Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/p1
Andreas Wirsching tratteggia i principali sviluppi temporali dell’argomento politico «Weimar» dal 1919 ai giorni nostri, soffermandosi in particolare sugli slittamenti di senso della Costituzione weimariana nei processi di costruzione dell’identità nazionale democratica dei tedeschi. Identificata a partire dalla fine degli anni Cinquanta come una delle principali cause del fallimento della prima esperienza democratica in Germania, in tempi più recenti la Weimarer Verfassung sembra essere uscita definitivamente dal cono d’ombra. L’autore ripercorre quest’evoluzione interpretativa, illustrando la prospettiva di coloro che si trovarono a gestire il momento costituente nel 1919, per poi mettere in relazione questa esperienza con le successive rielaborazioni della storia di Weimar e le correlate
{p. 17}logiche di legittimazione del nuovo assetto politico democratico della Germania federale. Wirsching suggerisce quindi di correggere le due letture antitetiche della Costituzione come «difetto di nascita» ovvero come esempio precoce di grande modernità e innovazione, attraverso un’analisi che tenga maggiormente conto delle motivazioni di fondo che guidarono l’azione dei padri costituenti. Wirsching pertanto prende esplicitamente le distanze dai modelli esplicativi del fallimento della repubblica centrati sull’analisi delle cause esogene, ponendo invece l’accento su quello che egli definisce «il metodo della promessa» – una logica intrinseca alla fase costituente della prima democrazia tedesca e recante con sé sia un atteggiamento di chiara cesura rispetto al passato, sia una promessa di autodeterminazione collettiva e individuale che il concorso di vari fattori di natura interna e internazionale avrebbe finito per frustrare.
Anche Alexander Gallus si confronta con il tema delle interpretazioni controverse che di Weimar sono state date dai contemporanei, in questo caso mettendo al centro dell’analisi il momento rivoluzionario del novembre 1919. L’autore contesta la linearità interpretativa di alcune narrazioni che ricercano nella rivoluzione del 1919 l’explanandum di tutto ciò che sarebbe seguito. Adottando un approccio storicista, Gallus mostra anzitutto come gli orizzonti di aspettativa dei contemporanei furono molto più differenziati di quanto alcune di queste interpretazioni lasciano talvolta intendere. Politici e intellettuali di tutte le principali culture politiche presero posizione rispetto alla rivoluzione, spesso con atteggiamenti molto critici. Comunisti da un lato, e conservatori e nazionalisti dall’altro, contribuirono alla costruzione del topos della «rivoluzione tradita», sia pure ricorrendo ad argomenti propagandistici diversi: per i primi il tradimento si sarebbe compiuto ai danni della nazione, mentre per i secondi a discapito dei lavoratori. Tra i partiti filo-istituzionali e in particolare all’interno della socialdemocrazia tedesca si registrò invece una varietà di posizioni e un’ambiguità di fondo che ostacolarono sul fronte dei repubblicani il radicamento di una disposizione culturale positiva condivisa nei confronti dell’esperienza weimariana. Le {p. 18}successive rielaborazioni del momento rivoluzionario vengono anche in questo caso messe in relazione con le suggestioni del nuovo presente e in particolare con quelle ispirate dalla Guerra fredda, dal Sessantotto e dalla rinnovata discussione sulle fragilità intrinseche della democrazia all’inizio del XXI secolo; suggestioni che, secondo Gallus, non sempre consentono di mettere nella giusta luce le idee, le aspettative e le esperienze dei protagonisti di Weimar.
Dirk Schumann focalizza l’attenzione sui fenomeni della liberalizzazione e della militarizzazione della società tedesca postbellica. La tesi principale sostenuta dall’autore è che questi due fenomeni non furono affatto in contrasto tra loro, ma si intrecciarono e si condizionarono a vicenda. Punto di partenza dell’analisi è l’origine comune dei due fenomeni, che va ricercata nelle dinamiche della guerra e poi nella rivoluzione del biennio 1919-1920 e, nella fattispecie, nella crisi di autorità che si determinò in quel periodo e che ebbe come protagonista la giovane popolazione maschile. Secondo Schumann, gli effetti di questa crisi di autorità furono poi amplificati negli anni successivi dalle conquiste collettive e individuali della moderna società di massa, con il complesso carico di aspettative ma anche di preoccupazioni per il futuro. Nel contributo di Schumann il nesso tra liberalizzazione e militarizzazione riflette dunque un più ampio cortocircuito che si sviluppò tra la svolta democratica e i cambiamenti radicali della modernità. Gli intrecci tra i due fenomeni vengono osservati in alcuni settori della vita associativa weimariana, in particolare in quello dello sport. Il crescente favore dei tedeschi verso la militarizzazione della società viene messo in relazione al ruolo sempre più importante che svolsero le unità paramilitari riconducibili ai diversi schieramenti politico-ideologici. Schumann richiama quindi l’attenzione non solo sulla radicalizzazione delle forze ostili all’ordinamento repubblicano-democratico, ma anche sulle dinamiche che riguardarono le organizzazioni e i movimenti filo-istituzionali come il Reichsbanner, un’associazione di veterani trasformatasi in forza di protezione della repubblica. Nel contemperare e soppesare i processi e gli intrecci di liberalizzazione e militarizzazione come fattori di {p. 19}delegittimazione e disgregazione dell’ordinamento democratico Schumann prende esplicitamente le distanze da un’interpretazione basata sull’idea dell’inevitabilità del fallimento della Repubblica di Weimar, e sottolinea invece l’importanza degli effetti prodotti dalla crisi economica.
Nadine Rossol richiama l’attenzione su un aspetto a lungo trascurato dalla ricerca storica: lo spazio della partecipazione politica militante non fu occupato soltanto dai nemici dalla repubblica, ma anche dai suoi sostenitori. Il contributo di Rossol s’iscrive all’interno di un più recente filone di ricerca interessato a studiare le forme e le pratiche della rappresentazione politico-culturale-simbolica negli anni della Repubblica di Weimar. In particolare, attraverso una ricostruzione delle celebrazioni in onore della Costituzione nel periodo 1919-1933 l’autrice mette in discussione la tesi del presunto deficit di rappresentazione della Repubblica di Weimar, argomentando che le iniziative e le modalità di mobilitazione dei democratici furono tutt’altro che irrilevanti sia a livello nazionale che locale. D’altra parte, sostiene Rossol, la focalizzazione sulle feste della Costituzione non deve portare a oscurare le molte ambiguità presenti nel campo repubblicano: le forme di autorappresentazione della repubblica furono spesso oggetto di critica e di contesa tra gli stessi promotori nazionali e locali. Tra i principali motivi di discordia evidenziati, spicca la questione fondamentale di come i repubblicani dovessero rapportarsi con i «nemici» dello Stato: se cioè fosse preferibile cercare di includerli gradualmente o promuovere contro di loro un’aggressiva azione propagandistica in difesa dei principi e dei valori democratico-repubblicani. In questa tensione irrisolta interna al composito mondo dei repubblicani tedeschi degli anni Venti si può certamente rintracciare un ulteriore fattore di fragilità della democrazia weimariana.
Jan-Otmar Hesse e Elisa Poletto offrono una nuova prospettiva sulle implicazioni della crisi economica internazionale, esplorando il tema dell’interconnessione globale dell’economia di Weimar. I due autori prendono nettamente le distanze dalla tesi di un complessivo processo di de-globalizzazione che avrebbe finito per aggravare la situazione economica della {p. 20}Germania. Integrando i dati sul commercio estero con quelli relativi all’interconnessione globale delle aziende tedesche, Hesse e Poletto riescono a dimostrare come l’economia weimariana riuscì, almeno in parte, ad adattarsi e a contrastare i processi di disintegrazione dell’economia internazionale. In una prima fase, le aziende tedesche riuscirono a eludere i divieti politici e le discriminazioni burocratico-amministrative del dopoguerra ricorrendo a un sistema di filiali estere «camuffate»; dopo il periodo dell’iperinflazione, invece, le industrie esportatrici tedesche adattarono le loro strategie alle nuove forme dell’economia globale, promuovendo a loro volta una «cartellizzazione» interna in risposta all’intensificazione della concorrenza sul mercato globale e organizzando la catena globale del valore a livello nazionale attraverso un’integrazione verticale completa. Inoltre, le imprese tedesche implementarono le loro strategie sul mercato estero stipulando una serie di accordi con i concorrenti stranieri la cui importanza era cresciuta rispetto al periodo prebellico. Hesse e Poletto si soffermano in particolare sulle imprese del settore bancario, sull’industria della lavorazione del ferro e sull’industria chimica. Le evidenze empiriche indicano per questi settori un livello di interconnessione globale dell’economia tedesca che tuttavia sfugge alle statistiche del commercio estero sulle quali per molto tempo è stata fondata la tesi di una sostanziale de-globalizzazione dell’economia weimariana.
Il contributo di Gustavo Corni sulla politica agraria aggiunge un ulteriore tassello per comprendere la radicalità delle trasformazioni della società postbellica in Germania. Per il settore agricolo, ricorda Corni, le implicazioni della Prima guerra mondiale furono dirompenti, ove si considerino l’enorme numero di vittime civili per denutrizione, gli effetti catastrofici sulla produzione, l’inasprirsi dei rapporti fra città e campagne, l’aggravarsi della crisi di legittimazione dello Stato e l’impatto devastante sulla tenuta del fronte interno nell’autunno 1918. All’indomani della nascita della Repubblica weimariana, i responsabili decisionali si trovarono quindi a gestire una più ampia crisi sociale che presto si sarebbe intrecciata con la crisi economica internazionale e con le fragilità della prima {p. 21}democrazia tedesca. Corni illustra e soppesa i molteplici fattori che determinarono il cortocircuito tra la crisi dell’agricoltura e la crisi della repubblica, tra cui: l’aggravamento della crisi strutturale, a cui dal 1929-1930 si sovrappose la crisi economica generale; l’inasprimento delle tensioni sociali nelle campagne; un indebolimento complessivo delle istituzioni repubblicane, che viene in parte collegato alle dinamiche interne ai governi presidenziali, in parte alla radicalizzazione della protesta del mondo rurale che fino a quel momento non aveva trovato espressione in movimenti articolati soprattutto a causa delle diversità regionali. L’incapacità dei partiti moderati di dare rappresentanza a uno dei settori più colpiti dalla guerra mondiale e dalla crisi economica internazionale e la crescente litigiosità interna ai governi presidenziali sulle scelte di politica economica furono quindi abilmente sfruttate dal partito nazionalsocialista (NSDAP), il quale riuscì a cavalcare il malessere del mondo rurale e a trasformarlo in consenso elettorale.
Moritz Föllmer affronta un tema ancora poco esplorato dalla ricerca storica, eppure cruciale per la comprensione del nesso di relazione tra democrazia e modernità nell’esperienza weimariana – la tensione irrisolta tra le aspirazioni all’autonomia individuale e le spinte collettivistiche dell’epoca. Föllmer accentua la grande rilevanza che ebbero le aspirazioni all’autonomia individuale nella società tedesca del primo dopoguerra, sostenendo che esse si manifestarono con maggiore irruenza rispetto al passato, producendo tuttavia il più delle volte effetti contraddittori. Le ragioni profonde di questa spinta all’individualizzazione delle aspettative vengono ricondotte in parte ai processi di modernizzazione sociale e di liberalizzazione politica risalenti al XIX secolo, in parte alle conseguenze della cesura epocale segnata dall’esperienza storica della Prima guerra mondiale. In questo contesto viene ulteriormente sviluppato il tema tocquevilliano già richiamato nel contributo di Wirsching della democrazia come portatrice di una promessa di autodeterminazione individuale e delle sue intrinseche contraddizioni. Föllmer argomenta infatti che paradossalmente furono soprattutto le forze democratiche a incontrare le maggiori difficoltà a intercettare e soddisfare
{p. 22}le nuove istanze create dal nuovo assetto politico. Al tempo stesso l’autore introduce un ulteriore elemento di riflessione sostenendo che le spinte all’autonomia individuale non sempre si trovarono in contrasto con gli ideali collettivistici incarnati dai partiti antidemocratici. Il partito nazionalsocialista, ed è questa una delle tesi centrali avanzate da Föllmer, riuscì a inglobare il tema dell’individualizzazione delle aspettative all’interno della sua piattaforma ideologico-programmatica e a trarne grande beneficio in termini di consensi.
Note