Maria Vittoria Ballestrero
Dalla tutela alla parità
DOI: 10.1401/9788815374257/c6
Fuori dell’ipotesi dell’avviamento su richiesta numerica,
{p. 278}l’ordine di assunzione non garantisce al lavoratore l’assunzione effettiva. L’ordine del giudice è assistito da una sanzione coattiva indiretta (art. 650 c.p.), ma si ripropongono per intero i problemi della esecuzione in forma specifica dell’obbligo di fare. Il tema è oggetto di molte discussioni nella materia dei licenziamenti; deve ancora essere studiato, invece, per i nuovi casi che si proporranno nell’applicazione della legge n. 903. Le soluzioni, peraltro, non potranno essere diverse, e continuerà a prevalere, temo, la tesi dell’incoercibilità (dalla quale dissento per le ragioni che ho ampiamente spiegato altrove) [138]
.
La soluzione testé proposta (ordine di assunzione) va incontro a difficoltà assai gravi, quando alla mancata assunzione discriminatoria di una o più lavoratrici si accompagni la assunzione di uno o più lavoratori (oppure viceversa). Due sono le opinioni che la dottrina ha espresso in materia. Secondo qualcuno, il comportamento omissivo ha rilevanza autonoma, e di conseguenza il pretore deve limitarsi ad ordinare l’assunzione dei discriminati [139]
. Secondo altri, la fattispecie discriminatoria è complessa, e quindi il pretore deve dichiarare la nullità delle assunzioni effettuate, e ordinare l’assunzione dei lavoratori discriminati [140]
. Nell’ipotesi, potendo assumere rilevanza il comportamento omissivo come tale, a differenza di quanto avviene in materia di nullità, la prima soluzione potrebbe sembrare la migliore o la meno odiosa. E, tuttavia, l’obiezione che l’ordine del giudice si tradurrebbe in una sorta di «imponibile di manodopera» è grave [141]
. Probabilmente non serve a superare l’obiezione neppure l’argomento che il datore di lavoro, costretto dal pretore a nuove assunzioni, potrebbe procedere al licenziamento dei lavoratori precedentemente assunti. È vero che non gli sarebbe difficile dimostrare l’obbiettiva giustificazione del licenziamento dei c.d. esuberanti: ma l’innesco di una procedura di licenziamento, specie se collettivo, comporta, oltre a tutto il resto, tempi lunghi, se non altro per rispettare la scadenza dei termini di preavviso.
Dal punto di vista tecnico, mi pare che la seconda soluzione sia meno eccepibile della prima: per la ragione che, in presenza di assunzioni e mancate assunzioni, il comporta{p. 279}mento discriminatorio si compone di una parte omissiva e di una parte attiva. Ma il risultato che si consegue, percorrendo tale via, è discutibile: sotto il profilo processuale, per la mancata tutela, nel procedimento, degli interessi dei lavoratori già assunti; sotto il profilo politico, perché la tutela del diritto al lavoro dei discriminati comporta la contestuale lesione del diritto al lavoro di coloro, che si trovano privati del proprio posto, senza essere responsabili né consapevoli delle discriminazioni compiute dal datore di lavoro.
Alla fine, c’è da chiedersi quale parità assicuri questa legge n. 903, che garantisce poco, per lo più non sanziona, e, quando sanziona, sanziona chi non è responsabile.
Note
[138] I licenziamenti, cit., pp. 144 seg. Da quando ho scritto quelle pagine, impostando i problemi in termini drastici, l’argomento della esecuzione forzata dell’ordine di reintegra è stato molto approfondito in dottrina. Oltre ai recenti contributi di F. Frediani, Note sulla effettività della reintegra nel posto di lavoro, in «Rivista giuridica del lavoro», 1978,1, pp. 73 seg., e di R. Paolini, Riforma dell’ordine di reintegra con sentenza passata in giudicato e restituibilità delle retribuzioni corrisposte in sostituzione dell’adempimento specifico, ivi, II, pp. 299 seg., debbono essere segnalati, almeno, il saggio di L. Lanfranchi, Situazioni giuridiche individuali a rilevanza collettiva ed attuazione della condanna alla reintegrazione del lavoratore, ivi, 1977, I, pp. 343 seg.; il saggio di M. Truffo, Problemi in tema di esecutorietà della condanna alla reintegrazione del lavoratore, in « Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 1976, pp. 789 seg., che scompone l’attività richiesta al datore di lavoro per reintegrare il lavoratore illegittimamente licenziato in una serie di sottoprestazioni, parte fungibili, parte infungibili; il saggio di M. D’Antona, La reintegrazione nel posto di lavoro, cit., pp. 184 seg., che distingue due fasi nell’attuazione della condanna alla reintegrazione: la cessazione del comportamento lesivo; la rimozione degli effetti (quest’ultima suscettibile di esecuzione forzata). La mia consueta testardaggine mi impedisce di considerare i tentativi di valorizzare o le forme di coazione indiretta, o le parti eseguibili degli obblighi del datore di lavoro che non ottempera all’ordine di reintegra, un vero progresso; a mio modesto, ma testardo avviso, il progresso si consegue solo affrontando, e non evitando, il nodo degli obblighi di fare e il fondamento della loro incoercibilità.
[139] Così G. Simoneschi, op. cit., p. 41.
[140] La soluzione è prospettata con molte (e ragionevoli) incertezze da C. Rapisarda, op. cit., p. 838 seg.
[141] T. Treu, in Legge 9 dicembre 1977, n. 903, cit., sub art. 13, p. 824.