Federico Batini (a cura di)
La lettura ad alta voce condivisa
DOI: 10.1401/9788815410238/c5
Queste iniziative trovano riscontro anche nelle attività di documentazione, prestito e iniziativa culturale di biblioteche comunali o gestite da associazioni cittadine. Gli esempi comprendono Bologna, con la Biblioteca Sala Borsa con libri in 105 lingue diverse a portata di mano per i bambini (https://www.bibliotecasalaborsa.it/documents/libri-in-tante-lingue); Reggio Emilia, attraverso le attività della Fondazione Mondinsieme (https://www.mondinsieme.org/promozione-del-multilinguismo.html); Roma, che ha visto nascere la Biblioteca Antirazzista Carminella (http://www.carminella.it/attivita/biblioteca-antirazzista.html); Torino, che dispone di un centro e di una biblioteca interculturale (http://www.interculturatorino.it/la-biblioteca-interculturale/); Trento, che nella sede centrale di via Roma della Biblioteca comunale
{p. 144}offre uno sportello in lingua araba, cinese e ucraina, letture per bambini alla Biblioteca ragazzi e ha progressivamente incrementato il numero dei testi in lingua originale, tra cui arabo, cinese, polacco, rumeno, russo, ucraino (e che conta oggi 147 volumi in arabo, 24 in cinese, 370 in ucraino, https://bibcom.trento.it/).
Durante l’anno scolastico 2021-2022, il progetto Ad Alta Voce Porta Palazzo [Surian, Candela e Rutigliano 2022] ha mostrato di poter contribuire alle condizioni che promuovono equità di apprendimento in contesti di diversità culturale e, non a caso, un primo risultato ha riguardato la rinnovata attenzione per la qualità e la varietà della biblioteca scolastica e dei libri accessibili a chi frequenta la scuola.

4. L’educazione democratica è plurilingue

Una terza lente prende in considerazione un aspetto specifico del «canone» e riguarda il ritardo con cui in Italia si affronta il plurilinguismo a scuola, tema che, a sua volta, offre numerose declinazioni: l’approccio emergenziale e legato al «deficit» nel rapporto con i mondi delle migrazioni, l’insegnamento delle lingue «straniere», il riconoscimento dei diversi aspetti di mediazione linguistico-culturale che attraversano gli spazi e le relazioni scolastiche e il curriculum implicito. Il tema di fondo è quello dello spazio-tempo per approcci didattici plurilingue che sappiano esplorare in chiave didattica l’interdipendenza fra sistemi linguistici, vantaggi cognitivi del bilinguismo e le prospettive dialogiche e transculturali che permettano nuove percezioni rispetto alla ricchezza plurilingue delle classi e che richiedano all’insegnante di mettere in gioco elementi delle lingue delle bambine e dei bambini in classe, compreso il farsi correggere da loro.
Nel saggio Il plurilinguismo nella società e nella scuola italiana, Tullio De Mauro [1977, 125-126] criticava duramente – e come emblematico di una «violenza pedagogica» allergica all’educazione «aperta» – l’«addestramento al monolinguismo» cui è assoggettata l’educazione linguistica a {p. 145}scuola, orientata all’adeguamento della produzione dei testi verbali al modello di uso scritto di una forma selezionata dell’idioma legato alla cultura, alla religione, alla nazione, alla classe dominante: una «terribile unilateralità» che passa inosservata perché «abituale», mentre «privilegia la produzione a scapito della ricezione e comprensione, l’espressività verbale a scapito d’ogni altra forma d’espressione e manipolazione ordinatrice dell’esperienza, la scrittura rispetto all’oralità, uno stile unico rispetto alla pluralità di stili propria di ogni società di qualche complessità».
Per De Mauro [ibidem, 131-133] educazione democratica significa «educazione al rispetto della varietà linguistica e all’uso d’ogni sorta di creatività linguistica» e sono almeno sei le «varietà» cui la scuola è tenuta a dare ascolto e cittadinanza.
Innanzitutto, va sottolineata la varietà di linguaggi, nella consapevolezza del profondo nesso con i processi creativi cui sottende la capacità di passare da un linguaggio a un altro. Ne consegue una riconfigurazione del ruolo del verbale nei processi educativi per favorire un armonico sviluppo di «tutte le capacità semiologiche, gestuali, figurative, calcolistiche astratte».
In secondo luogo, in merito alla varietà delle lingue, De Mauro [ibidem, 134] ribalta lo schema prevalente che inquadra la relazione con lingue diverse dall’italiano all’interno di cornici o funzionali ai modelli professionali e culturali dominanti (privilegiando l’inglese), o di sostegno a minoranze linguistiche. Questo ribaltamento rimane in sintonia, oggi, con le politiche e le pratiche di istituzioni come il Consiglio d’Europa che afferma, come ricorda Beacco:
tutti gli individui sono potenzialmente o effettivamente plurilingui [in quanto] il repertorio comprende le lingue acquisite in modi diversi (apprese a casa, dall’infanzia in poi, apprese successivamente a scuola o in modo indipendente) per le quali le persone hanno competenze diverse (conversazione quotidiana, lettura, ascolto ecc.) a livelli di padronanza che differiscono (elementare, indipendente, esperto) [Council of Europe, Language Policy Unit 2012, in Zanzottera, Cuciniello e D’Annunzio 2021].{p. 146}
Per De Mauro l’educazione plurilingue, l’esperienza della varietà di lingue è importante in relazione ad almeno tre ordini di motivi: «per togliere assolutezza agli schemi linguistici più abituali, per educarsi alla tolleranza e intelligenza delle possibilità comunicative ed espressive e, nella misura in cui ciascun idioma aderisce alla peculiare vicenda storica d’una comunità nazionale, per educarsi alla storia». Tali motivazioni rimandano anche all’importanza del favorire le esperienze e gli apprendimenti riguardo alla varietà degli stili (parlati, scritti, cronaca, dialogo comico ecc.) e di applicazione didattica:
La scuola tradizionale ha insegnato come si deve dire una cosa. La scuola democratica insegnerà come si può dire una cosa [...] disegnando, cantando, mimandola, recitando, ammiccando, additando, e con parole; possiamo dirla in inglese, in cinese, in turco, in francese, in greco, in piemontese, in siciliano, in viterbese, romanesco, trasteverino e in italiano [...] purché abbiamo veramente voglia di dirla e purché ce la lascino dire [De Mauro 1977, 136].
La constatazione è che la scuola democratica che De Mauro auspicava non c’è e che agli attuali assetti mancano elementi fondamentali per la sua costruzione.
Zanzottera, Cuciniello e D’Annunzio [2021, 69] hanno provato a documentare alcune esperienze recenti di promozione di una didattica plurilingue rilevando come vadano a sollecitare a far maturare una maggiore consapevolezza metalinguistica:
una predisposizione maggiore a riflettere sulla lingua, sul funzionamento del sistema lingue in generale. Abbiamo potuto rilevare delle riflessioni molto profonde, non grammaticalizzate ma molto profonde, sulle somiglianze tipologiche, genealogiche fra lingue, sui meccanismi di formazione delle parole, su tanti aspetti di comparazione fra lingue che ti aspetteresti a un’età molto più avanzata.{p. 147}

5. Le pedagogie e le narrazioni di cittadinanza

Una quarta lente può essere letta in chiave di sintesi e rimanda al rapporto fra lettura ad alta voce ed educazione alla cittadinanza, in particolare quando si tratta di declinarla nelle esplicitazioni dei rapporti fra dimensione locale e planetaria [Biesta, De Bie e Wildemeersch 2014]. Qualcosa si muove sul fronte istituzionale a proposito della Strategia italiana per l’educazione alla cittadinanza globale (ECG), approvata dal Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo (CNCS) a febbraio 2018. L’11 giugno 2020 il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (CICS) ha approvato la Strategia ECG imperniata su processi multi-attore così come è avvenuto già nel processo che ha portato all’adozione della Strategia da parte del CNCS: sono state coinvolte in processi di dialogo e scrittura collettiva organizzazioni del terzo settore, imprenditori, regioni e una pluralità di ministeri e agenzie. Nel richiamare approcci educativi e prospettive pedagogiche, la Strategia ECG prende esplicitamente in considerazione la pedagogia narrativa e alcune delle esperienze italiane più significative degli anni ’60 e ’70, legate a maestri quali Celestin Freinet, Danilo Dolci, Mario Lodi. Rimane attuale l’invito di quest’ultimo a considerare l’aula un laboratorio, un «luogo dove la comunità nascente trasforma l’io in noi, l’egoismo in solidarietà. [...] richiede l’esercizio quotidiano del rispetto di regole che rendono possibile l’uso della libertà» [Lodi 2010, 27]. Tale aula-laboratorio si inserisce in una prospettiva di ricerca-azione, di atteggiamento etnografico, che sollecita a concepire e sviluppare apprendimenti nel contesto più generale dei territori e dei processi culturali che realizzano la continuità fra diverse «strutture» materiali e immateriali: ludiche, museali, digitali, di ricerca, sperimentazione, applicazione, di studio, di apprendimento ecc. E sollecita la consapevolezza di cornici pedagogiche adeguate: la Strategia italiana per l’educazione alla cittadinanza globale richiama esplicitamente undici ambiti di attenzione e strategia didattica:
  1. Co-progettazione. Processi di apprendimento che valorizzano l’esperienza e le conoscenze e sono quindi rilevanti {p. 148}per chi apprende e pertinenti rispetto alle loro vite. Per quanto possibile, ciò implica processi di co-progettazione dei percorsi educativi che coinvolgano educatori e/o formatori e discenti.
  2. Metacognizione. Potendo contare su percorsi che partono dalle esperienze e dalle parole di chi apprende, le didattiche dell’educazione alla cittadinanza globale si caratterizzano per la capacità di offrire occasioni e strumenti per l’autoriflessione individuale e collettiva, in modo da poter prendere consapevolezza ed esaminare le proprie opinioni e i meccanismi con cui si creano, le fonti di informazione, i propri valori, gli stereotipi e i pregiudizi e il rapporto con la dimensione della legalità e dei processi democratici. In una prospettiva di ascolto attivo, comunicazione nonviolenta e trasformazione dei malintesi e dei conflitti, l’educazione alla cittadinanza globale incoraggia a considerare tensioni e conflitti come opportunità di apprendimento, imparando a fare i conti con le ambiguità, le incertezze, le contraddizioni legate a un’esplorazione del mondo che prende in considerazione la propria capacità di comunicare e agire nel contesto delle relazioni interpersonali e sociali e della co-esistenza e co-evoluzione di diverse prospettive culturali e spirituali.
  3. Complessità. L’educazione alla cittadinanza globale riconosce che la complessità dei temi affrontati richiede un approccio sistemico e metodi adeguati a esplorare gli aspetti inter- e trans-disciplinari e la dimensione affettiva insieme a quelle del conoscere e del saper agire. In tal senso, l’educazione alla cittadinanza globale è anche un’educazione a saper riconoscere altri punti di vista e ad allargare e, quando necessario, cambiare il proprio repertorio conoscitivo e comportamentale.
  4. Pensiero narrativo. Danno corpo a percorsi di cittadinanza globale approcci narrativi che favoriscono la conoscenza, il dialogo e il confronto tra specificità individuali e premesse e contesti culturali diversi. La costruzione dei significati è un processo sociale che nasce e si sviluppa all’interno di un contesto storicamente e culturalmente determinato. Attraverso le narrazioni e il raccontarsi si attuano, al tempo stesso, processi di acculturazione e distinzione dagli altri.
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  5. Cittadinanza in chiave mondiale. Dimensione che viene resa consapevole favorendo lo studio della geografia sociale e della storia in prospettiva planetaria e adottando l’indagine e l’ascolto di analisi multi-prospettiche di fronte alle situazioni di conflitto. Si tratta di rendere esplicite le condizioni di violenza strutturale in relazione, per esempio, a contesti marcati dalle dinamiche coloniali, patriarcali, di sfruttamento economico e dei territori. Tale consapevolezza comporta, inoltre, la capacità di saper coinvolgere e ascoltare testimoni per narrazioni in prima persona delle situazioni di discriminazione, e transizioni capaci di attivare percorsi di confronto e conoscenza. Ancora, comporta l’offerta di corrispondenza e scambio con coetanei di altri territori e di altri contesti linguistici, compresi soggiorni di studio all’estero nel solco di tradizioni pluridecennali attivate da pedagogisti come Freinet e da associazioni di scambi internazionali e oggi, in parte, sostenute da programmi quali Erasmus+.
  6. Futuri possibili e auspicati. L’educazione alla cittadinanza globale è anche educazione di una società «capace di futuro» e, quindi, inserisce il futuro nella scala dei tempi. Sollecita a esplorare l’orizzonte delle possibilità e a sviluppare la capacità progettuale, la dimensione del desiderio, della speranza e dell’immaginazione. Il futuro è la parte della storia che noi possiamo cambiare, consapevoli che la solidarietà verso le generazioni future è uno degli elementi della sostenibilità, insieme alla sfida del saper distinguere i futuri probabili da quelli desiderabili e sostenibili.
  7. Maieutica reciproca. Specifico dell’educazione alla cittadinanza globale è lo sviluppo delle capacità discorsive e argomentative e l’adozione di un approccio dialogico e collaborativo che sappia valorizzare le domande e le dinamiche maieutiche nella tradizione già consolidata in Italia da Danilo Dolci, ricercando contesti di comunicazione nonviolenta che suscitino interesse reciproco e permettano di cogliere i punti di vista altrui.
  8. Apprendimenti trasformativi. Percorsi di cittadinanza e prospettiva globale sollecitano la disponibilità a pensare il mondo dal punto di vista della sua trasformazione. Questo atteggiamento riguarda sia l’attenzione per i beni comuni e {p. 150}per l’analisi dei territori e delle relazioni in quanto sistemi potenzialmente aperti, sia la capacità di affrontare i conflitti in chiave trasformativa, imparando innanzitutto a sostare nel conflitto, esplorandone la dimensione di apprendimento a partire dalle emozioni che possono venir riconosciute e rispettate.
  9. Collaborazione. Per essere compiutamente educativi, i percorsi di educazione alla cittadinanza globale devono saper offrire condizioni e occasioni per agire collettivamente e cooperativamente, favorendo la consapevolezza anche della dimensione «non economica» dell’agire. Questa dimensione riguarda tanto il rapporto con una varietà di linguaggi espressivi, quanto l’esperienza di metodologie specifiche per favorire percorsi partecipativi e collaborativi (come, ad esempio, il cooperative learning), quanto la co-progettazione di possibili iniziative e azioni a livello locale e internazionale coinvolgendo sia i discenti sia i diversi attori territoriali disponibili all’animazione di comunità. Appare indispensabile introdurre nei percorsi dell’educazione formale pratiche che hanno mostrato un’efficacia profonda in questo ambito come quelle del Jigsaw, della scrittura collettiva, della corrispondenza.
  10. Giochi e simulazioni. Di particolare importanza è l’utilizzo di giochi e simulazioni e di tecnologie sia faccia a faccia sia digitali e a distanza, nella prospettiva di prendere confidenza con altri mondi e anche con la dimensione delle regole e della negoziazione.
  11. Apprendimento tra pari. I valori dell’educazione alla cittadinanza globale si riflettono nella capacità di ascolto attivo e di mutuo aiuto fra quanti sono coinvolti nei processi di apprendimento e quindi in pratiche di apprendimento facilitato dai pari.