Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c12
In Germania, l’interesse degli storici contemporaneisti si concentra sugli anni della dittatura nazista ma non sulle battaglie che la prima democrazia tedesca dovette combattere per la propria affermazione e sopravvivenza. In pratica sono stati {p. 263}rimossi dal discorso sul passato alcuni fatti, come ad esempio le trattative per il Trattato di pace di Versailles (1919), che non furono un diktat puro e semplice dei vincitori, la guerra civile che fu sul punto di scoppiare in seguito all’attentato mortale a Walther Rathenau nel 1922 ma portò anche ad una storicamente inaudita e mai più ripetutasi unità d’azione dei tre partiti operai, gli scandali Barmat, nel 1924, e Sklarek, nel 1929, che contribuirono non poco a screditare la repubblica [6]
, e infine il fatto che a rendere ingovernabile la crisi economica non fu tanto la politica di contenimento delle spese di Brüning quanto piuttosto il piano Dawes-Young. Un tempo appassionatamente dibattuti, questi temi non sono stati durevolmente al centro dell’attenzione degli storici e quindi ad essi non è stato riservato un posto stabile nella memoria della nazione. Per usare le parole di Ernesto Laclau, sono divenuti «vuoti significanti» e rappresentano un «vuoto culturale in tema di memoria» [7]
, condensato in formule brevi e spesso oggettivamente insostenibili, stando alle quali ad esempio il Trattato di Versailles avrebbe causato la rovina della repubblica, l’assassinio di Rathenau sarebbe stato causato da puro e semplice odio antisemita, il ceto politico weimariano sarebbe stato corrotto e incapace, le difficoltà causate dalla crisi economica sarebbero state ingigantite dalla politica di tagli di bilancio di Brüning e il fallimento della democrazia weimariana sarebbe stato provocato dalla immaturità dei cittadini. Scarsa considerazione hanno incontrato gli sforzi compiuti negli anni immediatamente successivi alla fondazione della repubblica dalla coalizione weimariana, che dopo una disastrosa guerra perduta riportò il Paese nel nuovo ordine internazionale e non solo riuscì a reinserire nel processo economico milioni di soldati smobilitati
{p. 264}senza peraltro provocare una disoccupazione di massa, ma riuscì anche ad ottenere sul piano legislativo altri significativi risultati, come la giornata lavorativa di otto ore, i contratti collettivi e l’assicurazione per i disoccupati.
Sta di fatto che la Repubblica di Weimar divenne in larga misura un «non luogo», e non solo in senso materiale ma anche figurato. In nessuna scuola tedesca c’è una cattedra per l’insegnamento della sua storia. Dei 122 contributi che Étienne François e Hagen Schulze hanno raccolto nei loro Deutsche Erinnerungsorte (Luoghi tedeschi del ricordo) pochi sono quelli che anche soltanto sfiorano gli anni di Weimar e solo due – sul Trattato di Rapallo e sulla Bauhaus – sono quelli che li riguardano direttamente. Quando ci occupiamo della storia della Repubblica weimariana, non la leggiamo a partire dai suoi promettenti esordi come un romanzo di formazione o una romanza nel senso di Hayden White, ma attraverso la lente appannata del suo inesorabile fallimento essa ci appare come una storia di rovinoso declino o come una tragedia. Quello che ricordiamo di quegli anni, infatti, sono le tappe della disfatta: lo scoppio della rivoluzione di novembre nel segno della violenza, il peso del Trattato di Versailles, il debole comportamento della democrazia alle prese con la rapida ed inaspettata «ondata di destra» (Ernst Troeltsch), la politica nel segno del binomio amico-nemico e l’inarrestabile avanzata del movimento nazionalsocialista. Nel «pantheon» delle tradizioni tedesco-federali non trova posto la Repubblica di Weimar nella sua fase ascendente ma solo la sua fine, e i suoi punti di fuga sono il giorno della presa del potere da parte dei nazisti (30 gennaio 1933) e la «giornata di Potsdam» (21 marzo 1933), ma non il giorno della proclamazione della repubblica (9 novembre 1918) e ancor meno il giorno in cui il presidente del Reich Ebert promulgò la nuova Costituzione (11 agosto 1919). Quanto la prima repubblica tedesca fosse stata espunta dal ricordo pubblico, basta a provarlo la parabola politica di Otto Braun, che in qualità di Ministerpräsident tra il 1920 e il 1932 fece della Prussia un baluardo della democrazia. Ci sono voluti sessant’anni e l’avvicendamento di tre sistemi politici prima che a Berlino venisse finalmente intitolata una strada {p. 265}a Braun. Il suo ricordo è stato offuscato dal fatto che, ormai senza più alcun potere, si salvò ritirandosi in volontario esilio dopo la sua destituzione, avvenuta il 20 luglio del 1932 ad opera del governo presieduto da Franz von Papen. Ma un analogo destino di oblio è toccato anche ad altri coraggiosi difensori della repubblica come i ministri degli Interni prussiani Albert Grzesinski e Carl Severing [8]
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2. Il ritorno del ricordo

Malgrado queste evidenze, oggi non si può dire che la repubblica sia completamente dimenticata; e se nel volto della città la democrazia di Weimar, a lungo oscurata, è ancora difficilmente riconoscibile, negli anni scorsi essa si è venuta trasformando nel discorso pubblico in un passato così presente da divenire un imprescindibile punto di riferimento di dibattiti giornalistici, mostre in occasione del giubileo e eventi commemorativi. A che cosa si deve un cambiamento così repentino?
Una prima spiegazione può essere data dal fascino che sempre esercitano i parallelismi storici. Quanto grande sia nel dibattito pubblico la preoccupazione per un possibile ritorno di Weimar, lo ha tra l’altro palesato una mostra allestita nel 2019 dal Museo storico tedesco di Berlino, i cui curatori non a caso le hanno dato lo stesso titolo – Vom Wesen und Wert der Demokratie – di un libro di Hans Kelsen pubblicato nel 1920. Il cartello posto all’ingresso accoglieva i visitatori con queste parole: «Oggi la democrazia liberale non è più scontata ma è nuovamente in pericolo». Che con questo chiaro collegamento tra la prima e la seconda repubblica tedesca la mostra abbia colpito molti visitatori, lo provano le annotazioni che si possono leggere nel libro ad essi riservato: «Bella mostra, che induce a riflettere su quanto spesso la storia si ripete», scrive ad esempio una visitatrice il 10 giugno del 2019. «Una mostra {p. 266}molto bella, che assume un significato ancora molto attuale», annota proprio il visitatore successivo, che così si inserisce in uno schema narrativo storico che mette in guardia dal ritorno di funeste tendenze dell’epoca weimariana e negli ultimi anni ha visto aumentare in maniera sorprendente la sua forza di attrazione [9]
. Così come la coalizione weimariana composta da SPD, Zentrum e DDP perse la maggioranza al Reichstag in seguito all’esito sfavorevole delle elezioni politiche del 6 giugno 1920, anche la Große Koalition della Repubblica federale ha nel frattempo perso la sua. Soprattutto la rovinosa sconfitta dell’SPD ha indotto a stabilire un parallelo con quanto avvenne durante la Repubblica di Weimar, allorché l’SPD passò dal 29,8% del 1924 (elezioni di maggio) al 20,4% del novembre 1932; senza contare che, non diversamente da oggi, anche nel 1930, con Müller cancelliere, il partito era nettamente diviso tra i sostenitori di un programma con tratti visionari e un’ala più pragmatica e attenta al contesto politico. Ancora una volta si trattava della differenza tra promesse elettorali e scelte dettate dalla situazione reale e, come nel 1930, anche nel 2019 sembra che la base del partito ritenga che esso possa recuperare la sua credibilità solo prendendo le distanze dal potere.
Il secondo fattore alla base di un allarmante parallelismo è dato dal sorprendente rafforzamento del populismo di destra, che nel frattempo ha ulteriormente approfondito, attribuendole nuove forme, la frattura Est-Ovest, e in Sassonia e Turingia, ma anche nel Meclemburgo-Pomerania Anteriore e Brandeburgo ha alimentato ampie zone di intimidazione sociale. Grande preoccupazione hanno sollevato nella Berlino politica i risultati delle elezioni per il rinnovo del Landtag che si sono tenute in Sassonia e Brandeburgo nel settembre del 2019, elezioni che certo non hanno visto l’AfD (Alternativa per la Germania) diventare il più forte partito all’Est ma hanno costretto gli altri partiti a dare vita ad alleanze di scopo che a livello programmatico presentano pochi punti di interazione. Anche {p. 267}in occasione delle elezioni tenutesi in Turingia nell’autunno del 2019 l’AfD ha ottenuto un chiaro successo raddoppiando i suoi voti (che ora assommano al 23,4%), con il risultato, tra l’altro, che proprio nel Land che nel 1930 fu il primo in cui la NSDAP riuscì ad entrare nel governo un elettore su quattro ha dato il suo voto ad un partito il cui candidato di punta, un deciso e dichiarato estremista di destra, civetta disinvoltamente con la sua vicinanza politica al nazionalsocialismo e per giunta è riuscito a trascinare nel ridicolo il sistema parlamentare dal momento che il neo eletto Ministerpräsident Kemmerich (FDP) si è visto costretto a rassegnare le dimissioni ad appena ventiquattro ore dalla sua entrata in carica.
Un parallelo non meno preoccupante emerge allorché si guarda al di fuori dei confini nazionali. Come nel periodo tra le due guerre mondiali, l’attuale perdita di validità e appeal della democrazia e dei valori liberali che ne stanno alla base non è solo un fenomeno tedesco, ma globale. Ovunque si volga lo sguardo, dall’Ungheria alla Polonia fino all’Olanda, dalla Francia alla Danimarca, dalla Russia fino agli USA la democrazia liberale appare in ritirata e le idee correnti di una modernità trionfante vanno di pari passo con il disprezzo del compromesso come fondamentale principio politico. Il populismo di destra elogia la democrazia illiberale, che ha in Victor Orbán il suo principale rappresentante, e la putiniana uprawljajemaja demokratija, vale a dire una «managed democracy» (formalmente tale ma in realtà guidata), attualmente ha il vento in poppa grazie alla rinascita del nazionalismo, per il quale la popolazione di uno Stato non è tanto il demos che si forma con e tramite la Costituzione ma è piuttosto l’ethnos che preesiste allo Stato.
Ma questi evidenti parallelismi non bastano a spiegare il rinnovato interesse per Weimar. Ad uno sguardo più approfondito, infatti, dietro i palesi punti di contatto si celano fondamentali differenze. La Repubblica di Weimar nacque ‘nella’ sconfitta e non parecchio tempo ‘dopo’ la sconfitta come la Repubblica federale; la prima dovette reggere il confronto con la grandezza del passato Impero guglielmino, per la seconda si trattò soprattutto di cogliere l’occasione per il ritorno ad un normale ordinamento statale. Mentre la prima repubblica {p. 268}tedesca si vide gravare della responsabilità per la sconfitta patita e dovette anche cercare di affermarsi in un mondo di Stati ad essa ostili, la seconda venne fondata nel quadro di una organizzazione sovranazionale interessata al suo rafforzamento in un mondo ormai diviso in due a causa della Guerra fredda. Anche nell’ambito degli sviluppi interni l’attuale Repubblica federale si distingue in modo sostanziale dalla repubblica che l’ha preceduta: nel suo ordinamento giuridico essa infatti fa tesoro delle esperienze weimariane. Inoltre, essa è l’espressione di una cultura politica che non deve temere l’accanita concorrenza di ideologie e progetti sociali radicalmente diversi e si distingue per la sostanziale assenza di violenza politica. Non solo: può contare su uno stabile ordinamento economico-sociale, che a differenza di quello weimariano è stato in grado di erogare le sue prestazioni sociali anche in presenza di un massiccio aumento dell’allora minore tasso di disoccupazione, mentre della assicurazione obbligatoria sulla disoccupazione introdotta nel 1927 potevano beneficiare non più di 800.000 persone rimaste senza lavoro.
Un’altra caratteristica della Repubblica federale è la presenza di un vasto centro democratico che, anche se regionalmente differenziato e caratterizzato da un persistente divario città-campagna, è ben lungi dal dissolversi come invece avvenne negli anni di Weimar. Alla sconfitta dell’SPD fa da contralto l’aumento dei Verdi, mentre alla crescita del populismo di destra si contrappone l’apertura della CDU al centro liberale e il graduale inserimento del partito della sinistra (Die Linke) in un sistema condiviso di valori democratici. Il potere di coesione del principio democratico è così forte che perfino l’AfD, che si considera e si presenta come una forza antisistema, non vi si riconosce solo in modo retorico visto che nel suo programma rende omaggio al «fondamentale principio democratico della separazione dei poteri» [10]
, ma interpreta il diritto di partecipazione di tutti gli iscritti al partito in un modo
{p. 269}così radicalmente democratico che i suoi congressi rischiano regolarmente di affondare nel caos provocato dalle continue richieste di intervento.
Note
[6] In un caso rimase coinvolto un precedente cancelliere (Gustav Bauer), che venne così sconfessato, nell’altro un potente borgomastro (Gustav Böß). Sul punto cfr. S. Malinowski, Politische Skandale als Zerrspiegel der Demokratie. Die Fälle Barmat und Sklarek im Kalkül der Weimarer Rechten, in «Jahrbuch für Antisemitismusforschung», 5, 1996, pp. 46-64.
[7] V. Wirtz, Flaggenstreit. Zur politischen Sinnlichkeit der Weimarer Demokratie, in M. Dreyer - A. Braune (edd), Republikanischer Alltag. Die Weimarer Demokratie und die Suche nach Normalität, Stuttgart, Franz Steiner, 2017, pp. 51-66, qui p. 52.
[8] Su Severing si veda un recente lavoro di: V. Köhler, Bürokratie, Politik und Klienten. Carl Severing als Patron und Parteigenosse, in M. Dreyer - A. Braune (edd), Republikanischer Alltag, pp. 119-134.
[9] H. Kiesel, Hässlich entstellt in den Untergang. Berlin ist nicht Weimar, heißt es. Zu Recht? Unheilvolle Tendenzen aus der Weimarer Republik kehren wieder. Man darf sie nicht unterschätzen, in «Frankfurter Allgemeine Zeitung», 15 ottobre 2018.
[10] «Noi anteponiamo il principio dello Stato di diritto, il rispetto dei patti e la legittimazione democratica all’azionismo di corto respiro e alla ricerca del facile effetto per scopi puramente elettorali», in Programm für Deutschland. Das Grundsatzprogramm der Alternative für Deutschland, Stuttgart 2016, pp. 18 s.