Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c6
È indubbio che nella seconda metà degli anni Venti si fecero passi in avanti sia per quanto riguarda la meccanizzazione che per l’impiego di concimi chimici [9]
. Se analizzato assieme ai dati riguardanti l’introduzione di innovazioni scientifico-tecnologiche (mungitrici, silos, essiccatoi), il quinquennio precedente la crisi del 1929 è stato uno dei periodi a maggiore sviluppo relativo. L’agricoltura si era liberata anche del fardello di circa
{p. 148}17,5 miliardi RM di debiti [10]
. A un’analisi superficiale, quindi, le aziende sembravano pronte ad affrontare con le proprie forze la sfida dell’innovazione e della concorrenza [11]
.
Ad uno sguardo più attento si nota tuttavia come questi presupposti fossero deboli. I salari reali ed il potere d’acquisto dei contadini restarono piuttosto bassi, soprattutto se messi in relazione ai salari percepiti in altri settori. La tassazione fondiaria, quasi insignificante prima del 1914, fu accentuata pesando sui conti aziendali. Se a questi elementi aggiungiamo che la differenza di prezzo tra prodotti agricoli e industriali tendeva a crescere (a svantaggio dei primi), che il mercato mondiale era segnato da una costante sovrapproduzione [12]
e che infine non c’era stata alcuna redistribuzione della proprietà fondiaria (a differenza di altre aree dell’Europa orientale) [13]
, ci rendiamo conto di quanto il quadro fosse meno roseo.
Lo Stato intervenne a sostegno del settore, considerato una colonna portante della stabilità, soprattutto nei governi di centro-destra, che si susseguirono fino al 1928. Gli studi di Dietmar Petzina sulla spesa pubblica attestano come il settore primario riuscisse ad accaparrarsi gran parte degli incentivi messi a disposizione: sia per favorire la modernizzazione produttiva, che nel settore del credito. Su questo terreno fu particolarmente attivo il ministro liberal-democratico Hermann Dietrich (1928-1930), mentre i suoi predecessori di area conservatrice Kanitz, Fehr e Schiele, e i successori – ancora una volta Schiele e von Braun – hanno concentrato i loro interventi soprattutto sul protezionismo doganale e su interventi per {p. 149}ridurre il debito. «In considerazione della rilevante disorganizzazione del sistema creditizio agricolo e della grave carenza di capitali, il principale ambito di intervento della politica di sostegno statale fu rappresentato dal consolidamento del credito agrario» [14]
. Fondamentale l’istituzione nel 1925 della Deutsche Rentenbank-Kreditanstalt, che nel primo biennio erogò circa 870 milioni RM di crediti.
I fondi pubblici concessi ai produttori passarono da 142 milioni nel 1927 a 261 nel 1930; le garanzie per accendere crediti crebbero da 103 milioni nel 1930 a 270 due anni dopo. Queste cifre impallidiscono se confrontate con gli impegni previsti dalla Osthilfe (31 marzo 1931), di cui parleremo più avanti: poco meno di 2 miliardi in un quinquennio [15]
. Come risultato di questi sforzi, nel 1928 si raggiunsero per la prima volta i raccolti per ettaro prebellici.

1. Politica doganale e commerciale

Secondo una radicata interpretazione storiografica – pur non esente da critiche [16]
– la struttura portante del Reich bismarckiano sarebbe rappresentata dall’alleanza fra segale e acciaio, ovvero fra i conservatori e i liberali. Alleanza cementata da una politica protezionistica che favoriva sia i grandi produttori d’Oltrelba che l’industria pesante. Le tariffe del 1879 rappresentano il punto culminante di saldatura del blocco, peraltro solcato da intermittenti tensioni. Una delle conseguenze della sconfitta nel 1918 è stata l’imposizione al Reich da parte dei vincitori della clausola della nazione più favorita, che lo privava {p. 150}di autonomia doganale. Solo dall’inizio del 1925 la Germania riottenne libertà d’azione. Si riaprì così la questione del protezionismo, rimasta finora sopita. A livello governativo la svolta corrispose con il successo elettorale della Deutschnationale Volkspartei (DNVP) alle elezioni del dicembre 1924, in cui il partito conservatore aveva conquistato il 20,4% dei voti, secondo solo alla SPD. Il partito si pose l’obiettivo – secondo le parole di Martin Schiele, uno dei suoi esponenti – di ripristinare una protezione doganale tale da riequilibrare una bilancia commerciale deficitaria [17]
. Per avere un’agricoltura fiorente occorreva la protezione doganale.
Anche sul piano delle dottrine economiche il 1925 segnò un salto di qualità nella discussione. I fronti divennero più netti. Da una parte economisti come Friedrich Aereboe, convinti dell’impossibilità di raggiungere l’autonomia alimentare e fautori di una liberalizzazione degli scambi, dall’altro i sostenitori di una visione autarchica. Questi ultimi, che si richiamavano a Gustav Ruhland [18]
, proponevano un ritorno al passato: grazie a un’insuperabile barriera doganale si sarebbe tornati all’autosufficienza [19]
.
Usciti dalla crisi iperinflattiva, dal 1924 si accentuò la pressione delle organizzazioni di settore, e soprattutto del Reichs-landbund, per il ripristino dei dazi prebellici e l’istituzione di un monopolio sulle importazioni cerealicole. Nella seduta del governo del 19 giugno 1924, il ministro Gerhard von Kanitz sostenne che l’introduzione di dazi avrebbe tranquillizzato il mondo rurale e contribuito ad attenuarne la diffidenza verso le istituzioni repubblicane [20]
. I partiti erano lacerati sul tema. {p. 151}Lo stesso Kanitz si mosse con cautela, argomentando come reintrodurre dei dazi in misura moderata avrebbe solo raddrizzato lo svantaggio subito negli anni precedenti. Da parte sua, il mondo industriale per il tramite dei più importanti gruppi di pressione, pur riconoscendo le motivazioni degli Agrarverbände, sosteneva che «gli effetti negativi di un innalzamento dei prezzi prevalgono decisamente su quelli positivi» [21]
. All’interno dell’industria vi erano differenti visioni; mentre quella carbosiderurgica condivideva l’idea di dare forza al mercato interno, facendo fronte comune con i produttori agricoli, altri comparti (chimico ed elettrico, orientati verso le esportazioni) ritenevano che i dazi dovessero essere contenuti al massimo. Nei primi mesi dell’anno seguente, 1926, i Verbände tornarono alla carica mettendo in primo piano un’«adeguata protezione doganale per i prodotti agricoli» [22]
.
Nel luglio 1927 la legge provvisoria sui dazi decadde e si aprì il dibattito sul suo rinnovo. Il nuovo ministro Martin Schiele propose di innalzare il dazio per le patate e per la carne di maiale, ma dovette accettare che quelli cerealicoli restassero invariati [23]
. Sullo sfondo stavano questioni più grandi, come il riavvicinamento alle potenze vincitrici, perseguito da Gustav Stresemann, ministro degli Esteri dal 1924; in secondo luogo la scelta cruciale: privilegiare il mercato interno, o aprirsi all’economia internazionale? Schiele argomentava che i dazi non facevano che riparare ai danni subiti dal settore primario nei primi anni del decennio, quando era stato esposto alla pressione delle importazioni. Egli rigettava anche la convinzione che il protezionismo avrebbe danneggiato i consumatori, provocando un innalzamento dei prezzi. Privilegiando la produzione nazionale, protetta dai dazi, si sarebbe invece garantito l’approvvigionamento. Per il ministro «i dazi non {p. 152}sono fini a sé stessi», ma debbono assolvere a «interessi vitali della nazione» [24]
. Se analizziamo le complesse trattative di quegli anni per definire nuovi accordi doganali bilaterali, vedremo che in quasi tutti i casi si giunse a soluzioni di compromesso, che non soddisfacevano del tutto le aspettative dei gruppi di pressione. La situazione non cambiò dopo la costituzione, nel marzo 1929, del cosiddetto «fronte verde», Grüne Front, che riuniva i principali gruppi d’interesse [25]
.

2. Interventi statali per lo sdebitamento

Dopo che l’iperinflazione aveva permesso di ridurre drasticamente l’esposizione debitoria, da 17,5 dell’anteguerra a 2,7 miliardi [26]
, la spirale tornò a salire per recuperare il ritardo accumulato verso i concorrenti esteri. Il problema di come fronteggiare questa dinamica tornò così in primo piano nella seconda metà del decennio. I problemi strutturali del settore non erano stati risolti.
In particolare, continuava a permanere una forbice tra i prezzi dei prodotti agricoli e quelli industriali, che penalizzava le aziende intensive, costringendole a contrarre debiti. In secondo luogo, la particolare situazione finanziaria permetteva ai contadini di contrarre solamente crediti a brevissimo termine a tassi onerosi. Infine, il governo non interveniva con misure adeguate per far fronte a questa situazione e si dimostrava timoroso di invadere gli ambiti di autorità dei singoli Stati.
Il governo decise infine di intervenire, dopo aver lasciato per quasi due anni la «patata bollente» in mano agli Stati. Si inau
{p. 153}gurò così una politica di sovvenzioni dall’alto che diventerà progressivamente più incisiva, al punto da catalizzare gran parte delle risorse alla fine degli anni Venti. Vi erano però non pochi ostacoli, fra cui la debolezza del mercato creditizio interno e i paletti imposti dal trattato di pace alla politica finanziaria del Reich. Anche la Reichsbank aveva le mani legate e il suo presidente, Hjalmar Schacht, non intendeva accollarsi oneri eccessivi a fronte delle lamentele da parte dei diretti interessati, ai quali chiedeva che si assumessero oneri in proprio [27]
. Fu Schiele, ministro dal 28 gennaio 1927, a far compiere all’intervento statale il salto di qualità. In primo luogo fece preparare un dettagliato resoconto sulla situazione di indebitamento della stessa. Dal 1925 al 1927, il totale dei debiti accesi era passato da 3,2 a 5,1 miliardi, con una crescita particolarmente forte per quelli ipotecari. Le rilevazioni evidenziarono anche l’articolazione regionale dell’indebitamento, che era più pesante per le province orientali. Questa disparità si rispecchiava anche nelle maggiori difficoltà che caratterizzavano le aziende di grandi dimensioni a Est, che facevano registrare risultati economici più negativi e situazioni debitorie peggiori con l’aumentare della superficie. Oltre la metà delle aziende orientali lavorava in perdita, nel 1925-1926, contro il 43% nella parte occidentale. Le proteste contadine che caratterizzarono il 1928 [28]
, le interpellanze in Parlamento e gli appelli dei Verbände spinsero i partiti della coalizione guidata dal socialdemocratico Hermann Müller a muoversi, pur fra molti contrasti. Fu elaborato un programma d’emergenza (Notprogramm) approvato dal Parlamento alla fine di marzo del 1928. Prevedeva interventi per ristorare gli istituti di credito esposti con agricoltori morosi. L’attivismo di Martin Schiele si scontrò però con le ristrettezze di bilancio: «Le elevate aspettative {p. 154}suscitate dalla propaganda sul Notprogramm furono ben presto deluse dalle dimensioni del tutto inadeguate dell’intervento previsto» [29]
. In pochi mesi l’attuazione del programma risultò troppo onerosa per le casse pubbliche e fu sospesa [30]
. Il nuovo ministro Hermann Dietrich, che pure aveva criticato la politica del predecessore, doveva ammettere nel gennaio 1929 che «il Notprogramm dello scorso anno e la sua applicazione finora debbono essere considerati solo un inizio». Chiese perciò un nuovo stanziamento quinquennale di 100 milioni annui. Viste le lentezze degli Stati era necessario che ad agire fosse il Reich; egli mise anche l’accento sulle riforme più che sull’assistenzialismo. Nel presentare il bilancio programmatico per il 1929 sottolineò l’urgenza di avviare una colonizzazione delle aziende eccessivamente indebitate. In verità, queste restarono enunciazioni inattuate. In considerazione dell’aggravarsi della crisi internazionale, che rendeva impossibile ac- cedere a crediti esterni, l’azione di Dietrich fu in sostanziale continuità con quella di Schiele. Entrambi si mossero su terreni che andavano oltre i dazi o gli interventi settoriali e aprivano la strada verso politiche di regolazione del mercato, che riecheggiavano la Zwangswirtschaft bellica. Dietrich diede attuazione a un altro programma ideato da Schiele, che superava per dimensioni le misure precedenti: la Ostpreußenhilfe, che riguardava la provincia più orientale del Reich, in profonda crisi economica. Non è un caso che a prendersene cura sia stato il presidente Paul von Hindenburg, discendente di una famiglia di Junker e personificazione del prussianesimo. Il presidente sostenne che un programma di risanamento efficace doveva comprendere moratorie sui debiti, copertura con fondi pubblici dei tassi d’interesse, facilitazioni fiscali e concessione di crediti agevolati soprattutto ai piccoli coltivatori. Dietrich manterrà inalterato il sistema di distribuzione di fondi pubblici, che mirava a sanare le grandi aziende agricole della regione, causando non di rado iniquità nella distribuzione delle {p. 155}sovvenzioni [31]
. La nuova versione della legge, approvata dal governo nel marzo del 1929 prevedeva uno stanziamento di poco inferiore ai 200 milioni; il progetto di legge venne infine emanato il 18 maggio 1929 come «legge per l’aiuto economico alla Prussia orientale» [32]
. Nonostante i cospicui mezzi stanziati, il programma d’aiuti non ha contribuito a porre rimedio alla crisi dell’agricoltura provinciale, tanto più che le richieste eccedevano in misura notevole le disponibilità. Secondo il governo prussiano sarebbe stato necessario stanziare molti più fondi e procedere anche all’acquisto di aziende in fallimento tramite la Treuhandestelle per dividerle in poderi colonici. Era stato possibile solo tamponare la crescita dei debiti. Poco era stato fatto invece per la modernizzazione produttiva. Gli aiuti avevano più che altro permesso ad aziende fortemente indebitate di continuare a sopravvivere a spese del bilancio pubblico: il Reich e la Prussia si fecero carico di debiti pregressi e in parte dei tassi, pur di tutelare l’economia e la popolazione germanica in quei territori.
Note
[9] Hauptstaatsarchiv Bayern, München, NL Fehr Anton, 41, Berichte RMEL, Protocollo della 79a, seduta sui concimi, 7 novembre 1930.
[10] H. Becker, Handlungsspielräume der Agrarpolitik in der Weimarer Republik zwischen 1923 und 1929, Stuttgart, Franz Steiner, 1990, p. 88.
[11] Ibidem, pp. 41-43.
[12] R. Findlay - K.H. O’Rourke, Power and Plenty. Trade, War, and the World Economy in the Second Millennium, Princeton NJ - Oxford, Princeton University Press, 2007, pp. 447-471.
[13] League of the Nations, Agricoltural Production in Continental Europe during the 1914-18 War and the Reconstruction Period, London, Allen & Unwin, 1943, p. 49. Negli altri Paesi dell’Europa centro-orientale e balcanica la percentuale di terreno toccato dalle riforme agrarie oscillò fra 50 e 10%.
[14] D. Petzina, Staatliche Ausgaben und deren Umverteilungswirkungen. Das Beispiel der Industrie- und Agrarsubventionen in der Weimarer Republik, in F. Blaich (ed), Staatliche Umverteilungspolitik in historischer Perspektive, Berlin, Duncker & Humblot, 1980, pp. 59-105, qui p. 93.
[15] Ibidem, p. 100.
[16] Esemplari: H. Rosenberg, Große Depression und Bismarckzeit, Berlin, De Gruyter, 1967 e H.U. Wehler, Das Deutsche Kaiserreich 1871-1918, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1973. Fra i critici G. Eley, Reshaping the German Right, New Haven CT - London, Yale University Press, 1980.
[17] M. Schiele, Die Agrarpolitik der Deutschnationalen Volkspartei in den Jahren 1925/1928, Berlin, Deutschnationale Schriftenvertriebsstelle, 1928, p. 3.
[18] La figura eccentrica di questo economista, avversato in vita, assumerà una grande importanza negli anni Trenta, quando fu proposto dai nazionalsocialisti come fondamentale riferimento.
[19] F. von Lilienthal, Bauerntod ist Volkstod. Steuern und Zölle als Werkzeuge einer guten deutschen Agrarpolitik, Berlin, G. Stilke, 1929.
[20] Documentazione sul dibattito, in BArchB, R 43-I/2537, datata 26 giugno 1924.
[21] Memoria del direttivo del Deutscher Industrie- und Handelstag al Cancelliere, in data 17 giugno 1925, in BArchB, R 43-I/2537, pp. 343-350.
[22] Delibera del direttivo del RLB, del 18 marzo 1926, in BArchB, R 43-I/2538.
[23] Progetto di legge su modifiche doganali, discusso nel gabinetto in data 17 giugno 1927, BArchB, R 43-I/2538, pp. 790-793.
[24] M. Schiele, Die Agrarpolitik der Deutschnationalen Volkspartei in den Jahren 1925/1928, pp. 7 s.
[25] S. Merkenich, Grüne Front gegen Weimar: Reichs-Landbund und agrarischer Lobbyismus, 1918-1933, Düsseldorf, Droste, 1998.
[26] W.A. Boelke, Beitrag zur Diskussion, in O. Büsch - G.D. Feldman (edd), Historische Prozesse der deutschen Inflation 1914 bis 1924, Berlin, Colloquium, 1978, p. 221. Si veda nello stesso volume, il saggio di M. Schumacher, Thesen zur Lage und Entwicklung der deutschen Land-wirtschaft in der Inflationszeit (1919-1923), pp. 215 ss.
[27] BArchB, R 43-I/2538, pp. 262-263, 24 ottobre 1927, Reichsbank alla Cancelleria.
[28] BArchB, R 43-I/2539, pp. 15-16, 21 gennaio 1928, RLB al governo: «Da svariate parti del Reich – soprattutto Schleswig-Holstein, Oldenburg, Hannover, Brandeburgo e Pomerania – si moltiplicano i segni di una forte agitazione nella popolazione rurale di tutti i livelli sociali … Il movimento sta assumendo un carattere particolarmente pericoloso».
[29] H. Becker, Handlungsspielräume der Agrarpolitik in der Weimarer Republik zwischen 1923 und 1929, p. 262.
[30] Akten der Reichskanzlei (ARK), Das Kabinett Marx III/IV, Bd 1, Einleitung: Das Kabinett Marx IV, 5. Agrarpolitik, p. XV.
[31] A. Roidl, Die «Osthilfe» unter der Regierung der Reichskanzler Müller und Brüning, Regensburg, Eurotrans, 1994, pp. 37-41.
[32] Il progetto di legge è pubblicato in Verhandlungen des Reichstags, vol. 435, 1928, allegato n. 988.