Giorgio Chiosso, Anna Maria Poggi, Giorgio Vittadini (a cura di)
Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c5
Per questo, in modo più sofisticato, si è cercato innanzitutto di stimare la relazione causale tra CU e crescita della produttività, con risultati contrastanti. Se una prima generazione di studiosi ha scoperto che il CU ha un impatto notevole sulla crescita [22]
, una seconda serie di studi è stata
{p. 110}più critica, scoprendo che in alcuni casi l’istruzione ha un impatto negativo sulla crescita e, in generale, la relazione è molto debole, soprattutto perché, come si è detto, è del tutto inadeguato misurare il CU esclusivamente in termini di quantità di anni complessivi di istruzione della popolazione o di spesa dello Stato [23]
. Si ripropone quindi la necessità di legare il CU alla qualità dei sistemi educativi, che differisce moltissimo sia all’interno di un paese che tra i paesi. Ma il concetto di «qualità» dei sistemi educativi è difficile sia da definire che da misurare, e in più, come si è detto, il ritorno in CU non dipende solo dalla qualità del sistema educativo istituzionale, ma anche da altre dimensioni: le capacità innate, le caratteristiche personali, il background familiare e sociale [24]
.
Date queste considerazioni il già citato Rapporto OECD [25]
che definisce il CU come «le conoscenze, abilità, competenze e attributi incorporati in individui che sono rilevanti per l’attività economica» permette di fare un passo decisivo. Le conoscenze e abilità sono legate alle capacità cognitive degli studenti e alla qualità delle istituzioni educative, mentre le competenze misurano la capacità degli studenti di applicarle per risolvere i problemi. La rilevazione sistematica delle competenze si è resa possibile per il diffondersi di indagini standardizzate a livello internazionale quali il Progress in International Reading Literacy Study (PIRLS, iniziato nel 2001 ed effettuato con scadenza quinquennale) o il Trends in International Mathematics and Science Study (TIMMS, iniziato nel 1995 ed effettuato ogni quattro anni), promossi dalla International Association for the Evaluation {p. 111}of Educational Achievement (IEA) [26]
o il Programme for International Student Assessment dell’OECD (PISA, iniziato nel 2000 con 43 paesi e giunto alla settima edizione nel 2018 con 79 paesi) [27]
.
A livello nazionale, oltre alle Prove Nazionali INVALSI [28]
, effettuate per la prima volta nel 2005-2006 e poi regolarmente effettuate anche se con parecchi cambiamenti (l’assetto attuale è normato dal d.l. 62/2017), nel 2014 la Fondazione Agnelli [29]
ha varato Eduscopio, un’indagine che valuta la qualità delle scuole secondarie a partire dagli esiti universitari e lavorativi dei diplomati a un anno di distanza dal diploma.
Tali indagini, realizzate con raffinati modelli statistici per la valutazione degli apprendimenti, forniscono informazioni confrontabili sulle abilità cognitive degli studenti, considerate come misure del loro CU, e oltre ad incontrare un crescente successo possono fornire utili informazioni ai decisori politici.

2. Il capitale umano e le «non cognitive skills» (NCS)

Il lungo percorso inerente la definizione e la misurazione del CU ha portato dunque a identificarlo con le abilità conoscitive, che possono essere definite come le capacità e le competenze acquisite nel processo di apprendimento e, oltre alle conoscenze disciplinari, includono capacità trasversali come la risoluzione dei problemi, la capacità di ragionare, ricordare, parlare, comprendere, apprendere nuove informazioni e di solito vengono misurate con varie forme di test standardizzati di rendimento [30]
.{p. 112}
Il primo problema di definizione, affrontato anche dalle organizzazioni internazionali per l’educazione, come l’OECD, è stato distinguere fra conoscenze, abilità e competenze. La riforma della scuola secondaria in Italia ha accettato questa distinzione e si è sforzata di definire i termini, concludendo che le competenze sono la declinazione operativa delle abilità e delle conoscenze, o meglio la capacità di applicare le conoscenze e le abilità per risolvere un problema [31]
. Non è così scontato: in inglese, ad esempio, il termine skill significa tanto abilità quanto competenza, il che significa che il modo di concepire i due concetti è diverso che da noi.
Possiamo partire dall’idea che le conoscenze (cognitive skills, che in italiano potrebbe essere considerato un ossimoro) siano l’elemento basico, il mattoncino del Lego, e sono presenti anche in quelle caratteristiche definite come «non cognitive». Esse sono immediatamente evidenti, quantificabili e misurabili: possono essere confrontate nel tempo (oggi so più/meno di ieri), nello spazio (so più/meno del mio vicino di banco) e nei campi del sapere (so la matematica meglio/peggio dell’inglese). Possono essere oggetto di un programma scolastico, di cui si misura l’efficacia, misurazione che può essere applicata anche a chi insegna (se so l’inglese meglio/peggio di un’altra persona, scuola, nazione, è possibile che il mio insegnante/il metodo di insegnamento sia migliore/peggiore).
Questa relativa facilità di misurazione e la possibilità di utilizzarla per valutare (i due termini non coincidono) spiega la fortuna dei test standardizzati su larga scala, di cui abbiamo già parlato, che tendono a coinvolgere un numero sempre maggiore di persone, sia in età scolare (PISA) che adulti (PIAAC), e vengono in parte indebitamente utilizzati per valutare i sistemi scolastici partendo da un obiettivo {p. 113}inizialmente molto più ristretto (per PISA, indagare le competenze di literacy linguistica, matematica e scientifica dei quindicenni). Si tenga conto del fatto che le competenze cognitive hanno anche esiti non cognitivi, ad esempio nei comportamenti politici o legati al benessere [32]
.
È perciò quasi immediatamente evidente che le dimensioni della conoscenza non sono riducibili alle sole skills (usiamo intenzionalmente il termine per indicare assieme abilità e competenze) cognitive. Il primo nucleo di queste conoscenze a esulare dalla pura definizione cognitiva è stato quello riguardante le competenze trasversali, che non sono (solo) cognitive, sono relativamente facili da individuare e nel comportamento quotidiano integrano e rinforzano le competenze cognitive (reciprocamente, la loro mancanza le indebolisce).
In quest’ottica il premio Nobel James Heckman e la Scuola di Chicago hanno compiuto un passo ulteriore mettendo in luce il nesso tra CU, abilità cognitive e un insieme di altre caratteristiche globalmente definite come non cognitive skills (NCS), tratti psicologici della libertà e della personalità di un individuo che influenzano la capacità di orientarsi agli obiettivi, la qualità delle relazioni e la capacità di prendere decisioni e affrontare la realtà, e sono state descritte originariamente dall’American Society of Psychology [33]
.
Heckman arrivò a una formulazione generale analizzando il GED – General Education Development – test standardizzato somministrato a tutti gli studenti americani che vogliano iscriversi a un college e non abbiano concluso regolarmente la scuola secondaria superiore [34]
. Due gruppi di {p. 114}studenti aventi le stesse competenze cognitive, esaminati in contesti diversi, hanno ottenuto risultati molto differenti in termini di GED, di abbandono del percorso formativo, di prosieguo del percorso in università o nella vita lavorativa. Gli studiosi americani hanno mostrato che queste differenze erano originate dalla diversità nelle non cognitive skills dei due gruppi [35]
.
Il ricorso al capitale sociale descrive il contesto in cui la persona vive [36]
e l’insieme delle relazioni a cui può fare ricorso. A comporlo entrano, ad esempio, oltre al contesto familiare e sociale del ragazzo (nazionalità, titolo di studio, professione dei genitori, status socioeconomico) due elementi fondamentali:
• le attività del tempo libero quali guardare la televisione, giocare al computer o con gli amici, dare una mano in casa, leggere un libro, fare i compiti per casa, praticare uno sport, seguire un corso di musica, di lingue, di teatro;
• il giudizio sulla qualità della didattica: didattica sfidante, con professori che stimolano la libertà o creatività degli studenti o didattica gestionale intesa come modo tradizionale di insegnare.
La tabella 1 schematizza il punto di vista degli studiosi di diversa disciplina [37]
.
Una vasta letteratura scientifica, non solo economica, intende quindi oggi il CU come composto sia da abilità cognitive che dalle NCS, e descrive le principali caratteristiche delle NCS stesse.
Tuttavia, tale trattazione, pur vasta e ricca di riferimenti ad altre discipline, lascia tendenzialmente indeterminata la definizione di non cognitive skills, e si limita ad elen
{p. 115}carle. Definirle come non cognitive skills, se semplifica la narrazione, lascia ancora qualche perplessità, in quanto esse condividono con le competenze cognitive una serie di caratteristiche: sono in genere rilevabili attraverso l’osservazione e misurabili per mezzo di indicatori che consentono un confronto verticale e orizzontale, come detto sopra. Di fatto, si tende a parlare di queste skills come trasversali e solo più raramente come non cognitive.
Note
[22] W. Schultz, Investment in Human Capital, cit.
[23] World Bank, Workers in an Integrating World. World Development Report, Washington, 1995, http://documents1.worldbank.org/curated/en/365821468168543533/pdf/148660REPLACEMENT0WDR01995.pdf.
[24] Ibidem; L. Wössmann, Specifying Human Capital, cit., 2003; E.A. Hanushek e L. Wössmann The Role of Education Quality in Economic Growth, Policy Research Working Paper 4122, Washington, World Bank, Human Development Network, Education Team, 2007.
[25] OECD, Human Capital Investment. An International Comparison, cit.
[26] International Association for the Evaluation of Educational Achievement (IEA), https://www.iea.nl/
[27] OECD, PISA 2018 Assessment and Analytical Framework, Paris, OECD Publishing, 2019.
[28] INVALSI, www.invalsi.it.
[29] Fondazione Agnelli, www.fga.it; www.eduscopio.it.
[30] J.J. Heckman e T.D. Kautz, Hard Evidence on Soft Skills, in «Labour Economics», 19, 4, 2012, pp. 451-464; J.J. Heckman, J.E. Humphries e T. Kautz, The Myth of Achievement Tests: The GED and the Role of Character in American Life, cit.
[31] L. Ribolzi, C. Gentili, A. Maraschiello, P. Benetti e V. Gallina, Dai saperi disciplinari alle competenze. Strategie organizzative per la progettazione del curricolo, Bologna, Il Mulino, 2020.
[32] OECD/CERI, Improving Health and Social Cohesion through Education, Paris, OECD, 2010, https://read.oecd-ilibrary.org/education/improving-health-and-social-cohesion-through-education_9789264086319-en#page1.
[33] J.J. Heckman, J.E. Humphries e T. Kautz, The Myth of Achievement Tests: The GED and the Role of Character in American Life, cit.
[34] J.J. Heckman e T.D. Kautz, Hard Evidence on Soft Skills, cit.; J.J. Heckman, J.E. Humphries e T. Kautz, The Myth of Achievement Tests: The GED and the Role of Character in American Life, cit.
[35] Vedi F. Pisanu, F. Fraccaroli, M. Gentile e F. Recchia, Competenze non cognitive come risorse psicosociali per il successo formativo, pp. 67-88 del presente volume.
[36] H. Holmlund e O. Silva, Targeting Non-Cognitive Skills to Improve Cognitive Outcomes: Evidence from a Remedial Education Intervention, in «Journal of Human Capital», 8, 2, 2014, pp. 126-160.
[37] T. Kautz, J.J. Heckman, R. Diris, B. Ter Weel e L. Borghans, Fostering and Measuring Skill: Improving Cognitive and Non-cognitive Skill to Promote Lifetime Success, NBER Working Paper n. 20749, Chicago, 2014.