Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c10
Si pensi alla questione della compatibilità della disciplina interna delle scommesse di cui all’art. 4 l. 401/1989 – che sanziona la raccolta e la gestione di scommesse da parte di soggetti privi dell’autorizzazione di polizia di cui all’art. 88 testo unico delle leggi di sicurezza (r.d. 773/1931) e della concessione amministrativa rilasciata dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS), entrambe richieste a tal fine – e le libertà di prestazione di servizi e
{p. 264}stabilimento di diritto UE. La Corte di giustizia, adita in via pregiudiziale, ha precisato che tale disciplina costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi, ammissibile soltanto se giustificata da esigenze imperative di interesse generale e necessarie, proporzionate e non discriminatorie [46]
. In tal modo, essa si è pronunciata sulla compatibilità in astratto tra la normativa italiana autorizzatoria e la normativa comunitaria richiedendo al giudice la disapplicazione della prima.
Si consideri inoltre il conflitto tra la fattispecie di cui all’art. 348 c.p. che punisce l’esercizio abusivo della professione e le norme eurounitarie che autorizzano l’esercizio della professione in uno Stato membro diverso da quello in cui sia stata ottenuta l’abilitazione [47]
. In tali casi l’applicazione della norma eurounitaria impedisce di ritenere abusivo e quindi tipico l’esercizio della professione autorizzato in altro Stato membro pur in assenza di un provvedimento abilitativo delle autorità nazionali; pertanto essa si pone in conflitto già sul {p. 265}piano astratto con la fattispecie incriminatrice nella parte in cui punisce l’esercizio della professione autorizzata in un altro Stato membro [48]
. Il fatto che il conflitto tra l’art. 348 c.p. e la norma eurounitaria sia solo parziale in quanto la fattispecie può trovare legittima applicazione in casi diversi da quelli di interferenza con il diritto dell’UE è irrilevante rispetto alla qualificazione del conflitto come «astratto» o «concreto».
Anche con riguardo alle norme internazionali l’ambito di applicazione dell’art. 51 c.p. non si estende alle ipotesi di conflitto in astratto con le norme incriminatrici interne. A differenza del conflitto in astratto tra le norme eurounitarie e quelle interne, quello riguardante le norme internazionali non può essere risolto tramite la disapplicazione da parte del giudice comune della norma interna incompatibile con quella internazionale ma solo attraverso la proposizione di una questione di legittimità costituzionale [49]
.{p. 266}
Nel caso di conflitto in concreto, invece, spetta al giudice comune di individuare la norma assiologicamente prevalente e applicarla. È bene precisare che le limitazioni all’applicazione diretta delle norme internazionali confliggenti con quelle interne [50]
non impediscono di ritenere prevalente nel giudizio ai sensi dell’art. 51 c.p. la norma internazionale sul diritto o sul dovere [51]
. L’esclusione della rilevanza penale del fatto a seguito del giudizio di prevalenza non equivale infatti alla disapplicazione della norma interna per contrasto con la norma internazionale; bensì, più semplicemente, ad un giudizio di prevalenza nel caso concreto della situazione giuridica {p. 267}attribuita all’individuo dalla norma extrapenale internazionale rispetto all’interesse tutelato dalla norma penale interna.

3.3. Requisiti della norma sovranazionale sul diritto o sul dovere scriminante

Al fine di inquadrare correttamente sotto l’art. 51 c.p. le situazioni di conflitto tra norma incriminatrice interna e norma extrapenale sovranazionale, dopo aver appurato se la norma sovranazionale sul diritto o sul dovere sia produttiva di effetti per l’ordinamento all’esito dell’adattamento [52]
e non si ponga in conflitto già sul piano astratto con le norme interne, il giudice deve verificare che la stessa sia dotata di effetto diretto. Con tale requisito ci si riferisce in questa sede non solo alla capacità autopplicativa della norma – ossia all’efficacia immediata nell’ordinamento a prescindere dall’adozione di norme di trasposizione – ma anche alla relativa idoneità ad attribuire delle situazioni giuridiche soggettive in capo all’individuo.
In effetti, perché vi sia un’incompatibilità tra la qualificazione normativa di illiceità penale del fatto e la qualificazione di liceità derivante dall’avere commesso il fatto nell’esercizio di un diritto o nell’adempimento di un dovere, la norma sovranazionale deve attribuire o imporre direttamente in capo all’individuo, rispettivamente, un diritto o un dovere invocabili davanti al giudice nazionale.
La nozione di effetto diretto è peraltro discussa [53]
e talvolta sovrapposta a quella di generica precettività per {p. 268}l’ordinamento o di autoapplicatività. Una simile concezione trascura però di considerare che la norma vincolante e self-executing non necessariamente si indirizza all’individuo, bensì può rivolgersi esclusivamente allo Stato.
Nell’ambito del diritto dell’Unione europea l’accertamento dell’effetto diretto non sembra particolarmente problematico. Come noto, la nozione di effetto diretto è stata sviluppata, grazie al monopolio interpretativo della Corte di giustizia, di pari passo con l’affermazione del primato del diritto dell’Unione. Tra le peculiarità dell’ordinamento UE subito poste in evidenza dalla Corte di giustizia [54]
vi è proprio la diretta attribuzione di situazioni giuridiche soggettive agli individui [55]
. La questione è stata affrontata sin dall’inizio con riguardo alle norme dei trattati; in seguito si è posta rispetto ad atti di per sé non direttamente applicabili come le direttive, allo scopo di assicurare l’effettività del diritto dell’Unione anche ove lo Stato non abbia adempiuto agli obblighi sanciti dalle norme delle direttive che risultino chiare, precise e incondizionate [56]
. Recentemente è stata affrontata con riferimento alle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali, al fine di assicurare la diretta applicazione e, specularmente, la disapplicazione del diritto nazionale confliggente, anche nei rapporti tra privati [57]
.
Nel diritto internazionale, la possibilità di configurare l’individuo come destinatario diretto delle norme è fortemente dibattuta [58]
. Sconfessate le posizioni aprioristiche, l’interprete è chiamato a ricostruire la portata delle singole norme alla luce della formulazione della disposizione e delle regole di interpretazione del diritto internazionale.
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Note
[46] CGUE Grande Sezione 6 marzo 2007, nelle cause riunite C338/04, C359/04 e C360/04, Placanica e altri, e 16 febbraio 2012 C-72/10 e C-77/10, Costa & Cifone, inoltre, ha ritenuto in contrasto con le norme del trattato la previsione di sanzioni nei confronti dell’operatore che raccolga scommesse in assenza dell’autorizzazione o della concessione quando queste gli siano negate in violazione delle norme di diritto UE. Alle sentenze della Corte di giustizia hanno fatto seguito le sentenze della Corte di legittimità, Cass. pen., sez. III, 28 marzo 2007, n. 16928 e 16 maggio 2012, n. 18767. Di recente sul tema C. Cost. 8 marzo 2017, n. 48 che dichiara manifestamente inammissibile la questione di costituzionalità delle norme interne sull’esercizio delle attività di gioco e scommesse in riferimento agli artt. 3, 25 e 41 della Costituzione e agli artt. 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea; il giudice avrebbe dovuto infatti provvedere direttamente alla disapplicazione delle norme interne in contrasto con le norme che riconoscono la libertà di stabilimento e di prestazione di servizi.
[47] Conflitto riconosciuto a partire dal paradigmatico caso Auer (CGUE, 22 settembre 1983, C-271/82), in cui la Corte di Appello di Colmar aveva chiesto in via pregiudiziale alla Corte di giustizia se le direttive comunitarie sul riconoscimento reciproco del titolo professionale di veterinario ostassero all’incriminazione per esercizio abusivo della professione del soggetto che, conseguito il titolo di veterinario in Italia, esercitasse in Francia la professione nonostante il diniego della competente autorità di iscriverlo all’albo dei veterinari.
[48] In questo senso A. di Martino, La sequenza infranta, Milano, Giuffrè, 1998, pp. 91 ss. Contra G. Grasso, Comunità europee e diritto penale, Milano, Giuffrè, 1989, pp. 270 ss., ripreso poi da G. Mazzini, Prevalenza del diritto comunitario sul diritto penale interno ed effetti nei confronti del reo, in «Dir. Un. Eur.», 2000, n. 2, pp. 349 ss. Resta fermo nell’inquadramento sotto l’art. 51 c.p. del conflitto tra norma eurounitaria sul diritto e norma incriminatrice, pur riconoscendo che il sindacato del giudice ha ad oggetto un «contrasto frontale» tra di esse, anche Viganò, L’influenza delle norme sovranazionali nel giudizio di antigiuridicità del fatto tipico, cit., pp. 1062 ss., secondo cui «oggetto del giudizio a quo è qui, in prima battuta, la norma incriminatrice stessa al metro della sua compatibilità con il diritto comunitario, più che il fatto storico commesso dall’imputato; ed è proprio da tale valutazione su tale compatibilità o incompatibilità che dipende la decisione finale se dare applicazione o meno alla norma incriminatrice, con conseguente condanna o assoluzione dell’imputato. Più che di stabilire se l’imputato abbia o meno esercitato una facoltà legittima riconosciutagli dal diritto comunitario, si tratta dunque per il giudice ordinario di stabilire se il legislatore nazionale avesse o meno il diritto di incriminare la condotta compiuta dall’imputato, dal punto di vista del diritto comunitario (che si assume come sistema normativo prevalente sul diritto interno)».
[49] Ci si riferisce in particolare all’orientamento fatto proprio da C. cost. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349, con commento di M. Cartabia, Le sentenze «gemelle»: diritti fondamentali, fonti, giudici, in «Giur. cost.», 2007, pp. 3564 ss., che riconosce che il contrasto tra norme internazionali pattizie, in particolare quelle CEDU, e le norme primarie interne debba essere risolto con la proposizione di una questione di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 117 Cost., e non con la disapplicazione da parte del giudice interno delle norme interne contrastanti.
[50] La dottrina riconosce come la Corte costituzionale abbia negato l’effetto diretto delle disposizioni internazionali della Convenzione EDU al fine di differenziare lo statuto di tale convenzione rispetto al diritto UE e negare che il giudice, per darle applicazione, possa direttamente disapplicare il diritto interno confliggente anziché sollevare questione di legittimità costituzionale (C. Cost. 348/2007: «la distinzione tra le norme CEDU e le norme comunitarie deve essere ribadita nel presente procedimento (…) nel senso che le prime, pur rivestendo grande rilevanza, in quanto tutelano e valorizzano i diritti e le libertà fondamentali delle persone, sono pur sempre norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nell’ordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando nello stesso tempo le norme interne in eventuale contrasto». L’unico effetto diretto delle norme convenzionali che il giudice delle leggi avrebbe inteso escludere sarebbe quello che si accompagna alla non applicazione delle norme interne in eventuale conflitto con esse. Così, V. Sciarabba, Metodi di tutela dei diritti fondamentali tra fonti e corti nazionali ed europee: uno schema cartesiano nella prospettiva dell’avvocato, in «Consulta online», 2019, n. 1, pp. 218 ss.
[51] Si pone questo problema, risolvendolo in senso favorevole all’applicazione delle norme internazionali vincolanti a seguito di ratifica da parte del giudice ordinario, Viganò, L’influenza delle norme sovranazionali nel giudizio di antigiuridicità del fatto tipico, cit., p. 1067. Sembra distinguere le norme eurounitarie dalle norme internazionali in relazione alla possibilità di trovare applicazione diretta ai sensi dell’art. 51 c.p., recentemente Cass. pen., sez. II, 7 giugno 2019, n. 38277, cit., secondo cui «le fonti dell’UE (come premesso, ontologicamente distinte dalla Convenzione EDU) potrebbero prevedere, con efficacia immediatamente vincolante per il giudice interno, nuove cause di giustificazione, attribuendo diritti il cui esercizio potrebbe scriminare l’agente ex art. 51 c.p.».
[52] Per le diverse modalità di adattamento, a seconda che si tratti del diritto internazionale generale o pattizio, e di norme autoapplicative o necessitanti di norme di trasposizione, N. Ronzitti, Introduzione al diritto internazionale, Torino, Giappichelli, 2009, pp. 231 ss. Discorso a parte va fatto per l’adattamento al diritto eurounitario, su cui ampiamente, Tesauro, Diritto dell’Unione europea, cit. pp. 161 ss.
[53] Per una recente riflessione sulla nozione, cfr. R. Baratta, L’effetto diretto delle disposizioni internazionali self-executing, in «Riv. dir. intern.», 2020, n. 1, pp. 5 ss. L’autore, in particolare, individua l’effetto diretto sulla base tanto della completezza quanto dell’idoneità della norma a disciplinare situazioni giuridiche individuali.
[54] CGUE, 5 febbraio 1963, C-26/62, Van Gend en Loos.
[55] Cfr. Tesauro, Diritto dell’Unione europea, cit., pp. 165 ss.
[56] CGUE, 4 dicembre 1974, C-41/74, van Duyn. Più recentemente CGUE, 28 aprile 2011, C-61/11, El Dridi.
[57] CGUE, G.S., 6 novembre 2018, C-684/16, Max-Planck-Gesellschaft.
[58] Sulla posizione dell’individuo nel diritto internazionale, cfr. A. Peters, Beyond human rights. The legal status of the individual in international law, Cambridge, Cambridge University Press, 2016.