Andrea M. Maccarini (a cura di)
Character skills e didattica digitale
DOI: 10.1401/9788815374615/c5
Per quanto riguarda i riflessivi autonomi, questi si caratterizzano per un basso livello di cooperazione, il che è coerente con un profilo prevalentemente individualista: i soggetti autonomi – o almeno, questi autonomi – sono capaci di progettare scenari futuri per sé, dialogano e si confrontano con gli altri, ma non cercano per forza una relazione con altri, e ancor meno un’interazione di tipo
{p. 146}cooperativo. Presentano un’elevata resistenza alle situazioni difficili, sono capaci di attuare strategie di fronteggiamento di fronte a eventi stressanti; in conseguenza di queste caratteristiche sono anche fortemente motivati e determinati nel raggiungimento dei propri obiettivi, che sono peraltro chiari, lucidi e razionali, fortemente ancorati alla realtà. Anche le loro scelte lessicali, per esempio, privilegiano la prima persona singolare: gli autonomi vivono in un mondo fatto essenzialmente di «io» e «me».
Ho ricominciato a leggere seriamente, appassionandomi a nuovi autori e nuovi stili e iscrivendomi a dei gruppi di lettura. Ho divorato serie tv e film, che prima non guardavo quasi mai. Ho imparato a cucinare, anche se le mie creazioni non sempre sono del tutto commestibili. Ho iniziato ad informarmi di più su ciò che accadeva nel mondo esterno, che stava affrontando una crisi globale (scuola Blu, numero di registro 3, maschio).
I metariflessivi costituiscono, nel nostro caso, un tipo «intermedio»: non spiccano per capacità cooperative ma le possiedono e moderatamente le mettono in pratica; sanno gestire in modo equilibrato lo stress e le situazioni avverse; sono mediamente appassionati ai propri obiettivi. La loro cifra distintiva è l’equilibrio, il bilanciamento, tra dentro e fuori, tra razionalità ed emotività, tra realtà e fantasia, tra coinvolgimento e distacco riflessivo (e critico). I metariflessivi possiedono una visione ampia: spaziano tra il livello individuale e quello collettivo, tra dimensioni micro e macro, e innescano talora una narrazione in forma dialettica tra questi livelli.
E in questo scenario che aveva per protagonisti non solo i cittadini italiani, ma quelli di tutto il mondo, costretti ad affrontare, chi in prima persona e chi in terza, gli effetti devastanti di un nemico invisibile, silenzioso e subdolo, spiccavano gli anziani, che, ahimè, rappresentano una percentuale assai consistente della popolazione. Ricoveri di massa, terapia intensiva, e spesso nulla è stato sufficiente a salvare loro la vita, nonostante gli enormi sforzi dei medici, i veri protagonisti nonché eroi indiscussi di quella che oramai appariva come la trama di un romanzo tragico al pari de La peste di Albert Camus (scuola Blu, numero di registro 1, femmina).{p. 147}
È così assurdo per me pensare di vivere in un periodo storico che sarà ricordato per sempre, che verrà inserito nei libri di storia, che racconterò ai miei figli e nipoti un po’ come il nonno racconta la guerra. Insomma, sarò proprio io a raccontare di questa guerra, combattuta certamente non sul campo ma più interiormente, combattuta da ognuno di noi in modi diversi, insomma non una guerra come tutte le altre, che prevede sangue e scontri armati, ma più una lotta con noi stessi, una lotta fra stato e popolo, una lotta contro un male apparentemente invisibile che eppure colpisce duramente (scuola Blu, numero di registro 24, maschio).
Per noi tutti ha apportato un cambiamento radicale delle nostre abitudini, amicizie, stili di vita, e non solo, ha ridimensionato la nostra concezione dell’uomo che fino a poco prima avevamo, ci ha fatto sentire inferiori, deboli, sottomessi ad una minaccia invisibile che mieteva vittime come nelle più cruente guerre degli ultimi secoli. Inermi, abbiamo potuto osservare come questo «serpente» si sia annidato nelle nostre vite silenzioso e furtivo. Ricordo molto bene il venerdì mattina dove venne annunciato il ricovero del «Paziente Zero», rammento come la notizia venne assimilata ed elaborata da tutti «è un virus simile all’influenza stagionale; non bisogna preoccuparsi; passerà subito» dicevano (scuola Verde, numero di registro 22, femmina).
All’estremo opposto si collocano i riflessivi fratturati, caratterizzati da un basso livello di tutte e tre le competenze osservate: la condizione di frammentazione e tensione interiore determina una bassa propensione a entrare in relazione con gli altri. La capacità di fronteggiare le situazioni difficili in questi casi è molto limitata, proprio perché compromessa da una situazione di disorientamento interiore molto accentuato. Questi soggetti sono anche scarsamente motivati e determinati, presentando un orientamento al futuro debole e confuso, che rimane nebuloso e incerto, con una profonda difficoltà a fare programmi.
Ecco: nonostante io conoscessi il mondo esterno ne divenni impaurita e mi metteva in soggezione. Io non so cosa non fossi disposta a perdere, perché penso di aver perso molto senza ottenere nulla di buono in cambio. Questo ovviamente è successo anche per colpa mia perché mi sono lasciata sopraffare dagli {p. 148}eventi, subendo tutto in maniera passiva e tenendomi tutto dentro (scuola Rossa, numero registro 10, femmina).
Tab. 5.1. Modi della riflessività e competenze socio-emotive
Cooperazione
Resistenza
allo stress
Passione per gli obiettivi
Riflessivi comunicativi
Bassa
Media
Alta
Riflessivi autonomi
Bassa
Alta
Alta
Metariflessivi
Media
Media
Media
Riflessivi fratturati
Bassa
Bassa
Bassa
 
 
 
 
Questo nulla da fare a me personalmente faceva stare sveglia dalle nove di mattina alle tre della notte e dormire quelle sei ore scarse. Questo nulla da fare mi creò crisi di pianto alle cinque del mattino, ansia e a tratti completo distaccamento dalla realtà. Questo nulla da fare, sommato al non dormire almeno otto ore, mi fece diventare nervosa e sempre sulla difensiva, sempre pronta ad attaccare al minimo stimolo (scuola Rossa, numero registro 10, femmina).
La frattura interiore causa, insomma, un distanziamento dagli «altri» significativi e una sorta di scollamento dentro di sé, un constante senso di insicurezza, inquietudine e precarietà. Tutto questo si esprime attraverso una narrazione a sua volta incerta, discontinua, interrotta.
Possiamo ora sintetizzare l’argomento svolto proponendo una distribuzione come quella illustrata nella tabella 5.1. La corrispondenza che emerge tra SES e modi della riflessività non si configura nel nostro studio come un nesso causale, e certo non in una direzione precisa. La nostra analisi non identifica un meccanismo sociale, ma una correlazione. Tuttavia – oltre a costituire un’indiretta conferma della solidità e della fecondità interpretativa di entrambi i concetti – quest’ultima mette in luce il legame che esiste tra le due entità ed è utile a generare ipotesi ulteriori. Le due dimensioni dello sviluppo psico-sociale si sostengono forse a vicenda. I processi educativi volti a facilitare l’emergere di entrambe sono probabilmente connessi nei loro effetti. È possibile che entrambe emergano da un qualche fattore {p. 149}latente, come per esempio un certo tipo di esperienza educativa-socializzativa. In ogni caso, è importante capire che un certo modo di stare nel mondo, di tracciare in esso il proprio percorso, implica anche determinate proprietà quali le SES che stiamo studiando.

3. Narrazioni riflessive: nel tempo, nelle scuole e per genere

Vediamo ora come le forme della riflessività si esprimono e si distribuiscono in base a vari fattori connessi. Un punto di partenza possibile è la distribuzione dei modi della riflessività attraverso le tre tracce narrative – orientate rispettivamente al passato, al presente e al futuro (tab. 5.2).
Una prima e assai significativa osservazione dice che in tutte e tre le narrazioni emerge una prevalenza dei riflessivi fratturati: come abbiamo visto, si tratta di coloro che sono spiazzati di fronte alle sfide del mondo, con basse capacità di empowerment, basso senso di autoefficacia ed elevati livelli di ansia, il che si articola attraverso una conversazione interiore inconcludente e frammentata, sia sotto l’aspetto lessicale e logico, sia quanto all’efficacia nel perseguire obiettivi. L’andamento dei tre componimenti evidenzia il picco massimo nel primo storytelling, quello riferito al periodo del lockdown, e nell’anno scolastico successivo, caratterizzato da un andamento a singhiozzo della scuola; un timido segnale di ridimensionamento si osserva con il terzo storytelling, forse a indicare (questa almeno è la nostra ipotesi) la presenza della speranza per il futuro, il mantenimento di una qualche progettualità sia di breve sia di lungo termine, nonostante la persistenza di una situazione percepita come avversa e fortemente limitante.
Al secondo posto si collocano i metariflessivi, ossia coloro che prediligono una narrazione che include un orizzonte più vasto del Sé, ispirata alla continua riflessione critica sui contesti, sulle circostanze, sugli eventi e le loro intersezioni. Questo gruppo cala drasticamente nel terzo storytelling, maggiormente focalizzato sulla dimensione individuale (chi sarò, dove sarò, che cosa farò ecc.). I metariflessivi sono {p. 150}anche coloro che collocano sé stessi in un orizzonte sociale e simbolico più ampio, conferendo senso alla dimensione micro attraverso l’intersezione con il meso e il macro. Per questa ragione, la loro scarsa presenza nel momento di orientamento al futuro appare rilevante.
Tab. 5.2. Modi della riflessività nei tre «storytelling»
1o storytelling
2o storytelling
3o storytelling
N
%
N
%
N
%
Fratturati
34
24,3
37
26,4
32
22,9
Comunicativi
24
17,1
20
14,3
5
3,6
Metariflessivi
24
17,1
26
18,6
13
9,3
Autonomi
15
10,7
7
5,0
25
17,9
Non classificabili
21
15,0
23
16,4
30
21,4
Dato mancante
22
15,7
27
19,3
35
25,0
 
 
 
 
 
 
 
Vi sono poi i comunicativi, che manifestano un andamento simile ai precedenti e per i quali si osserva dunque una drastica riduzione con l’ultimo storytelling: potremmo tentare di spiegare questo elemento facendo riferimento a una diffusa crescita dell’individualismo e alla progressiva perdita della dimensione collettiva, di gruppo. Nell’arco di un anno e mezzo sono venute meno per gli adolescenti le forme comuni dell’interazione quotidiana; sono parimenti venuti meno anche i luoghi dell’interazione, con i loro significati materiali e simbolici. Ne è scaturito un ripiegamento su sé stessi, un isolamento progressivo che ha portato a mettere al centro sempre e soltanto l’individuo. Spesso si è trattato di una tendenza enfatizzata, spesso inconsapevolmente, anche dalla scuola, ultimo baluardo a difesa dell’essere adolescenti, ultimo scampolo di normalità. E di fronte allo spiazzamento diffuso per ciò che il mondo non poteva più offrire, ecco che la scuola diviene il rifugio: è la logica di coloro che decidono di investire su sé stessi al massimo, per non perdere tempo e per contrastare la rappresentazione sociale diffusa della generazione perduta che pagherà suo malgrado lo scotto della DAD e delle scuole chiuse; ma anche di coloro che pensano che alla fine la scuola non
{p. 151}sia poi così male, o almeno serva a riempire un tempo che diversamente sarebbe tutto ugualmente vuoto; e infine è anche la strategia di coloro che colgono l’opportunità per un riscatto, trovando nella scuola un’occasione di rivincita, proprio loro che fino all’ultimo giorno passato in classe pensavano che la scuola servisse a poco o niente.
Note