Andrea M. Maccarini (a cura di)
Character skills e didattica digitale
DOI: 10.1401/9788815374615/c2
Come abbiamo anticipato, il disegno della nostra ricerca prevedeva l’approccio a scuole non particolarmente problematiche sotto il profilo della dotazione tecnologica, essendo l’indagine interessata al nesso tra DAD, SES e riflessività al netto degli impedimenti legati alla base materiale. Essi avrebbero comunque potuto palesarsi, ma non avrebbero dovuto costituire il problema principale. È dunque conseguente che le narrazioni dei dirigenti ci abbiano consegnato
{p. 48}la rappresentazione di una diffusa preparazione sul versante strettamente tecnologico all’interno della scuola, per cui nelle scuole, indipendentemente dalla filiera, sono presenti le risorse di base, quali piattaforme, email per gli studenti, registro elettronico, sistemi di comunicazione online con le famiglie, dispositivi adeguati per la connessione, animatori digitali di supporto, tecnici informatici:
la scuola era già attiva sull’aspetto tecnologico ante lockdown, era già attiva da tempo la piattaforma di istituto, dove si caricano comunicazioni, a cui tutti accedono, gli studenti hanno la loro mail. Tranne le prime due settimane di attesa in cui era normale stare fermi, siamo partiti (da intervista DS IP).
La DAD per noi non ha rappresentato un grosso problema, eravamo attrezzati da anni, io sono qui da sei anni e già si usava la GSuite e si sfruttavano numerose potenzialità. Dal punto di vista tecnico siamo partiti subito e bene (da intervista a DS IT).
[...] è tutto molto avanzato sul piano tecnologico. Ben prima della pandemia lavoravamo già così. Per cui siamo partiti avvantaggiati (da intervista a DS liceo).
Le scuole hanno inoltre ricevuto dal ministero dell’Istruzione, con il lockdown e successivamente a esso, risorse aggiuntive specifiche per fronteggiare l’emergenza; questa iniezione di liquidità ha consentito d’intervenire anche all’esterno della scuola per creare le condizioni materiali per dare continuità agli apprendimenti. Disporre di risorse ha portato le scuole ad allineare gli studenti con dispositivi idonei alla connessione per fruire della DAD: quindi sia dentro la scuola sia fuori da essa la dotazione di strutture e infrastrutture è stata garantita ed è proceduta con rapidità, onde evitare l’aggravarsi delle disuguaglianze tra alunni, già presenti ante pandemia:
Abbiamo dato 31 tablet ai ragazzi che ne erano sprovvisti. Qui l’utenza è classe media anche con stranieri ben integrati, non ci sono situazioni di disagio forte. Quindi i problemi erano più che altro di tipo tecnico. Il problema era più che legato al «non ho», al «siamo in 4» e dobbiamo fare i turni e siamo troppi. {p. 49}La concomitanza con fratelli e genitori avendo un solo PC (da intervista a DS IT).
Si nota subito, invece, quanto sia mancato l’aspetto dell’adattamento della tecnologia alle effettive esigenze degli studenti e alle effettive capacità degli insegnanti; la situazione che si è rapidamente definita richiedeva un cambio di paradigma nella didattica, nelle valutazioni, nel lavoro del team docente e nella relazione con gli alunni:
Il trasferimento semplice dalla presenza alla distanza non funzionava. Alcune discipline avevano già una pratica maggiore nella gestione di attività differenti e adatte alla distanza, e anche metodi di valutazione diversi. La DAD tende ad essere applicata dai docenti senza innovare troppo, adattando lo strumento digitale al proprio bagaglio professionale mentre dovrebbe essere il contrario (da intervista a DS liceo).
[…] il problema della pandemia ha determinato una svolta epocale, la potrei paragonare all’epopea napoleonica, ci siamo ritrovati in una modalità completamente avulsa dai nostri modelli e sistemi. Uno spiazzamento per tutti (da intervista a DS IT).
Possedere le risorse e gli strumenti non equivale a possedere la competenza specifica necessaria al loro utilizzo e nemmeno alla familiarità con un modello educativo che la distanza ha inevitabilmente stravolto. Su questo fronte, i dirigenti hanno osservato come l’impreparazione dei docenti e la loro avversione al cambiamento abbia impattato pesantemente sulla qualità della didattica e su aspetti organizzativi ad essa correlati, con una eterogeneità significativa tra scuole. Questo è un primo indizio, contenuto in tali narrazioni, per spiegare perché la disponibilità di risorse non abbia avuto lo stesso esito in tutti i contesti: là dove il fabbisogno di dotazioni era maggiore, le risorse hanno consentito solo in parte di colmare il divario digitale e di conseguenza alcuni studenti già fragili hanno visto peggiorare ulteriormente la propria condizione sia rispetto alle opportunità di apprendimento sia rispetto al mantenimento della relazione con insegnanti e gruppo classe. È chiaro, insomma, che anche {p. 50}nel caso delle dotazioni agli studenti a fare la differenza nell’uso delle tecnologie non è soltanto il possesso del dispositivo, ma la competenza nel suo utilizzo. Alunni di classe sociale svantaggiata, di origine straniera, con nuclei familiari fragili e con basso capitale culturale, anche se dotati delle apparecchiature necessarie, hanno incontrato enormi difficoltà nell’utilizzo degli strumenti. A questo si aggiunge poi spesso l’indisponibilità della connessione o l’appoggio alla connessione con lo smartphone. Il divario digitale è quindi un fattore ostativo (degli studenti e delle loro famiglie) di grande rilevanza alla piena partecipazione dei ragazzi alla didattica online.
Altro elemento di criticità che ha coinvolto i dirigenti è stato costituito dalla sfida degli apprendimenti. Si tratta di un argomento molto spinoso, aggravato dalla decisione ministeriale di procedere con la promozione di massa al termine dell’anno scolastico 2019-2020. Questo elemento, secondo i dirigenti intervistati, ha segnato una cesura nelle biografie scolastiche, perché ha eliminato, seppure per una ragione fondata, il valore della responsabilità e il merito individuale:
la disgrazia massima è stata la promozione obbligatoria. Gli alunni in difficoltà avrebbero dovuto essere fermati, gli altri si sono sentiti presi in giro perché avevano studiato anche tra mille difficoltà, ma allora che senso ha? (da intervista a DS IT).
I dirigenti sostengono che la decisione della promozione di massa ha frustrato coloro che avevano continuato il percorso scolastico con impegno, anche in condizioni di apprendimento più difficili e onerose; e d’altra parte ha ulteriormente lasciato indietro coloro che presentavano difficoltà non trascurabili per la prosecuzione nella classe successiva o per la prosecuzione all’interno della stessa filiera, quando invece sarebbero state necessarie azioni di riorientamento. Questo aspetto è risultato particolarmente evidente con gli studenti degli IT e IP, in misura minore con i licei. In questo caso un ruolo cruciale è stato svolto dalle famiglie: quelle maggiormente presenti e culturalmente {p. 51}attrezzate hanno potuto accompagnare i propri figli in un percorso didattico maggiormente individuale e coadiuvare i docenti; viceversa famiglie già assenti o deleganti alla scuola hanno ulteriormente accentuato le condizioni di criticità dei propri figli, anche sospendendo o allentando in modo significativo le regole della quotidianità:
L’eredità del lockdown è che si portano dietro dei deficit e si sta faticando per riallinearli e riportarli alla frequenza, ma anche alle regole che proprio non hanno e che le famiglie non danno. Perdendo la presenza si perdono le regole. E per alcuni ragazzi con problemi di comportamento le cose peggiorano ulteriormente (da intervista a DS IP).
Oltre all’effetto diretto, derivante dai livelli di competenza tecnologica di cui si è detto, il livello di capitale culturale delle famiglie ha naturalmente influito anche in modo indiretto, per esempio attraverso la mancanza di regole a casa, di una disciplina rigorosa centrata sull’assunzione delle proprie responsabilità di studente, indipendentemente dal controllo esercitato attraverso la routine scolastica. Ciò ha avuto come effetto un peggioramento significativo negli apprendimenti. Qui si conferma ciò che è stato ampiamente messo in luce nel dibattito pubblico, ossia che la pandemia ha ampliato le disuguaglianze e in parte vanificato le azioni messe in campo negli anni precedenti per ridurre le situazioni di svantaggio.
In questo processo, un posto centrale è occupato dai docenti. La transizione ha avuto un impatto significativo anche su di essi, sia individualmente sia come team all’interno di una stessa classe. I dirigenti sottolineano in modo concorde, indipendentemente dalla filiera, la compresenza di due macrocategorie di docenti: i motivati, resistenti alle situazioni difficili e spiazzanti, e gli inerziali che si ritraggono dalla sfida. Questa distinzione era del tutto prevedibile. Per tutti gli insegnanti il periodo del lockdown in particolare ha costituito un evento spiazzante che ha reso necessario, in modi diversi, rimodulare la didattica, mutare i metodi di valutazione, ridefinire i rapporti con gli studenti e con i {p. 52}colleghi. L’aspetto tecnico, per quanto più complesso per alcuni, è stato comunque il meno impattante; si è trattato di prendere confidenza con un metodo di lavoro diverso rispetto al passato. Ma l’aspetto realmente critico, che ha fatto la differenza sia per il team docente sia per gli apprendimenti degli studenti, è stato quello relativo alla più generale capacità di reazione e adattamento a un contesto nuovo. Dopo il primo momento di disorientamento, infatti, si sono immediatamente definiti i due gruppi:
Gli insegnanti si dividono in due categorie, quelli che sentono il bisogno di fare questo mestiere e acquisiscono le competenze, didattiche, tecniche e relazionali di loro iniziativa, in parte già le possiedono, le sviluppano, ci investono sopra; e quelli che si rifiutano perché il mestiere è uno tra tanti e si sentono al di sopra di ogni intervento o suggerimento; per entrambe la formazione non serve; per i primi è superflua, per i secondi è inutile perché tanto non ascolterebbero e non assimilerebbero nulla (da intervista a DS IT).
Ma che cosa fa sì che un docente sia un «buon docente» in una situazione di stress? Le parole dei dirigenti vanno concordemente in direzione delle competenze personali, di tipo extraprofessionale, con cui i singoli docenti sono equipaggiati:
alcuni docenti riescono a fare presa e ad avere una interazione positiva, fare leva sulla motivazione. C’è una parte dei docenti che già prima aveva problemi su questo punto, la gestione della classe è complicata e non tutti hanno questo bagaglio e hanno anche una personalità che non è una risorsa. Ci sono realtà in cui i docenti fanno molto meno di quello che si potrebbe fare. Devo dire che non siano né l’età né il genere né altro, dipende sempre e solo dalla persona (da intervista a DS di IP).
Questa criticità è motivo di grande preoccupazione tra i dirigenti: mentre rispetto alla formazione tecnica molto si può fare con tutti, perché si tratta di insegnare il «come», sugli aspetti caratteriali (le competenze socio-emozionali degli insegnanti) l’intervento è molto difficile, anzi per certi versi impossibile, in quanto richiederebbe un’azione sul «chi»,
{p. 53}ossia richiama l’attenzione sul chi è l’insegnante. Dunque, se una competenza tecnica o una procedura o una sequenza di azioni può essere agevolmente e rapidamente insegnata, non altrettanto si può dire degli aspetti caratteriali. Attraverso le narrazioni dei dirigenti si coglie una diffusione trasversale del problema: non è la filiera l’elemento determinante per stabilire le qualità del buon docente. Trasversalmente alle scuole incluse nella ricerca, i dirigenti hanno riferito di docenti problematici, non collaborativi, poco attivi sul fronte della rimodulazione della didattica, poco curiosi verso nuovi metodi e tecniche. La questione sembra tuttavia porsi in termini di particolare gravità all’interno degli istituti tecnici e professionali, in cui il ricorso alle tecnologie dovrebbe essere già parte integrante del modus operandi docente in condizioni ordinarie. E invece è proprio in queste filiere che si segnalano le situazioni di maggiore criticità. Un elemento che pare avere rilevanza è la fascia di età (più attivi e competenti i giovani; più resistenti i senior) e la condizione occupazionale (più attivi i precari e i docenti con incarico annuale rispetto a quelli a tempo indeterminato).