Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c8
Secondo: l’iniziativa di inserire una frase così concepita fu presa dalla DDP, e in particolare da Friedrich Naumann, già in seno alla Commissione (dei 28) incaricata di redigere il testo definitivo della Costituzione. Si può supporre che Naumann abbia agito anche d’intesa con le suffragette liberali che facevano parte del gruppo della DDP in seno alla Assemblea nazionale. Tra di loro c’erano anche Gertrud Bäumer, presidente del Bund Deutscher Frauenvereine (BDF) e quindi rappresentante della più grande associazione femminile allora esistente in Germania, e Marie Baum, anch’essa molto attiva nel BDF e in altre associazioni femminili [4]
. Come le loro colleghe dell’SPD, queste donne impegnate in politica vantavano una lunga esperienza in fatto di discriminazione femminile fondata su una gerarchia di genere ancora considerata «naturale». Tutte loro avevano attivamente partecipato al dibattito sul nuovo codice civile del 1900, che aveva ampiamente riconfermato il ruolo subordinato della donna in famiglia e nel matrimonio. Conoscevano i molti dibattiti sulla parità di diritti per le donne, dibattiti che riguardavano in particolare l’ammissione agli istituti
{p. 196}d’istruzione e ai partiti politici, l’uguaglianza di trattamento negli istituti di assistenza sociale, la posizione giuridica delle madri di figli illegittimi e molto altro ancora. Sulla scorta di queste esperienze le donne che svolgevano attività politica nelle file socialdemocratiche e liberali ritenevano necessario superare gli steccati dell’appartenenza partitica e operare all’unisono per ottenere che venisse espressamente costituzionalizzato il principio dell’uguaglianza di genere. Un principio che avrebbe dovuto essere formulato in questo modo: «Le donne e gli uomini hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri civici» [5]
. Ma la formulazione adottata per il testo da sottoporre all’esame dell’Assemblea costituente recitava invece: «Uomini e donne hanno ‘fondamentalmente’ gli stessi diritti e gli stessi doveri civici» [6]
. Anche coloro i quali non sono pratici di diritto capiscono subito (e lo capirono anche all’epoca) che quell’aggiunta mirava a rendere possibile l’introduzione di eventuali eccezioni. Già in seno alla Commissione dei 28, allorché venne proposto di introdurre questa aggiunta gli esponenti del Zentrum cattolico e della DDP osservarono che non «c’era ancora certezza in merito alle implicazioni e agli effetti della disposizione in tutti i possibili dettagli» e che quindi era meglio «procedere con cautela e in termini generali nella direzione indicata» [7]
. Questa stessa cautela emerge anche dal dibattito in sede di Assemblea nazionale.
L’articolo in discussione sollevava due questioni fondamentali che erano di primaria importanza soprattutto per i socialdemocratici: da un lato (secondo comma), la parità di diritti come principio costituzionale fondamentale, e, dall’altro, nelle frasi seguenti, il rapporto con la nobiltà e i suoi privilegi nella nuova repubblica. Le discussioni su questo articolo tematizzarono quindi entrambe queste problematiche: alcune oratrici, {p. 197}come la socialdemocratica Marie Juchacz, si occuparono in prevalenza del principio di uguaglianza, mentre altri, come il tedesco-nazionale conte Posadowsky-Wehner, preferirono intervenire sulla questione della nobiltà. L’SPD e la USPD avanzarono due chiare richieste: da un lato chiesero di eliminare le parole «fondamentalmente» e «doveri», e dall’altro proposero di aggiungere una frase così formulata: «Le disposizioni del diritto pubblico e privato vanno conseguentemente modificate» [8]
. Entrambe le proposte si scontrarono con una forte opposizione anche nelle file dei partiti della coalizione weimariana, la DDP e il Zentrum. Entrambi i partiti giustificarono la loro presa di posizione sostenendo che erano contrari a portare «all’estremo la parificazione» (Zentrum) e che l’«esercizio dei nostri (delle donne, KH) doveri civici non potesse prescindere dalla natura fisica e psichica della donna». L’oratore della DDP si disse totalmente d’accordo e aggiunse che, se accolta, la proposta delle sinistre volta ad estendere il principio di uguaglianza anche al diritto privato non avrebbe fatto altro che aumentare la confusione e l’incertezza e quindi andava senz’altro respinta. Aggiunse anche che non voleva che si spingesse la parità dei diritti civici fino al punto di mettere in discussione il ruolo subordinato della donna:
«Tutte le donne dovrebbero avere il diritto di rivestire una carica onorifica e dovrebbero poter assumere questi obblighi. Ma voi non dovete comunque privare una moglie del diritto di lasciare un tale incarico nel caso in cui abbia dei figli. Non potete certo riconoscere un simile diritto ad un uomo; finora una cosa del genere non è mai avvenuta».
In tal modo l’oratore della DDP pose l’accento su quello che era il principale motivo di dissenso tra la sinistra, i liberali (maschi) e gli esponenti del Zentrum: la raggiunta equiparazione tra uomini e donne sul terreno politico-elettorale doveva essere estesa anche ad altre branche del diritto? Le donne della sinistra e alcune donne liberali risposero affermativamente a questa domanda. Luise Zietz (USPD) fu molto chiara: «Noi {p. 198}vogliamo che questa Costituzione affermi chiaramente che la riforma del diritto civile va posta subito all’ordine del giorno». L’SPD e l’USPD nonché le «deputate democratiche presenti (!)» [9]
approvarono quindi la proposta della sinistra, che tuttavia venne respinta con 149 voti contrari e 119 favorevoli [10]
. Con il risultato che l’articolo 109 della Costituzione weimariana coincise alla fine con il testo proposto dalla Commissione: «Uomini e donne hanno fondamentalmente gli stessi diritti e doveri civici». In tal modo, se da un lato venne costituzionalizzato il principio della parità tra uomini e donne sotto il profilo dei diritti e dei doveri civici, dall’altro non venne escluso che tale parità potesse essere limitata o abolita in relazione a particolari materie, soprattutto quando fossero entrati in gioco compiti specificamente riconducibili al genere. Nel dibattito in seno all’Assemblea nazionale questa questione venne sollevata soprattutto in relazione al tema del servizio militare obbligatorio. Ma poiché un deputato socialdemocratico fece notare che anche «moltissimi uomini sono esonerati dall’obbligo del servizio militare e non per questo cessano di avere gli stessi diritti di quelli che vi sono soggetti» e ai quali non venivano certo riconosciuti diritti politici e civili diversi, questo argomento venne presto lasciato cadere.
Nel complesso si può dire che il dibattito in seno all’Assemblea nazionale mostra che la coalizione weimariana (SPD, DDP e Zentrum) non trascurò il tema della uguaglianza di genere ma che in ogni caso la maggioranza dei deputati intese trattarlo solo sotto il profilo dei diritti e dei doveri civici, con particolare riferimento al diritto di voto attivo e passivo. Una riforma anche del diritto civile, per lo meno sotto forma di una dichiarazione di intenti del legislatore che andasse in questa direzione, era sostenuta solo dalla sinistra e dalle donne che militavano nel partito liberale di sinistra e quindi da una piccola minoranza {p. 199}della Assemblea nazionale. Alla fine, il testo approvato fu il risultato di un compromesso tra le posizioni più conservatrici in materia di riconoscimento della parità di genere e le timide proposte di riforma dello schieramento socialdemocratico e liberale, in ogni caso un compromesso in grado di ottenere l’approvazione della maggioranza dell’Assemblea. L’articolo 109 non escludeva, è vero, una parità di fatto tra uomini e donne, ma l’espressione «diritti e doveri civici» in esso contenuta rafforzava ulteriormente la restrizione già introdotta tramite il ricorso all’avverbio «fondamentalmente».

2. Uguaglianza e cultura politica nella Repubblica di Weimar

Nelle successive discussioni in seno al Reichstag e alle sue commissioni furono quasi esclusivamente le deputate, soprattutto dell’SPD e della DDP, a prendere l’iniziativa per cercare di ottenere una riforma del diritto civile e di altre branche sulla base dell’uguaglianza di genere. Nella Costituzione c’erano altri due articoli il cui contenuto chiamava direttamente in causa lo status giuridico delle donne. Da una parte l’articolo 119, comma 1: «Il matrimonio, quale fondamento della vita della famiglia, e del mantenimento e potenziamento della nazione, è posto sotto la speciale protezione della costituzione. Esso è fondato sull’uguaglianza dei due sessi», e dall’altra l’articolo 128, comma 2: «Sono abolite tutte le norme di eccezione nei confronti delle donne impiegate». Anche questi due articoli potevano aprire la strada ad un processo riformatore, processo che tuttavia non trovò posto nel concreto lavoro politico dell’assemblea. L’uguaglianza delle donne nel diritto pubblico non recò con sé alcun cambiamento a livello di diritto privato, e in particolar modo nell’ambito del diritto di famiglia. La forte discrepanza esistente tra queste due branche del diritto rappresenta quindi la causa principale della persistente disuguaglianza sociale tra uomini e donne non solo in Germania, ma anche in tutti gli altri Paesi europei. Il modello scandinavo evidenzia questo aspetto in un modo per così dire positivo. In Svezia lo status giuridico delle donne in tema di diritto di famiglia è stato riformato sulla base di criteri di uguaglianza {p. 200}decisamente prima e meglio che altrove, e quindi le differenze, anche se non sono state completamente eliminate, risultano chiaramente meno evidenti [11]
.
Nondimeno, la raggiunta parità sul versante dei diritti e dei doveri civici contribuì ad imprimere un piccolo impulso al cambiamento sul terreno delle discrepanze sociali e giuridiche tra i sessi almeno nella misura in cui aprì alle donne impegnate in politica la porta delle istituzioni basate sulla codecisione e quindi diede loro la possibilità di porre all’ordine del giorno la questione della riforma del loro status giuridico. Cosa che peraltro fecero senza ottenere grandi risultati. Anzi. Alla base di questo sostanziale insuccesso c’erano molti fattori: a partire dal fatto che le deputate erano sempre in assoluta minoranza non solo all’interno dei loro gruppi parlamentari ma anche in seno al Reichstag (e lo stesso si può dire con riguardo a tutti gli altri Parlamenti). Anche se l’iniziativa fosse partita da tutte le deputate insieme senza distinzione di partito, non avrebbero mai potuto dare vita ad una maggioranza politica – per questo le donne dipendevano sempre dall’appoggio che potevano ottenere dai colleghi del loro gruppo parlamentare.
Occorre inoltre ricordare che la Costituzione non conferiva alcun chiaro mandato a modificare lo status giuridico della donna nell’ambito del diritto civile (BGB, Bürgerliches Gesetzbuch). I contrasti esistenti tra le norme del codice civile in materia di diritto matrimoniale (ivi compreso il divorzio) da una parte, e l’articolo 119 dall’altra non spinsero ad attuare alcun tipo di riforma dal momento che l’articolo 109 si limitava a stabilire la parità tra uomini e donne sotto il profilo dei «fondamentali diritti e doveri civici»: una chiara sottolineatura che stava a significare ex negativo che la condizione di subordinazione della donna nel matrimonio fissata nel codice civile non poteva essere né riformata né modificata. Anche nella Repubblica di Weimar era solo il marito che (sotto il profilo giuridico) prendeva le decisioni in merito a
{p. 201}tutte le questioni che «riguardavano la comune vita matrimoniale» (§ 1354 BGB); inoltre era il solo che aveva il diritto di decidere in materia contrattuale (§ 1356 BGB) e, oltre ad avere anche il diritto di usufrutto sui beni della moglie (§ 1363 BGB), poteva anche decidere da solo, anche contro il volere della moglie, in merito all’educazione dei figli (§ 1364 BGB). Il contrasto di queste disposizioni con l’articolo 119 in cui, oltre a definire il matrimonio come un’istituzione posta «sotto la speciale protezione della Costituzione», si affermava espressamente che esso era fondato sull’«uguaglianza dei due sessi» non poteva essere più eclatante, ma era accettato dalla maggioranza del corpo sociale. Inoltre, la minoranza delle deputate (e di alcuni deputati) interessata ad una radicale riforma della condizione giuridica delle donne avrebbe avuto bisogno di molto più tempo oltreché di un duraturo sostegno politico e sociale per poter raggiungere i suoi obiettivi. Condizioni entrambe assenti a causa della limitata durata della Repubblica weimariana. Anche negli anni caratterizzati da una relativa stabilizzazione politica – dal 1924 allo scoppio della crisi economica mondiale nel 1929 – i progetti di riforma di socialdemocratici e liberali non poterono mai contare su un sufficiente appoggio parlamentare. A ciò si aggiunga che in quegli stessi anni l’SPD fu più all’opposizione che al governo. Fu invece la DNVP (il partito popolare nazionale tedesco), un partito conservatore e di orientamento parzialmente völkisch, a fare più volte parte del governo (gabinetto Luther: gennaio 1925-gennaio 1926, gabinetto Marx: febbraio 1927-giugno 1928). Durante la sua partecipazione al governo la DNVP condusse una vera e propria guerra culturale contro i progetti di riforma di socialdemocratici e liberali, per esempio in ambito scolastico, dove il partito prese con successo posizione contro la «scuola secolare»: posizione che gli valse il pieno appoggio dell’associazione dei genitori evangelici, che poteva contare su più di due milioni di membri. Infine, anche l’elezione di Hindenburg a presidente del Reich nel 1925 rese evidente che la maggioranza delle elettrici e degli elettori era molto conservatrice e non era certo sulla stessa lunghezza d’onda di socialdemocratici e liberali. I famosi e moderni milieu culturali presenti nelle più grandi città tedesche, così come la stessa, notissima {p. 202}Staatliches Bauhaus, non dovrebbero quindi far dimenticare che la cultura politica e soprattutto il modo di pensare della maggioranza della popolazione non erano molto progressisti. Certo, soprattutto con riguardo alle relazioni di genere si discuteva molto, ma pochi furono i cambiamenti non effimeri in direzione dell’uguaglianza. Al contrario: le discussioni in merito alla desiderata gerarchia di genere erano più un segno di esperienze di crisi che un’indicazione di reale cambiamento.
Note
[4] Anch’essa giurista impegnata a sostegno delle donne, Marie-Elisabeth Lüders entrò a far parte dell’Assemblea nazionale solo nell’agosto del 1919 in sostituzione del già deceduto Friedrich Naumann.
[5] Citato in M. Röwekamp, Männer und Frauen haben grundsätzlich die gleichen staatsbürgerlichen Rechte, p. 244.
[6] Verhandlungen der Verfassunggebenden Deutschen Nationalversammlung, Berlin 1920, vol. 328, 57a seduta, 15 luglio 1919, pp. 1559-1571.
[7] R. Deutsch, Die politische Tat der Frau. Aus der Nationalversammlung, Gotha, F.A. Perthes, 1920, p. 5.
[8] Per questa ed altre citazioni dalle discussioni in seno alla Assemblea nazionale cfr: Verhandlungen der Verfassunggebenden Deutschen Nationalversammlung, vol. 328, 57a seduta, 15 luglio 1919, pp. 1559-1571.
[9] R. Deutsch, Die politische Tat der Frau, p. 6.
[10] Questo risultato dimostra anche che ben 155 membri dell’Assemblea nazionale non presero parte alla votazione. Siccome i membri dell’Assemblea nazionale erano 423, questo significa che prese parte alla discussione su questo tema il 63,3% degli eletti.
[11] K. Melby - A. Pylkkänen - B. Rosenbeck - C. Carlsson Wetterberg, The Nordic Model of Marriage, in «Women’s History Review», 15, 2006, 4, pp. 651-661.