Matteo Colleoni (a cura di)
Territori in bilico
DOI: 10.1401/9788815374240/c7
Anche per quanto riguarda gli attori associativi, l’Alto Milanese vede una presenza vivace e ben radicata, oggi alimentata dalla recente nascita del già citato Forum del
{p. 115}Terzo Settore. Si tratta di un organo di coordinamento e cooperazione locale, non solo tra le associazioni ma anche con le amministrazioni comunali. Esso si fa inoltre portavoce di un cambiamento nei rapporti con le amministrazioni, da esecutore di servizi progettati dalle amministrazioni locali ad attori con una propria visione dell’assistenza che si può esprimere attraverso una vera co-progettazione partecipata. Dunque, la presenza di reti di associazioni con un buon grado di strutturazione è un dato acquisito.
Va rilevata infine la specifica storia di governo del territorio. Come precedenti ricerche hanno messo in luce [Giorgi e Polizzi 2011], si tratta di un’area che ha visto per lungo tempo prevalere maggioranze elettorali di segno moderato o conservatore, a partire dal Comune maggiore, Legnano, dove nel periodo della Prima repubblica si sono avuti governi dominati dalla Democrazia Cristiana e nella Seconda repubblica governi di centro-destra, così come accaduto in tante città piccole e medie lombarde. Nonostante la presenza rilevante di popolazione operaia nella zona, in questo territorio i partiti di sinistra non sono riusciti storicamente a conquistare una posizione egemone, né in termini elettorali né culturali. Ciò è, in parte, dovuto al consenso che le élite imprenditoriali sono riuscite a costruire [Magatti 1991], esprimendo sovente esse stesse la classe dirigente locale e usando strategie di tipo paternalistico, in parte dovuto alla prevalenza tra la popolazione operaia di strategie di mobilitazione sociale e individuale anziché collettiva. Negli ultimi venti anni, tuttavia, con l’indebolirsi delle maggiori industrie manifatturiere della zona, questo equilibrio sociale e politico sembra essere venuto meno, lasciando spazio a dinamiche di formazione del consenso più dipendenti dallo scenario nazionale e quindi anche più ondivaghe. A Legnano ciò ha portato all’avvento di giunte di centro-sinistra (nel 2012 e nel 2020), alternate con giunte a guida leghista. Negli altri comuni hanno continuato a prevalere liste di centro-destra o civiche.
La descrizione dei principali attori locali fornisce alcuni elementi di fondo oltre alla varietà e ricchezza del tessuto sociale. Primo, l’insistenza sulla necessità di fare rete, che {p. 116}era un mantra delle politiche degli anni Novanta e Duemila, è un dato acquisito. Oggi la questione è il coordinamento di queste reti, la fatica a integrarsi reciprocamente e la capacità di agire, non basta infatti mettersi in rete. È noto che il coordinamento ha costi elevati, quello che forse è meno noto è che questi costi crescono con i diversi passaggi necessari alle reti per raggiungere gli obiettivi. Si possono identificare quattro passaggi: la connessione tra attori, la condivisione dell’obiettivo, la mobilitazione per raggiungerlo, e la capacità di rappresentanza e voice. Ciascuno di questi passaggi richiede dei costi e quindi un investimento forte da parte degli attori in gioco. Questo investimento può essere agevolato dalla condivisione di una comune identità, dalla presenza di competenze professionali, dalla disponibilità di risorse umane, sociali e, non ultimo, economiche. L’altra questione è poi il mantenimento e consolidamento di queste reti. Nel prossimo paragrafo vediamo sulla base di quali elementi avviene o non avviene la capacità di mobilitarsi delle reti.

3. Strategie delle reti e governance del territorio

Come si è visto nel terzo capitolo, una delle dimensioni sulle quali si basa la coesione sociale e che può facilitare la mobilitazione collettiva e l’elaborazione di strategie territoriali di sviluppo è la condivisione di una identità locale. Tale identità implica che ci si riconosca all’interno, ma anche in relazione o in opposizione all’esterno. Vedremo che entrambi questi elementi sono presenti nei due contesti, anche se in modo diverso e con un’importante evoluzione.
Nel Vigevanese l’identità locale si struttura a partire dal sistema produttivo locale e in particolare dal distretto della calzatura (si rimanda al capitolo 8 di questo volume). Benché oggi i calzaturifici siano relativamente pochi e il distretto sia principalmente meccano-calzaturiero, la calzatura resta il centro dell’identità storica dell’area; non vi è un solo intervistato/a in questa ricerca a qualsiasi ambito appartenga, che non faccia riferimento al «glorioso passato» della calzatura da donna di cui Vigevano era la capitale italiana, {p. 117}persino mondiale. Vi è un sentimento di orgoglio per un passato importante, celebrato con il museo della calzatura oggi ospitato nel castello visconteo-sforzesco, ed è proprio sull’ampliamento del museo e la sua internazionalizzazione che si raggruppa oggi una rete di attori. Sia il Sindaco sia il Comitato Intercategoriale fanno riferimento a questo progetto come la «punta di diamante di un qualcosa che dovrebbe servire da riferimento per generare la parte di ricerca e sviluppo sulla calzatura» (Int. 6). Questo «qualcosa» è il progetto della Shoe Tech Valley che fondandosi sull’identità distrettuale e calzaturiera, apre all’ottica della fertilizzazione incrociata come evidenzia questo estratto di intervista:
Fare formazione, creazione di laboratori che possano diventare un melting pot delle idee, portando contaminazione tra il calzaturiero e altri settori e tra la meccanica e altri settori che non siano il calzaturiero, supporto alle aziende per il passaggio generazionale, supporto alle aziende per la creazione di reti di filiera (Int. 16).
Il tentativo è andare oltre l’eccellenza dei singoli imprenditori creando degli spazi in cui è possibile per le aziende non solo incontrarsi e fare rete, ma soprattutto scambiarsi e condividere competenze e progettualità. Su questo punto, gli intervistati sono concordi nell’affermare che la resistenza a condividere da parte di molti imprenditori è ancora piuttosto elevata, per cui è necessario un percorso formativo che insista proprio sulla dimensione della condivisione di conoscenza piuttosto che sulla sua esclusività. La difficoltà del passaggio tra il fare rete e la condivisione è un tema importante e al tempo stesso delicato, poiché molti imprenditori hanno paura della concorrenza interna, o, nel caso dei calzaturifici, firmano dei contratti di riservatezza con le grandi marche della moda.
Quanto emerge dalle interviste induce dunque a pensare che il rinnovamento del distretto e la sua rivitalizzazione siano obiettivo primario degli attori locali. Se da un lato questa identità è fortissima, dall’altra rischia di imbrigliare la capacità di progettare un futuro che deve aprirsi a nuovi {p. 118}orizzonti produttivi, oltre che al turismo, definito da un rappresentante della Camera di Commercio come l’altro settore da implementare oltre al meccano-calzaturiero e l’agro-alimentare. Il settore turistico-culturale si pone, nella percezione degli attori locali, come trait d’union tra le due specializzazioni dell’area che faticano a dialogare.
Un accenno a parte merita la questione dello sviluppo immobiliare del Vigevanese, in particolare lungo la direttrice verso Milano perché tocca l’identità del territorio e la sua percezione. Il settore immobiliare resta centrale nelle strategie dell’amministrazione comunale poiché come dice il Sindaco «al di là dell’industria è il mercato dell’edilizia che fa ripartire l’economia… ci piacerebbe riuscire a mettere in moto questo mercato…» (Int. 6). Da questo punto di vista il rapporto con Milano è indicativo di una tensione identitaria e progettuale. Da una parte, infatti, utilizzando la metafora significativa degli intervistati, Vigevano si sente il «salotto buono» di Milano con la sua piazza Ducale in stile rinascimentale che val bene una visita e che può essere meta turistica con presidi slow-food, dall’altra si sente «la camera da letto» di Milano, cioè il dormitorio dei numerosi pendolari che gravitano sulla metropoli ma non possono permettersi un immobile di qualità a quel prezzo, o preferiscono essere in un contesto «più tranquillo». La pandemia ha parzialmente attenuato questa ambiguità, poiché, sempre proseguendo nella metafora degli intervistati, la camera da letto è spesso diventata anche lo studio, meglio ancora se con un balcone o un terrazzo, modificando il rapporto con la casa e l’ambiente dentro il quale la casa si colloca. In questa prospettiva, Vigevano non può pensarsi solamente come riserva immobiliare a basso prezzo per pendolari milanesi, perché gli abitanti, come si è visto durante la pandemia, desiderano trovare una molteplicità di funzioni e servizi di qualità in prossimità delle abitazioni. La relazione con Milano, in entrambi i casi, è evidente e Vigevano si percepisce in forte integrazione con la metropoli. Appare però ancora debole la capacità delle reti locali e del governo del territorio di adottare strategie comuni forti sulle urgenze che pure vengono condivise e in particolare quella di convogliare risorse economiche e di {p. 119}competenze dagli enti di governo superiori per realizzare la Shoe Tech Valley e rendere così il territorio più forte nella relazione con i grandi marchi internazionali che investono sulla macchina produttiva locale e nella realizzazione di infrastrutture più efficaci nel garantire la mobilità quotidiana tra il territorio vigevanese e Milano. È soprattutto la relazione con la Regione Lombardia come partner essenziale per promuovere queste istanze ad apparire debole o assente. In parte ciò può essere attribuibile alla collocazione del territorio a cavallo tra due province e con una relazione problematica con il capoluogo provinciale (Pavia). In parte, secondo alcuni attori del territorio, tale debolezza dipende anche dalla scarsa attitudine delle élite locali a spendersi in tavoli politici e non solo strettamente imprenditoriali.
Nell’Alto Milanese il tema dell’identità locale è più articolato e aperto poiché non si struttura attorno ad un unico settore produttivo. La condivisione di un grande passato industriale è anche in questo caso la base dell’identità collettiva, ma, come spiega il Sindaco di Legnano «si tratta della consapevolezza di un passato industriale che fonda le sue radici nel sapere tecnico e nel saper fare» (Int. 5) trasversale ai singoli settori che si riverbera anche nei settori non tipicamente manifatturieri; è piuttosto un modo di approcciare il lavoro, quello della formazione tecnica di base e della sua eccellenza [Ghezzi 2007]. Il tema di come rigenerare l’identità industriale di questo territorio era già emerso più volte nel corso dell’ultimo trentennio, quando di fronte alla crisi produttiva e quindi anche occupazionale di diverse aziende manifatturiere locali, l’area era rientrata nel programma di finanziamento specificamente dedicato dall’Unione Europa ai territori in grave declino industriale. In queste precedenti fasi di crisi, le élite economiche e politiche locali riuscirono a coalizzarsi e a dotarsi di alcuni strumenti per il rilancio economico e sociale del territorio [Tajani 2011]. Con i fondi europei e tessendo efficacemente relazioni con i vertici di governo nazionali e regionali, il governo del territorio, e in particolare il Comune di Legnano, ebbe modo di implementare alcuni strumenti per il sostegno allo sviluppo locale, a cominciare dalla nascita di
{p. 120}un’Agenzia di Sviluppo a ciò dedicata, Euroimpresa, controllata in maggioranza dal Comune di Legnano e dall’allora Provincia di Milano. Attraverso tale strumento si riuscirono a convogliare nel primo decennio del Duemila 13 milioni di euro per i progetti di sviluppo. Furono messi in campo progetti ambiziosi di riconversione industriale, per esempio con il progetto di un nuovo cluster delle aziende locali dedicato al settore dell’energia. Nonostante questa efficace raccolta di strumenti e risorse, quella stagione non sembra aver prodotto il rilancio sperato, né ha lasciato in eredità forme nuove o aggiornate di distretto industriale dell’Alto Milanese. Questa difficoltà può essere attribuita in parte alla crisi del 2008 che si è abbattuta sull’intero Paese negli anni successivi, con le conseguenti riduzioni delle risorse a disposizione degli enti locali per lo sviluppo locale. Essa però sembra dipendere anche dalla scarsa coesione interna tra i comuni del territorio, già evidenziata nelle ricerche dello scorso decennio, peraltro riscontrate in molte aree in cui pure furono utilizzati gli strumenti pattizi dello sviluppo locale tipici di quella stagione [Barbera 2001]. Gli enti locali, infatti, non riuscirono ad adottare strategie di sviluppo durature e in modo sinergico. Tali strategie avrebbero richiesto una parziale cessione di alcune prerogative della propria amministrazione, a favore di un soggetto terzo come fu per l’Agenzia di Sviluppo o del proprio territorio, a favore di un’area specifica dove concentrare le attività distrettuali.
Note