Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c18
Nello stesso caso Tadić, la camera d’appello del Tribunale per la ex Iugoslavia ha però accolto una posizione in qualche modo opposta e destinata a segnare la futura giurisprudenza in materia. I giudici di secondo grado, infatti, hanno messo in evidenza che l’ordinamento internazionale non è composto da un «integrated judicial system» e che spetta a ciascun tribunale il compito di determinare il contenuto del proprio atto istitutivo e definire il perimetro del proprio potere giurisdizionale [27]
. Nelle parole dei giudici del Tribunale per la ex Iugoslavia, infatti, «the plea based on the invalidity of constitution of the International Tribunal goes to the very essence of jurisdiction» [28]
. Per questa ragione, la camera d’appello ritiene di dover esaminare, in via incidentale, «the legality of its establishment by the Security Council».
{p. 512}
La competenza ad indagare il fondamento e la legittimità del proprio atto istitutivo, e quindi delle risoluzioni del Consiglio, sarebbe dunque una conseguenza del principio Kompetenz-Kompetenz, ovvero dell’idea che ogni organo giurisdizionale ha il potere, intrinseco e inerente alla stessa funzione giudiziaria, di determinare l’ambito della propria competenza [29]
. Nella prospettiva dei rapporti tra la Corte penale internazionale e il Consiglio di sicurezza, il principio Kompetenz-Kompetenz attribuisce al tribunale il compito di accertare di volta in volta la validità delle richieste di attivazione o sospensione della propria attività giudiziale.
Secondo alcune ricostruzioni critiche, tuttavia, la camera d’appello del Tribunale per la ex Iugoslavia avrebbe interpretato in maniera eccessivamente estensiva tale potere, adottando in pratica «an expansive view of its power to determine its {p. 513}own jurisdiction – even at the expense of the Council» [30]
. In questa prospettiva, il potere di un giudice internazionale di accertare l’esistenza di una minaccia alla pace o di una violazione della pace sarebbe quindi limitato, o meglio escluso, dalla circostanza che «the jurisdiction to make such a decision has already been allotted elsewhere» [31]
. Come espressamente sostenuto in dottrina, in pratica, la natura politica dell’accertamento renderebbe «quite wrong for any Court to substitute its own political judgment for that of the Security Council» [32]
.
Questi rilievi critici sembrano rifarsi alla teoria della political question. Com’è noto, l’idea di fondo di tale concezione è che non tutti gli aspetti di una controversia possano essere oggetto di soluzione giudiziaria: vi sono casi in cui la natura prettamente politica dell’oggetto del giudizio impone ai giudici di lasciare il campo alla discrezionalità del potere politico [33]
.{p. 514}
La teoria della political question non implica però la totale inammissibilità di un sindacato giurisdizionale sulle decisioni di carattere politico. Un aspetto, forse il più interessante, di questa costruzione è l’incidenza che essa può avere nel determinare la portata del sindacato più che condurre alla totale negazione dello stesso. In pratica, il raggio del controllo giurisdizionale sarebbe tanto più ristretto quanto più è estesa la discrezionalità politica concessa per la particolare decisione in oggetto [34]
. Così, pur ammettendo in principio che qualsiasi questione, anche di carattere politico, possa essere oggetto di un controllo di legalità, laddove la discrezionalità concessa agli organi politici è estremamente ampia, {p. 515}l’accertamento giurisdizionale potrebbe essere circoscritto agli aspetti formali del processo decisionale o intervenire solamente di fronte a manifesti abusi di potere.
In questa prospettiva, la natura politica e ampiamente discrezionale dell’accertamento del Consiglio circa l’esistenza di una minaccia alla pace e l’indeterminatezza dei parametri normativi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite sembrano avere più che altro l’effetto di ridurre notevolmente lo spazio del controllo giurisdizionale. Sul punto è particolarmente interessante quanto affermato ancora una volta dal Tribunale per la ex Iugoslavia secondo cui, in principio, «the wider the discretion of the Security Council under the Charter of the United Nations, the narrower the scope for the International Tribunal to review its actions» [35]
. Ciò non significa tuttavia che il potere di sindacato di un tribunale «disappears altogether» [36]
: agli organi giudiziari andrebbe sempre riconosciuta la capacità di attribuire – anche alla luce della prassi dello stesso Consiglio di sicurezza – un significato giuridico alle nozioni, pur indeterminate, contenute nell’art. 39 della Carta delle Nazioni Unite.
Il ricorso all’idea di un controllo limitato, ispirata alla dottrina della political question, sembra quindi aggiungere alcuni interessanti e utili elementi di riflessione al problema qui in esame. Si può, infatti, ipotizzare che i parametri di legalità e la natura stessa del controllo giurisdizionale non assumano forme statiche e immutabili, ma debbano anzi necessariamente adeguarsi al tipo di accertamento oggetto di potenziale conflitto. Del resto, la determinazione dei parametri giuridici che definiscono una minaccia o una violazione della pace è in costante evoluzione e ridefinizione e può nel tempo ridurre il tasso di politicità di quelle valutazioni, rendendole via via passibili di un più intenso controllo giurisdizionale.
Come in parte emerge dalla dottrina richiamata poco sopra, la teoria della political question si presta talvolta {p. 516}ad interpretazioni piuttosto estensive e volte a precludere qualsiasi forma di controllo giurisdizionale. Si può qui richiamare, solo per fare un esempio, una certa giurisprudenza del Tribunale speciale per il Libano. Nel caso Ayyash, la camera d’appello del tribunale ha sostenuto l’impossibilità di un sindacato giurisdizionale delle decisioni del Consiglio di sicurezza in ragione della natura strettamente politica degli accertamenti compiuti da quell’organo quando agisce sulla base del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Nelle parole dei giudici, infatti, «the Security Council’s determination as to the existence of a threat to international peace and security is not subject to judicial review» [37]
. Insindacabili sono anche, ad avviso del Tribunale speciale per il Libano, le decisioni del Consiglio «regarding the measures it employs once it has found that such threat exists» [38]
. Anche qui ci si troverebbe di fronte ad una «sole and exclusive prerogative» del Consiglio, poiché ogni decisione relativa alle misure più idonee al fine del mantenimento della pace è «essentially political in nature, and as such not amenable to judicial review» [39]
.
{p. 517}
Note
[27] Ad avviso della camera d’appello, in sostanza, «the first obligation of the Court as of any other judicial body is to ascertain its own competence» (ibidem). Per quanto la giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia relativa al sindacato di validità delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza non sia sempre di agevole interpretazione e conduca talvolta a risultati incerti, sembrano andare in questa direzione alcune parole pronunciate dalla stessa Corte nel parere consultivo sulle Conseguenze giuridiche per gli Stati della continua presenza dell’Africa del Sud in Namibia (Sud-Ovest africano), nonostante la risoluzione 276 (1970), parere del 21 giugno 1971, in «ICJ Reports», 1971, p. 45: «the Court does not possess powers of judicial review or appeal in respect of the decisions taken by the United Nations organs concerned. The question of the validity or conformity with the Charter of General Assembly resolution 2145 (XXI) or of related Security Council resolutions does not form the subject of the request for advisory opinion. However, in the exercise of its judicial function and since objections have been advanced the Court, in the course of its reasoning, will consider these objections before determining any legal consequences arising from those resolutions». La bibliografia sulle relazioni tra Consiglio di sicurezza e Corte internazionale di giustizia è sterminata, ma si possono richiamare almeno L. Condorelli, La Corte internazionale di giustizia e gli organi politici delle Nazioni Unite, in «Rivista di diritto internazionale», 1994, pp. 897-921 e M.I. Papa, I rapporti tra Corte internazionale di giustizia e Consiglio di sicurezza, Padova, CEDAM, 2006.
[28] Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, Prosecutor v. Tadić, Decision on the Defence Motion for Interlocutory Appeal on Jurisdiction, Camera d’Appello, IT-91-1-AR72, 2 ottobre 1995, par. 12.
[29] Si tratta di una prerogativa inerente e intrinseca alla stessa funzione giudiziaria che, in principio, «does not need to be expressly provided for in the constitutive documents», cfr. Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, Prosecutor v. Tadić, Decision on the Defence Motion for Interlocutory Appeal on Jurisdiction, Camera d’Appello, IT- 94-1-AR72, 2 October 1995, par. 18. All’interno dello Statuto di Roma vi sono peraltro almeno due disposizioni che sembrano esplicitare tale principio: l’art. 19 dispone che la Corte «shall satisfy itself that it has jurisdiction in any case brought before it», e una delle clausole finali, l’art. 119, prevede, in termini più generali, che «[a]ny dispute concerning the judicial functions of the Court shall be settled by the decision of the Court». Il primo a definire il concetto qui richiamato, anche se nel diverso contesto del riparto di competenze tra Stati e Bund, è stato H. Böhlau, Competenz-Competenz? Erläuterungen zu Artikel 78 der Verfassung des Norddeutschen Reichs, Leipzig, De Gruyter, 1869, p. 2. Sul principio, in relazione invece ai tribunali internazionali, si vedano, tra i tanti, C.R.F. Amerasinghe, Jurisdiction of International Tribunals, The Hague-London-New York, Brill, 2003; U.M. Iaccarino, Della c.d. competenza della competenza dei tribunali internazionali, Napoli, Morani, 1962; F.I. Shihata, The power of the International Court to determine its own jurisdiction, The Hague, Springer, 1965; L. Boisson de Chazournes, The Principle of Compétence de la Compétence in International Adjudication and its Role in an Era of Multiplication of Courts and Tribunals, in M.H. Arsanjani, J.K. Cogan e S. Weissner (a cura di), Looking to the Future: Essays on International Law in Honor of W. Michael Reisman, Leiden, Martinus Nijhoff , 2010, pp. 1027-1064.
[30] J.E. Alvarez, Nuremberg Revisited: The Tadić Case, in «European Journal of International Law», 1996, p. 247. Per una interessante critica ad alcuni aspetti delle conclusioni raggiunte nelle due decisioni, si veda Id., The Likely Legacies of Tadić, in «ILSA Journal of International and Comparative Law», 1997, pp. 613-620.
[31] R. Higgins, Policy Considerations and the International Judicial Process, in «The International and Comparative Law Quarterly», 1968, p. 80.
[32] D. Bowett, Judicial and Political Functions of the Security Council and the International Court of Justice, in H. Fox (a cura di), The Changing Constitution of the United Nations, 1973, p. 84. Una posizione simile è stata assunta anche dal giudice Lauterpacht, nella propria opinione separata annessa all’ordinanza della Corte internazionale di giustizia nel noto caso relativo alla Applicazione della Convenzione contro il genocidio (Bosnia-Erzegovina c. Iugoslavia). Pur riconoscendo l’esistenza di un potere di controllo di validità delle decisioni del Consiglio di sicurezza da parte della Corte internazionale di giustizia, Lauterpacht ha messo in rilievo che «there can be no less doubt that it does not embrace any right of the Court to substitute its discretion for that of the Security Council». Corte internazionale di giustizia, opinione separata del giudice Lauterpacht, Applicazione della Convenzione contro il genocidio (Bosnia-Erzegovina c. Jugoslavia), ordinanza del 13 settembre 1993, in «ICJ Reports», 1993, p. 439, par. 99.
[33] Alla luce del ragionamento compiuto dalla Corte Suprema americana nella storica decisione Marbury v. Madison, evitare che gli organi giudiziari invadano la sfera della discrezionalità politica sarebbe proprio il principio cardine della separazione dei poteri, cfr. Marbury vs. Madison, in Reports of decision in Supreme Court, t. I. Alla sentenza, tradizionalmente, viene attribuito l’importante merito di aver introdotto il sindacato di costituzionalità negli Stati Uniti. Sulla teoria della political question, si può vedere, in generale, T. Franck, Political Questions/Judicial Answers, Princeton, Princeton University Press, 1992. Naturalmente anche le Corti costituzionali degli ordinamenti europei continentali si sono dovute confrontare con la teoria della political question. Il ruolo assegnato alle Corti costituzionali in questi sistemi è, come è noto, quello di valutare se le scelte legislative siano compatibili con i parametri della Costituzione, un’operazione piuttosto complessa di fronte a carte costituzionali che individuano più che altro elenchi di diritti fondamentali da tutelare (che possono porsi in contrasto tra loro) e obiettivi programmatici. Anche al giudice delle leggi, il principio della separazione dei poteri può quindi imporre di sottrarsi da un sindacato nei confronti di quegli aspetti della questione sottoposta che presuppongono una certa discrezionalità degli organi politici. Al riguardo, può qui solo essere richiamato lo storico confronto su chi debba essere il vero custode della costituzione tra Hans Kelsen (H. Kelsen, Wer soll der Hüter der Verfassung sein?, in Die Justiz, 1930/1931, pp. 576-628; trad. it. H. Kelsen, La giustizia costituzionale, a cura di C. Geraci, Milano, Giuffrè, 1981, pp. 229-291) e Carl Schmitt (C. Schmitt, Der Hüter der Verfassung, in Archiv des öffentlichen Rechts, 1929, pp. 161-237; trad. it. Il custode della Costituzione, Milano, Giuffrè, 1981). Su alcuni dei problemi accennati, si può vedere, tra i tanti, A. Ruggeri, Materiali per uno studio dei limiti al sindacato si costituzionalità delle leggi (introduzione a una teoria giuridica della funzione giurisprudenziale consequenziale), in «Giurisprudenza costituzionale», 1985, pp. 355 ss.
[34] Cfr. M. Arcari, Coordinamento e concorrenza tra organi politici delle organizzazioni internazionali e istanze giurisdizionali internazionali, in M. Vellano (a cura di), Il futuro delle Organizzazioni internazionali. Prospettive giuridiche, Napoli, SIDI - Società italiana di diritto internazionale, 2015, in particolare pp. 159-163.
[35] Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, Prosecutor v. Tadić, Decision on the Defence Motion for Interlocutory Appeal on Jurisdiction, Camera d’Appello, IT- 94-1-AR72, 2 October 1995.
[36] Ibidem, parr. 20-21.
[37] Tribunale speciale per il Libano, Decision on the Defence Appeals Against the Trial Chambers «Decision on the Defence Challenges to the Jurisdiction and Legality of the Tribunal», Camera d’Appello, STL1101/PT/AC/AR90.1, 24 ottobre 2012, par. 35.
[38] Ibidem.
[39] Ibidem, par. 52. Anche in dottrina non mancano simili prese di posizione; vi è chi ha affermato, ad esempio, che il Consiglio di sicurezza «is not bound by any definition or formula as to what constitues a threat to or breach of the peace or act of aggression», cfr. T.D. Gill, Legal and Some Political Limitations on the Power of the U.N. Security Council to Exercise its Enforcement Powers Under Chapter VII of the Charter, in «Netherlands Yearbook of International Law», 1995, p. 40. Già Kelsen, del resto, sosteneva, in termini più generali, che le risoluzioni del Consiglio, adottate sulla base del capitolo VII della Carta, non sono necessariamente vincolate al rispetto del diritto internazionale, dal momento che «the purpose of the enforcement action under Article 39 is not to maintain or restore the law, but to maintain or restore peace, which is not necessarily identical with the law», (H. Kelsen, The Law of the United Nations: A Critical Analysis of Its Fundamental Problems, London, Lawbook Exchange, 1951, p. 294). In questo stesso senso possono essere lette anche alcune osservazioni di R. Higgins, The Place of International Law in the Settlement of Disputes by the Security Council, in «American Journal of International Law», 1970, in particolare pp. 15-18.