Giuseppe Antonelli, Giacomo Micheletti, Anna Stella Poli (a cura di)
Verso il museo multimediale della lingua italiana
DOI: 10.1401/9788815410283/c3
Se le cose stanno in questi termini non può meravigliare che negli ultimi anni la definizione di museo sia stata messa in discussione e da più parti se ne proponga l’aggiornamento, al fine di trovare una rappresentazione più adeguata e coerente con le mutate condizioni della contemporaneità. La discussione avviata in occasione dell’ultima Assemblea generale dell’ICOM, svoltasi a Kyoto nel 2019, su una nuova definizione che consideri i musei «spazi di democrazia, inclusivi e polifonici, dedicati al dialogo critico sul passato e il futuro», testimonia di questo fertile momento di riflessione, che attualmente sta impegnando i comitati nazionali per giungere a una condivisione tutt’altro che scontata [1]
. Credo sia un esempio illuminante del punto di
{p. 34}arrivo del processo di trasformazione in atto, che definisce in maniera molto particolare e specifica la cornice all’interno della quale anche il progetto del Museo multimediale della lingua italiana si colloca.
2. Ma veniamo al contesto in cui si situa il progetto MULTI. Ho individuato due aspetti che a mio parere vale la pena di sottolineare.
Il primo è nella diffusione dei principi contenuti nella Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, meglio nota come Convenzione di Faro 2005, ratificata anche dall’Italia nel 2020. Quei principi connettono il concetto globale di patrimonio di cui s’è parlato con le cosiddette comunità di eredità. La Convenzione intende per eredità culturale «un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Essa comprende tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato dell’interazione nel corso del tempo fra le popolazioni e i luoghi». Il museo di cui qui trattiamo ha per oggetto la lingua italiana, cioè una risorsa identitaria che non avrebbe senso conservare, salvaguardare e promuovere se non ci fosse una comunità linguistica di riferimento, che sempre l’articolo 2 della citata Convenzione definisce quale «insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future» [2]
.{p. 35}
C’è anche un altro elemento che va sottolineato per la messa a fuoco del contesto in cui viene progettato il MULTI e riguarda la cosiddetta rivoluzione digitale [Mandarano 2019]. I musei hanno sempre avuto a che fare con gli strumenti di comunicazione, e la multimedialità è una caratteristica intrinseca del museo. La compiutezza del discorso museale è sempre affidata al sistema allestitivo, che colloca gli oggetti all’interno di uno spazio e di unità espositive fondate sulla coerenza di codici espressivi differenti: ci sono le vetrine, l’illuminazione, i testi scritti dei pannelli e delle didascalie, le immagini fotografiche e in movimento, le diverse soluzioni grafiche e scenografiche, i punti di ascolto e di contatto. Tutte queste unità mobilitano le capacità cognitive ed esperienziali del visitatore, che è chiamato a misurarsi con il progetto esibito nella rappresentazione espositiva: una macchina delle meraviglie che è parte integrante del museo come medium tra gli altri media. Parlare di rivoluzione digitale nel museo sarebbe scontato a meno di non riferirci alle ricadute che la tecnologia applicata alla ricerca determina nell’esperienza cognitiva dei visitatori. Le cosiddette digital humanities, ben note alla linguistica, favoriscono una più piena accessibilità alla conoscenza e consentono di migliorare l’esperienza visiva, estetica e intellettuale del pubblico [Greco e Christillin 2021]. Purché – è bene segnalarlo – si abbia consapevolezza della necessità di accompagnare con le dovute maniere quei cittadini che hanno difficoltà con le tecnologie e rischiano di essere esclusi dai vantaggi che procura la dimensione digitale. Vorrei indicare almeno due temi caldi del grado di accessibilità sollevato dal digitale.
Il primo riguarda la necessità di fare i conti con i principi di accessibilità totale propri del museo, da un lato favorendo l’inclusione nei processi di fruizione digitale della generazione che va dai 46 ai 64 anni, quella dei cosiddetti baby boomers per intenderci, che nella fase pandemica ha dimostrato di non avere sempre grande dimestichezza con il digitale anche a causa dell’assenza delle infrastrutture e dei {p. 36}mezzi necessari (banda larga/hardware adeguati). Dall’altro, educando i cosiddetti nativi digitali (la net generation) a metodi di apprendimento e di comunicazione più coerenti con le esperienze museali, dunque alternativi a quelli abituali, fondati sulla rapidità, sull’occasionalità ecc., approfondendo quindi la ricerca sulle fonti conoscitive e sulle diverse strategie rappresentative.
Il secondo aspetto rinvia a quanto rilevato da un’indagine online sul pubblico dei musei fatta durante la fase due del lockdown, da cui risulta che il 65% dei partecipanti ritiene che la visita online non possa sostituire la visita fisica al museo, anche qualora fossero disponibili contenuti di elevata qualità: foto, video, rappresentazioni in 3D, musiche, audio e quant’altro. L’offerta digitale viene senz’altro valutata come un incentivo alla familiarizzazione e uno stimolo alla conoscenza delle collezioni dei musei, e i partecipanti ritengono che sia questa sostanzialmente la funzione da attribuire al digitale. Tuttavia il museo come luogo dove si cammina, ci si muove e ci si incontra, dove si ascolta e si tocca, dove nell’esperienza del pubblico tutti i cinque sensi vengono coinvolti, resta ancora la realtà dominante e con questo dato bisogna evidentemente fare i conti [Solima e Cicerchia 2020].
3. Veniamo infine alla prospettiva, al terzo aspetto che mi sono proposto di segnalare e che probabilmente verrà maggiormente approfondito negli interventi che seguiranno. Soprattutto in ragione della tipologia di museo sulla quale stiamo ragionando vorrei connotare la prospettiva del MULTI con l’espressione conservare il futuro. Uno degli sforzi che il museo della lingua italiana dovrà fare è quello di giocare con una delle parole chiave del museo, la conservazione del patrimonio, guardando alla sua dimensione processuale e dinamica, aperta al domani. L’espressione allude alla nostra capacità di traghettare nel futuro ciò che vale la pena di salvare del passato, perché possano realizzarsi le migliori condizioni di vita per le future generazioni.
Per realizzare questa prospettiva è necessario valorizzare pienamente un’altra parola chiave, che è partecipazione. {p. 37}Provo a spiegarmi. Nel definire la propria missione ogni progetto museale deve rispondere a tre domande fondamentali: «Perché si fa un museo?», «Per chi lo si realizza?» e «Come, in quale forma, con quali strategie?». Dietro la domanda «perché un museo» ci sono ragioni politiche e culturali, che nel caso specifico del MULTI hanno evidentemente a che fare con l’opportunità di istituire anche nel nostro paese un museo dedicato alla lingua nazionale. La domanda «per chi farlo» sottintende una ragione sociale, che nella fattispecie comporta di valorizzare e trasmettere, ai cittadini e per i cittadini italiani, le conoscenze relative al patrimonio linguistico di una collettività di parlanti. Dunque un museo per tutti, che però tenga conto delle criticità e dei rischi che prima mettevo in evidenza dal punto di vista dei rapporti tra le generazioni. Sottolineo questo aspetto poiché la fortuna di un museo non dipende soltanto dalla sua sostenibilità economica, questione che interessa in particolare il «come fare» il museo, cioè come organizzarlo dal punto di vista gestionale. Esiste infatti anche una sostenibilità culturale del museo, che consiste nella capacità di connettere le generazioni tra loro, cioè di riuscire a costruire un «tempo etico» transgenerazionale, nel quale i nonni e i nipoti possano riconoscersi e intendersi, assicurando così il passaggio da una generazione all’altra dei valori di una comune tradizione culturale [Simonicca 2006]. La sostenibilità culturale di un progetto intitolato al patrimonio linguistico italiano dipenderà dunque dalla capacità di promuovere il riconoscimento della comune appartenenza a un orizzonte valoriale, pur nelle differenze storiche e attuali delle diverse parlate generazionali e locali.
In questo senso, credo che il successo del progetto possa essere determinato soprattutto dal grado di partecipazione del suo pubblico reale e potenziale. Tanto più trattandosi di un museo virtuale, che dunque avrà delle stanze in 3D, dove il navigatore web avrà l’impressione di muoversi all’interno di un vero museo e troverà immagini, video, informazioni, testimonianze, approfondimenti legati alla lingua italiana e a tutto quello che la lingua italiana significa dal punto di vista culturale. Grazie alle potenzialità che il digitale offre, {p. 38}tutto questo sarà evidentemente tradotto e realizzato in modo spettacolare, «immersivo» come si suol dire oggi, cercando cioè di coinvolgere il visitatore dal punto di vista anche emozionale. E così tutto sembrerà assomigliare a un gioco cognitivo, del resto legittimato dalle regole del gaming e del mapping, ormai accreditate anche nei musei quali strategie di conoscenza e di apprendimento, sia on site che online [Mandarano 2019]. Ciò non toglie che per assicurare risultati apprezzabili nella comunicazione digitale sarà importante lavorare alla creazione di dispositivi che favoriscano la nascita di communities in grado di interagire con il museo. Dunque la partecipazione, quale cifra del museo contemporaneo, resta comunque un punto di riferimento programmatico.
Sarà ad esempio fondamentale coinvolgere il visitatore non soltanto nella visita di stanze virtuali ma anche nella possibilità di crearne lui di proprie, attraverso quel gioco curatoriale che alcuni progetti museali hanno a volte già sperimentato mettendo a disposizione del pubblico gallerie di immagini cui attingere per fare un percorso di visita personalizzato. Ma sarà anche interessante offrire al visitatore la possibilità di entrare nel museo virtuale per donare informazioni ed elementi utili per realizzare forme di co-produzione culturale.
Del resto, in ragione delle questioni che ho cercato di illustrare in maniera necessariamente frammentaria, il paradigma del museo è profondamente mutato a partire dalla seconda metà del Novecento. Quel paradigma non è più informato esclusivamente all’educazione o alla comunicazione. Il valore dato alla partecipazione in qualche modo ha liberato la possibilità che il museo si trasformi in un luogo di produzione culturale [Chaumier 2013]. E la produzione culturale come sappiamo non può che essere realizzata attraverso la condivisione, l’interazione: attraverso appunto la partecipazione. Ebbene, se il costituendo Museo multimediale della lingua italiana si collocherà all’interno della cornice museologica di frontiera prima tratteggiata, se saprà tener conto del contesto che oggi sottolinea in modo prepotente il valore dell’eredità culturale e il ruolo
{p. 39}delle comunità di eredità nella salvaguardia del patrimonio culturale, se saprà valutare il digitale come una potenzialità e un’opportunità da governare con sapienza e se, infine, guarderà in prospettiva futura utilizzando la chiave della partecipazione come antidoto alle derive autoreferenziali, forse sarà quel museo per tutti e per tutte che mi auguro di poter quanto prima visitare in modo creativo e interattivo.
Note
[1] Il dibattito si è concluso all’Assemblea generale dell’ICOM di Praga, tenutasi il 24 agosto 2022, con l’approvazione della seguente nuova definizione: «Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano in modo etico e professionale e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze».
[2] Cfr. Consiglio d’Europa, Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, Faro, 27 ottobre 2005, http://www.musei.beniculturali.it/wp-content/uploads/2016/01/Convenzione-di-Faro.pdf (ultimo accesso: gennaio 2023).