organizzazione della scuola (intesa qui come organizzazione di riferimento all’interno della quale si sono concretizzate le pratiche educative, le soluzioni, le risposte operative a un evento eccezionale), o per meglio dire la reazione organizzativa della scuola, è stata percepita come dapprima scomposta, confusa e poi man mano reattiva, strutturata, coordinata. L’effetto di spiazzamento iniziale, al tempo del lockdown verificatosi nel secondo quadrimestre dell’anno scolastico 2019-2020, è stato imputato da tutti i docenti alla completa imprevedibilità e novità della situazione. Alcuni hanno reagito meglio e prima, per effetto di esperienze pregresse con piattaforme e dispositivi per la didattica online; ma i docenti hanno concordemente rilevato una {p. 60}difficoltà dell’istituzione scolastica, sia a livello centrale sia a livello locale fino ai singoli plessi, a produrre una nuova cornice di senso e rendersi efficace rispetto al suo mandato educativo:
lo scorso anno ci ha colto molto alla sprovvista, subito sembrava una vacanza un po’ più lunga, poi le cose sono diventate critiche; non abbiamo avuto l’accesso a piattaforme esterne per tutelare la privacy dei ragazzi; abbiamo usato una piattaforma interna collegata al registro di classe ma poi era anche saltato il discorso dell’orario, bisognava assegnare compiti e attività con relative consegne e abbiamo cominciato ognuno a gestirsi autonomamente; è stato molto caotico. Quindi eravamo proprio preparati per nulla (da focus docenti IT, insegnante di chimica).
[...] direi che la cosa più grave è stata la completa improvvisazione, nessuno era tenuto a fare la DAD, forse qualche dirigente ha pressato di più; di alcuni docenti si sono perse le tracce; i docenti sono stati lasciati a loro stessi (da focus docenti IT, docente di italiano).
[...] l’anno scorso eravamo in emergenza, nessuno aveva usato Meet, c’è stata sperimentazione di piattaforme, gli studenti erano contenti di vederci a lezione; era proprio un mondo altro; ora siamo nel mondo istituzionale della scuola, il gruppo classe è tornato quello della classe in presenza anche se in un altro modo e a singhiozzo (da focus docenti IP, docente di storia).
[...] io credo che la cosa più difficile sia stato il lockdown dello scorso anno perché la familiarità con la didattica online era molto bassa; ci sono stati aiuti interni, c’è stato un responsabile della DAD che ha aiutato molto; ci è stato spiegato come fare e cosa fare (da focus docenti liceo scientifico, insegnante di inglese).
Lo spiazzamento dei docenti a livello individuale è stato provocato soprattutto dall’inesperienza nell’utilizzo delle piattaforme e dei metodi impiegati nella didattica a distanza: essi non soltanto ignoravano quale strumento utilizzare, in una giungla di proposte, ma nemmeno si sapeva come utilizzarlo in modo adeguato ed efficace per la propria disciplina. Le differenze tra docenti che comunque si sono osservate su questi aspetti sono state quindi riconducibili, da una parte, {p. 61}alle competenze tecniche e tecnologiche, e dall’altra alle difficoltà oggettive insite nel curricolo disciplinare:
visto che sono insegnante di materie professionalizzanti e laboratoriali […] la DAD non consente di sostituire la presenza, il mostrare come si fa, provare a riprovare […] anche perché ci sono laboratori attrezzati, noi abbiamo cucina, ma io penso per esempio a chi fa elettronica o meccanica, come puoi pensare di spiegare e far costruire un circuito, che ne so, adesso lo dico da inesperta, ma è impensabile (da focus docenti IP, insegnante di cucina).
[...] la mia materia è stata completamente azzerata e mi sono dovuta reinventare una didattica del tutto nuova e argomenti per coinvolgerli. Ho cercato di collegarmi ad altre materie (da focus docenti liceo scientifico, docente di scienze motorie).
[...] certo con la DAD possiamo passare contenuti, questo non cambia ma questo non è sufficiente; non basta apprendere cose ma conta molto l’aspetto dell’esercitazione, del lavoro insieme, della pratica, dello stare insieme. Il lavoro di classe non si fa con la DAD (da focus docenti liceo classico, docente di italiano e latino).
Fino a questo punto, si potrebbe concludere che gli insegnanti non stiano dicendo nulla di originale e inatteso. Tuttavia, è utile cogliere le indicazioni a livello di policy che da queste narrazioni derivano. Esse infatti lanciano (o rilanciano) il tema – non nuovo, ma sempre più attuale – della formazione degli insegnanti. Per altro verso, e in termini più innovativi, emerge anche l’idea che piattaforme, strumenti e contenuti didattici – quell’insieme che viene talora denominato classware – debba essere prodotto in collaborazione con e attraverso l’iniziativa e/o la partecipazione delle scuole stesse, d’insegnanti e dirigenti capaci e pronti a intraprendere questa avventura. Le forme in cui ciò possa realizzarsi non andrebbero lasciate, come spesso accade, alla spontaneità personale o a qualche esperimento isolato, ma progettate e sostenute istituzionalmente, a vari livelli e in modalità da studiarsi.
Un’ulteriore considerazione riguarda la rappresentazione critica che gli insegnanti offrono della dirigenza: questa {p. 62}sarebbe stata spesso troppo distante e di conseguenza tutto sarebbe stato lasciato nelle mani dei docenti, senza una regia e con un affastellarsi di nuove richieste, procedure, oneri anche giuridici.
C’era il problema delle norme sulla privacy; sulla sicurezza, sui software liberi o a pagamento. Abbiamo dovuto dedicare energie; formazione per insegnanti ce n’è poca, tutti propongono webinar in continuazione ma procura confusione; non si sa che cosa sia interessante, utile e praticabile. Noi abbiamo super Mappe X per le mappe concettuali, la scuola ha pagato per accedere a quella, è collegato quindi ma non a tutti funziona; quindi ci sono tanti micro problemi che scoraggiano e non sempre c’è una regia forte che guida (da focus docenti IP, docente di storia).
Essere docente diviene una missione spesso impossibile, secondo la narrazione degli insegnanti, e ci si arrocca, per alcuni, sul «fare il docente», ossia erogare in qualche modo didattica, trasferire contenuti, completare in un modo o nell’altro un programma; per altri resta alta la motivazione e la spinta a esplorare nuovi territori del fare didattica, ma si tratta di una minoranza.
Torna anche qui l’impressione che le maggiori differenze si manifestino rispetto alle competenze caratteriali dei docenti stessi. La prima e più evidente questione riguarda l’aspetto motivazionale e la competenza a esso legata, ossia la passione per gli obiettivi: per alcuni si riesce ancora ad attingere a risorse per resistere, per altri la strada è troppo in salita e ci si accorge di perdere terreno, prima di tutto in una ideale sfida con sé stessi:
sostanzialmente il mio motto in questo periodo è fare quello che si può, stai remando contro dopo aver remato tanto, ma io non mollo (da focus docenti IT, docente di diritto ed economia).
[...] questo mi genera frustrazione, sono veramente un po’ demotivato, non so più che cosa fare, cosa mettere in campo […] alla fine ti senti impotente. Il peso della frustrazione della DAD lo sento sempre e solo io (da focus docenti liceo scientifico, docente di informatica).
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