Federico Batini (a cura di)
La lettura ad alta voce condivisa
DOI: 10.1401/9788815410238/c4
Secondo la ricerca che valorizza gli aspetti socio-culturali, la costruzione e la strutturazione dell’identità di genere è da ascrivere principalmente alle numerose influenze presenti nel contesto sociale: la famiglia e il gruppo degli adulti di riferimento (parenti, insegnanti ecc.) che rappresentano modelli di ruolo, esibiscono aspettative, attivano atteggiamenti incoraggianti o scoraggianti [Fagot, Rodgers e Leinbach 2000]; il gruppo dei pari che attraverso la segregazione di genere produce «culture separate» [Maccoby 1998]; i giocattoli, i media (libri, televisione, videogiochi, internet), il linguaggio che veicolano in modo esplicito o implicito messaggi stereotipici [Kinder 1999; Signorielli 2001]. Tale considerazione incrocia la spiegazione dello sviluppo dell’identità di genere da una prospettiva cognitiva: i processi cognitivi individuali, e sostanzialmente impliciti e inconsapevoli, di
{p. 128}categorizzazione organizzano lo sviluppo dell’identità di genere, poiché influenzano in modo decisivo le aspettative e i ricordi delle bambine e dei bambini, il modo in cui elaborano i loro giudizi sociali e il modo in cui si comportano [Bussey e Bandura 1999]. Le categorie sociali vengono poi via via sviluppate da bambine e bambini attraverso, appunto, i modelli adulti e i media.
Le bambine e i bambini mostrano, fin dalla primissima infanzia, un interesse attivo a conoscere e ad apprendere le categorie sociali e a comprendere il modo in cui utilizzarle per poter acquisire un posto nel sistema di categorizzazione usato dal proprio gruppo sociale. È per questo motivo che le bambine e i bambini apprendono molto presto anche alcuni stereotipi socialmente condivisi e vi si affidano, rendendoli inizialmente molto resistenti al cambiamento. Le prime distinzioni categoriali che bambine e bambini, anche molto piccoli, percepiscono e utilizzano con competenza sono quelle relative a genere, età ed etnia [Bigler e Liben 1992; Nelson 2009]. In particolare, la consapevolezza delle bambine e dei bambini delle caratteristiche tipiche di sesso e genere interviene piuttosto precocemente. Già molto prima del compimento dell’anno di vita bambine e bambini sanno discriminare volti (3-4 mesi) e voci (6 mesi) femminili e maschili [Quinn et al. 2002]. Intorno ai 10 mesi le bambine e i bambini stabiliscono associazioni stereotipiche tra visi di uomini e donne e oggetti gender-typed [Levy e Haaf 1994].
Alcuni studi dimostrano che tra i 18 e i 24 mesi le bambine e i bambini possiedono la capacità di riconoscere l’identità sessuale propria e degli altri e sanno etichettare linguisticamente i maschi e le femmine, mostrando così l’acquisizione della consapevolezza del genere come categoria [Martin e Ruble 2009]. Tra i 2 anni e mezzo e i 3 anni la categoria di genere è utilizzata dalle bambine e dai bambini attivamente e con competenza [Yee e Brown 1994].
L’acquisizione graduale e crescente della consapevolezza di appartenere a un determinato gruppo sociale è un fattore importante nel processo di sviluppo del concetto del sé, che inizia nella prima infanzia e prosegue nel corso dell’adolescenza e dell’età adulta. La costruzione del concetto del {p. 129}sé, infatti, si muove tra il piano del sé personale (sé come diverso dall’altro) e il piano del sé sociale (sé come connesso all’altro). Il sé sociale si sviluppa anche attraverso la crescente consapevolezza della propria appartenenza a particolari categorie sociali (distinte sulla base del genere, dell’etnia ecc.). Tale consapevolezza, implicando un’identificazione con alcune categorie rispetto ad altre, attiva processi valutativi che conducono a esprimere giudizi maggiormente positivi nei confronti dei membri della categoria di appartenenza [Ruble et al. 2006].
Nel caso specifico della categorizzazione di genere, già prima di acquisire una consapevolezza della costanza di genere, le bambine e i bambini esprimono una preferenza per le persone del proprio sesso e, dunque, si assiste a un conseguente e progressivo processo di segregazione. Tra i 5 e gli 8 anni si manifestano da parte di bambine e bambini (nel caso del genere più da parte delle bambine che dei bambini) atteggiamenti particolarmente centrati sul gruppo [Brown 2010]. Gli stereotipi cominciano ad acquisire una certa flessibilità intorno ai 10 anni [Signorella, Bigler e Liben 1993]. Tuttavia, le associazioni stereotipiche e la discriminazione intergruppo che ne consegue permangono anche in età adulta, manifestandosi attraverso il fenomeno del sessismo ambivalente [Glick e Rudman 2013].
I media, e in particolare la letteratura per bambine e bambini, ragazze e ragazzi, attraverso le rappresentazioni sociali che offre, è uno degli agenti socio-culturali più rilevanti che intervengono nel processo della costruzione della consapevolezza e della socializzazione dei ruoli di genere [Gianini Belotti 1973; Blakemore, Berenbaum e Liben 2009]. Fin dagli anni ’70, negli Stati Uniti e in Europa, numerose sono state le riflessioni su questo tema. Le ricerche e gli studi convergono almeno su un paio di dati interessanti: il primo è che nei libri per bambine e bambini sono rappresentate molte più figure maschili che femminili (sia umane sia animali); il secondo è che sia le figure adulte sia le figure infantili sono frequentemente rappresentate in modo stereotipato rispetto al genere. In particolare, le figure maschili sono generalmente impegnate in occupazioni di {p. 130}diverso tipo, che prevedono per lo più abilità e competenze di alto livello, mentre le figure femminili sono molto spesso impegnate nella cura degli altri, soprattutto i familiari, e raramente sono rappresentate in ambienti esterni all’abitazione. I bambini sono quasi sempre raffigurati in ambienti esterni, impegnati in giochi di movimento, di avventura e in attività di risoluzione di problemi, mentre le bambine sono ritratte spesso nel contesto domestico e impegnate in giochi di ruolo nell’interpretazione di mansioni domestiche e di cura [Weitzman et al. 1972; Béreaud 1974; Giani Gallino 1973; Gianini Belotti 1978].
A partire dal movimento femminista degli anni ’60 e ’70 e dai conseguenti cambiamenti della figura della donna nel contesto sociale, la presenza femminile nei libri per la prima infanzia è gradualmente aumentata e la rappresentazione stereotipata dei ruoli di genere è stata leggermente ridimensionata. Ancora oggi, tuttavia, le ricerche mostrano che permangono ancora differenze sostanziali sia in termini di presenza/assenza sia in termini di rappresentazione dei ruoli [Spitz 1999; Brugeilles, Cromer e Cromer 2002; Turin 2003; Biemmi 2010; Chabrol Gagne 2011; Fierli et al. 2015; Corsini e Scierri 2016].
In particolare, da alcuni degli studi sul tema, emerge che la rappresentazione di bambine, ragazze e donne è meno stereotipata, mentre poco è cambiato relativamente alla raffigurazione di bambini, ragazzi e uomini. La figura paterna è rappresentata più frequentemente, tuttavia i papà compaiono spesso da soli, all’interno di storie a loro dedicate, nelle quali agiscono in un’aura di straordinarietà. Resta costante il dato sulla rappresentazione delle figure maschili impegnate nello svolgimento di attività che vengono considerate tipicamente femminili (per esempio i lavori domestici o la cura dei bambini) [Evans e Davies 2000; Diekman e Murnen 2004; Francis et al. 2018].
La letteratura e l’attività di lettura possono assumere, nel caso delle rappresentazioni sociali, una funzione di ribaltamento di modelli precostituiti, di decostruzione degli stereotipi e di riduzione del pregiudizio e quindi rappresentare un contesto accogliente, inclusivo, rispettoso delle {p. 131}differenze, che promuove la costruzione di identità libere da etichette socialmente imposte, solo se tengono presenti alcune questioni.

3. Per una lettura ad alta voce condivisa inclusiva

Il metodo della lettura ad alta voce condivisa è, di per sé, un metodo che promuove una pratica educativa democratica, inclusiva, equitativa. Le caratteristiche di quotidianità, sistematicità, intensità, progressività che il metodo propone, sembrano mettere in condizione la lettura di fornire un vantaggio maggiore proprio a chi ne ha più bisogno. La lettura, infatti, è un’attività a «soglia bassa», vale a dire è un’attività che non richiede il possesso di determinate abilità o determinati livelli di competenza e che consente diversi livelli e modalità di accesso e di fruizione [Batini 2021] e, se praticata con la mediazione di un adulto, con costanza nei contesti educativi, può produrre un beneficio per tutte e tutti, anche in un gruppo disomogeneo, soprattutto per gli individui più fragili.
Per rafforzare questo suo potere, la lettura ad alta voce condivisa deve porre un’attenzione specifica ad almeno due aspetti: il processo di scelta di ciò che si legge insieme e il processo di mediazione e di conduzione della conversazione che nasce dalla condivisione dell’attività di lettura tra le ascoltatrici e gli ascoltatori.
Certamente la scelta del lettore deve essere consapevolmente motivata e richiede una costante riflessione e un continuo aggiornamento e accrescimento delle proprie competenze, un’attenzione alle proposte editoriali, una permanente condivisione e negoziazione con i colleghi e le colleghe [Chambers 1993]. Ma, soprattutto, la scelta del lettore deve orientarsi verso la bibliovarietà [Batini 2022], muovendosi attraverso una molteplicità di proposte che garantisca un’ampia varietà di protagonisti (dal punto di vista delle caratteristiche fisiche, del genere, dell’orientamento sessuale, della provenienza culturale, delle visioni del mondo, della posizione socio-economica, delle abilità, dei {p. 132}modelli familiari ecc.), di vicende rappresentate (relativamente ai problemi che affrontano, alle strategie che usano, alle soluzioni che trovano, alle modalità di relazione che hanno i protagonisti e a luoghi, spazi e tempi della storia), di forme narrative, di generi letterari, di linguaggi e di stili. L’attenzione alla varietà garantisce la possibilità del duplice e complementare movimento dell’identificazione e della spinta ad aprirsi a possibilità diverse. Da una parte, infatti, è certamente opportuno che le bambine e i bambini abbiano sempre la possibilità di identificarsi con i protagonisti, di ritrovarsi nelle loro storie, di condividere le loro esperienze, di sentire le loro emozioni. Il senso di familiarità è rassicurante e consente ad ascoltatrici e ad ascoltatori di ri-conoscere sé stessi e di attribuire significato alle proprie esperienze. Bambine e bambini devono poter incontrare storie «scritte proprio» per loro [ibidem], sperimentando una letteratura del riconoscimento e dell’appartenenza che ne esprime la funzione pacificatoria [Chambers 2020]. Per far sì che ogni bambina e ogni bambino trovino la storia scritta apposta per sé, è necessario proporre tante storie, differenti personaggi, diverse situazioni narrative, molteplici contesti. La varietà e le plurali combinazioni di tali elementi consentono alle bambine e ai bambini di non ridurre automaticamente e obbligatoriamente l’immagine di sé a un modello fisso, predeterminato e condiviso socialmente, ma di poter scegliere e poter ritrovare tra le numerose proposte, l’immagine in cui potersi rispecchiare. Si tratta di gettare «sassi nello stagno» e sollecitare le private leggi di decodifica di ogni ascoltatrice e di ogni ascoltatore [Rodari 1973], che conducono alla produzione di caleidoscopiche interpretazioni personali e collettive delle storie.
D’altra parte, tuttavia, è altrettanto importante sfruttare la funzione sovversiva della letteratura [Taibo II 2006; Chambers 1993] che, nella sua capacità di proporre rappresentazioni della complessità della realtà, offre uno strumento potente di comprensione del mondo in tutte le sue possibili declinazioni. La letteratura, infatti, si fa carico di rappresentare la molteplicità delle relazioni e la sua grande sfida è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in
{p. 133}una visione plurima, sfaccettata del mondo, rappresentando un modello della rete e della moltiplicazione dei possibili [Calvino 1993].