Giorgio Chiosso, Anna Maria Poggi, Giorgio Vittadini (a cura di)
Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c5
In questa prospettiva, una delle indicazioni più chiare e rilevanti per le politiche educative è che le character skills sono già educate e sviluppate nei primi anni di vita: la qualità dei rapporti in famiglia e nel quotidiano contesto sociale sono fattori determinanti per il crescere di un rapporto più adeguato con la realtà. Si indica con il termine «malleabilità» questa plasticità dei tratti delle character skills [55]
. Pertanto, è importante che gli interventi educativi – che devono mirare a sviluppare congiuntamente cognitive e character skills – siano ben disegnati sin dalle prime fasi del percorso educativo
{p. 125}degli studenti, nella fase di scuola pre-primaria e primaria. Peraltro, è stato dimostrato che questi interventi hanno effetti positivi non solo nel breve periodo, ma per migliorare i risultati scolastici anche nelle fasi successive del percorso formativo. È inoltre interessante evidenziare che, più avanti nel tempo, quando gli studenti diventano adolescenti, è più facile intervenire sulle character skills rispetto alle pure conoscenze e competenze cognitive. È, quest’ultima, un’altra indicazione importante per le azioni educative che scuole e altre istituzioni possono mettere in campo.
Un’ultima indicazione importante che viene citata dalla ricerca è che le character skills possono essere influenzate lungo tutto l’arco della vita, anche nel periodo post scolastico e universitario. Da questo punto di vista, si conferma l’idea che il character, inteso come insieme delle skills menzionate, sia da considerare tutt’altro che immutabile; l’esperienza educativa può intervenire anche dopo il percorso scolastico tradizionale, e ci sono ampi margini di intervento ad esempio nel quadro di azioni educative lungo tutto l’arco della vita (life-long learning).
Un’ultima importante considerazione riguarda la possibilità di definire interventi educativi e formativi ad hoc in ottica di prevenzione piuttosto che di «rimedio». Gli studi relativi alle azioni per lo sviluppo delle competenze assicurano che è preferibile tentare di individuare gli studenti a rischio di carenze nelle cognitive skills e nelle character skills quanto prima, per accompagnarne lo sviluppo nelle prime fasi dell’esperienza educativa. Tali azioni sono decisamente più efficaci successivamente agli interventi attuati quando ormai le carenze si sono manifestate. Nondimeno, la letteratura accademica e l’esperienza di valutazione di diversi interventi hanno comunque evidenziato la possibilità di azioni efficaci, anche quando non si riesca ad intervenire nei primi stadi dell’azione formativa; in altri termini, una certa proattività della scuola nel considerare adeguatamente la dimensione di sviluppo delle character skills è comunque sempre desiderabile.{p. 126}

4. Alcuni messaggi conclusivi

Il lungo percorso delle teorie del capitale umano ha portato a legarlo alle abilità, alle conoscenze e alle competenze degli studenti, misurabili in molti casi oggi attraverso rilevazioni sistematiche di organizzazioni nazionali e internazionali. Le conoscenze (cognitive skills) sono immediatamente evidenti, quantificabili e misurabili: possono essere confrontate nel tempo (oggi so più/meno di ieri), nello spazio (so più/meno del mio vicino di banco) e nei campi del sapere (so la matematica meglio/peggio dell’inglese). Possono essere oggetto di un programma scolastico, di cui si misura l’efficacia, misurazione che può essere applicata anche a chi insegna (se so l’inglese meglio/peggio di un’altra persona, scuola, nazione, è possibile che il mio insegnante/il metodo di insegnamento sia migliore/peggiore). È oggi evidente che le dimensioni della conoscenza non sono riducibili alle sole cognitive skills propriamente dette: tali dimensioni sono presenti anche in quelle caratteristiche definite come «non cognitive skills, aspetti della personalità, competenze o abilità non cognitive, carattere e competenze socioemozionali» classificati in vari modi nella letteratura corrente, da studiosi di diverse discipline, da psicologi a sociologi, da pedagogisti a economisti. Come si è visto, la classificazione dei singoli tratti data dai Big Five, e dalle altre tassonomie descritte nei precedenti paragrafi, sono abbastanza correlate fra loro. Il dibattito verte piuttosto su due aspetti cruciali. Innanzitutto le diverse denominazioni di non cognitive skills, soft skills, character skills non sono semplici sinonimi ma rimandano a concezioni diverse.
Forse quella di character skills è la più espressiva perché mostra che non sono meccanismi isolati ma espressioni diverse di quell’immisurabile, unitario e personale tratto latente che li genera, la persona, che nel percorso formativo è capace di un impegno o un’attività in modo accurato e responsabile, e nell’ambito lavorativo sa utilizzare le conoscenze adattandole alle circostanze. È poi fondamentale sottolineare che le character skills non sono innate e immutabili, ma sia la scuola che l’extrascuola, in particolare il lavoro, possono {p. 127}svilupparle tanto più efficacemente quanto più l’intervento è precoce e riesce a coinvolgere famiglie e contesto sociale.
Non è dimostrabile che ci sia un nesso di causalità tra formazione e character skills, ma la sola esistenza di una sistematica correlazione rende importante la possibilità di incrementarli attraverso specifici interventi educativi.
Quindi, anche a nostro avviso nel solco di quanto diceva Heckman [56]
è possibile e doveroso progettare percorsi educativi e interventi compensatori miranti a sviluppare le character skills. Questa scelta è tanto più urgente oggi per contrastare fenomeni preoccupanti in ambito educativo. Il primo è l’affermarsi di orientamenti che spostano l’attenzione dei sistemi scolastici dalla trasmissione dei valori di base e dall’educazione della persona – per secoli obiettivi primari della scuola – alla pura e semplice trasmissione di informazioni. Il secondo è una situazione di crescente difficoltà delle famiglie, oggi molto più incapaci a svolgere uno dei loro compiti tradizionali, la formazione delle abilità non cognitive, anche per lo scarso supporto loro dato in questo dalle politiche sociali.
Contestualizzando nella società post pandemia, come è logico e probabilmente doveroso, quanto abbiamo detto sul capitale umano e il suo ruolo, possiamo ricordare che la caratteristica della tarda modernità è il passaggio da una società di produttori a una società di consumatori.
Il presente è caratterizzato da un generale senso di incertezza, in cui i legami interpersonali sono indeboliti, e in cui non è chiara l’immagine di convivenza sociale e civile, il ruolo dello Stato e delle comunità di base nel progettare il bene comune.
Le competenze non cognitive sono fondamentali per quel processo di adattamento dinamico dei singoli in condizioni di difficoltà in cui si vivono esperienze negative, che viene definito resilienza. Servono sia per le strategie individuali che comunitarie e aiutano a modificare gli stili di vita in cui le relazioni familiari, amicali o comunitarie riducono gli {p. 128}effetti negativi della crisi valorizzando il capitale sociale e le reti di solidarietà [57]
.
Le iniziative individuali diventano strutturate e assumono una forma «societaria» grazie all’uso delle ITC e delle piattaforme digitali, che simulano i comportamenti delle comunità, che condividono beni e servizi senza interscambio economico, con ricompense diverse dai beni economici (benessere, integrazione, equilibrio con l’ambiente) [58]
. Per questo è oggi cruciale puntare su di una trasformazione del sistema formativo, che valorizzi un più ampio ventaglio di competenze.
Note
[55] J.J. Heckman, J.E. Humphries e T. Kautz, The Myth of Achievement Tests: The GED and the Role of Character in American Life, cit.; T. Kautz, J.J. Heckman, R. Diris, B. Ter Weel e L. Borghans, Fostering and Measuring Skill: Improving Cognitive and Non-cognitive Skill to Promote Lifetime Success, cit.
[56] J.J. Heckman, J.E. Humphries e T. Kautz, The Myth of Achievement Tests: The GED and the Role of Character in American Life, cit.
[57] A. Alaminos e C. Penalva, Economía Colaborativa: Definiciones y Escenarios, Alicante, OBETS - Instituto Interuniversitario de Desarrollo Social y Paz, Universidad de Alicante, 2018.
[58] Si veda ad esempio A. Sundararajan, The Sharing Economy: The End of Employment and the Rise of Crowd-based Capitalism, Cambridge, MIT Press, 2016.