Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c10
Sul piano discorsivo, in questo processo giocò un ruolo centrale un altro concetto di Europa: quello di «Reich», che divenne un concetto guida politico sia nella sua variante nazionale che in quella sovranazionale. Il «Reich», infatti, era qualcosa di diverso e di più rispetto allo Stato nazionale: era un concetto in sé universale. Sicché anche i sostenitori dell’idea di «Abendland» potevano riconoscersi in esso come fondamento dell’ordinamento europeo richiamandosi al primo Reich, quello medievale. Per altri il concetto era importante nella misura in cui consentiva di richiamarsi invece al secondo Reich – quello guglielmino – come struttura di potere in grado di assicurare l’ordine europeo; per altri, infine, il concetto di «Reich» non poteva che rinviare all’ordine mitteleuropeo nel segno della ormai decaduta monarchia asburgica. Sta di fatto che il «Reich» offrì proprio ai gruppi conservatori presenti all’interno della società tedesca un topos che, oltre a colmare la distanza tra nazione ed Europa, suggeriva anche la via da intraprendere in vista di una possibile rinascita della Germania. A prescindere dal grado di egemonia tedesca che i sostenitori dell’idea del «Reich» e della «Mitteleuropa» auspicavano con riguardo al contesto mitteleuropeo, ciò che comunque in quegli anni assunse un rilievo centrale fu la crescente tendenza ad accantonare l’idea di una intesa con l’Occidente e la Francia in particolare. Se verso la metà degli anni Venti sembrava che la rinascita tedesca potesse essere assicurata solo grazie ad una politica di intese che guardava a Ovest, dopo il 1930
{p. 231}vasti strati dell’opinione pubblica cambiarono posizione. Chi «dirige il suo sguardo a Ovest piuttosto che a Est, ebbene costui non vede la strada che conduce al futuro», scrisse non a caso già nel 1929 Wilhelm Gürge, un sostenitore della visione mitteleuropea propugnata da Friedrich Naumann [3]
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III.

Qui tratteggiato per sommi capi, il quadro delle idee sull’Europa e dei gruppi che se ne fecero promotori appare quanto mai variegato, tanto che già nella lingua tedesca se ne aveva una chiara eco: dall’uso di termini quali «Abendland», «Reich», «Paneuropa», «Mitteleuropa» o della stessa parola «Europa» si poteva infatti già cogliere la differenza esistente tra le varie posizioni. Ogni idea di Europa corrente negli anni di Weimar si fondava su una diversa visione del mondo e su differenti concezioni in tema di ordinamento, e aspirava a modellare il continente europeo e le sue società secondo criteri che erano di volta in volta corporativi, confessionali, economici, elitari, razziali, imperiali o anche egemonici. Una pluralità di idee e di modelli che in ultima analisi rifletteva, ciò che non deve sorprendere più di tanto, lo spettro politico della Repubblica di Weimar – con l’unica eccezione rappresentata dalle teorie sovranazionali socialiste, che in questa sede non vengono prese in considerazione.
Ma nonostante un quadro così variegato, queste idee avevano comunque qualcosa in comune: da un lato il fatto che se ne discuteva in un milieu intellettuale-elitario e quindi in un contesto ben definito sotto il profilo sociale e strutturale – nonostante i tentativi proprio del conte Kalergi di dare vita ad una organizzazione di massa, durante la Repubblica di Weimar le riflessioni sull’Europa rimasero un fenomeno sostanzialmente elitario; dall’altro, i modelli sostenuti da questi gruppi di propugnatori (forse con l’eccezione dei tentativi di intesa a livello economico) non erano, per quanto grandi fossero {p. 232}anche le differenze tra loro esistenti, «piani di integrazione europea» veramente politici e, per così dire, spendibili nell’attività quotidiana. Nondimeno, erano almeno in parte complessi «ordinamenti immaginati», il cui scopo era la riorganizzazione della politica, dell’economia e della società europee sulla base di determinati criteri ideologici: erano, in altre parole, progetti utopici per il futuro a fronte di un presente vissuto come estremamente incerto e mutevole. Come «luogo del desiderio» l’Europa e le idee sul suo futuro ordinamento potevano servire per concepire un mondo che dopo la Prima guerra mondiale si sarebbe voluto completamente diverso.
Così, durante la Repubblica di Weimar le idee sull’Europa rimasero sempre inestricabilmente collegate a quelle sul futuro della Germania. Anche se erano centrate su temi quali un possibile ordinamento europeo-sovranazionale e il modo migliore per interagire con i vicini europei, le idee correnti sull’Europa rimanevano sostanzialmente ancorate alla dimensione nazio-nale. Ciò che appare chiaro soprattutto se si prendono in considerazione le vicende del Verband für Europäische Verständigung. Con la sua visione di fondo basata sul Reich tedesco e la sua rinascita, l’Unione ottenne in Germania un buon successo sia a livello politico che di opinione pubblica. Non così all’estero, e soprattutto in Francia, dove le sue idee vennero accolte con notevole scetticismo. Il che ci consente di concentrare l’attenzione su una delle principali difficoltà con cui dovettero fare i conti tutti quelli che a vario titolo si impegnarono su problematiche riguardanti l’Europa nel corso della Repubblica di Weimar. Chi trascurava la dimensione nazionale – e fu questo il caso, ad esempio, del conte Kalergi – aveva fin dall’inizio meno possibilità di affermazione. Chi invece nelle sue argomentazioni privilegiava l’approccio nazionale otteneva, certo, più ascolto in patria ma all’estero non aveva alcuna chance. Di fronte a questo profondo radicamento «nazionale» delle idee sull’Europa negli anni successivi alla Prima guerra mondiale, spicca comunque il fatto che nessuno degli approcci fin qui descritti – rappresentativi delle idee sull’Europa nella Repubblica di Weimar – poneva effettivamente un ordinamento statale e sociale democratico-{p. 233}pluralistico a fondamento di una Europa comune o prendeva posizione in merito all’ordinamento interno delle singole nazioni europee. Mentre dopo la Seconda guerra mondiale già nel corso degli anni Cinquanta si impose la convinzione che una struttura costituzionale democratico-liberale della società fosse il prerequisito richiesto per la partecipazione al progetto europeo, nel caso della Repubblica di Weimar non si può parlare di un simile radicamento in ordinamenti democratici delle idee sull’Europa. Il che, d’altro canto, non poteva non ripercuotersi sull’atteggiamento che i loro sostenitori tenevano nei confronti del sistema politico allora vigente.
Un aspetto, questo, che appare assolutamente chiaro nel caso dei propugnatori dell’idea di «Abendland», vale a dire di un’idea di Europa che era esplicitamente illiberale. Il gruppo raccolto intorno all’omonima rivista era apertamente schierato contro le conquiste della modernità e sosteneva l’idea di un ordine sociale organizzato in modo gerarchico-corporativo, guidato da una elite e soprattutto ricristianizzato. Agli occhi dei suoi membri e simpatizzanti il sistema della Repubblica di Weimar era solo un modello transitorio. Lo stesso si può dire per il concetto di «Reich», che soprattutto nel milieu cattolico-conservatore presentava molti punti di contatto con quello di «Abendland». Anche i sostenitori prussiano-protestanti del concetto di «Reich», d’altro canto, erano in buona parte profondamente conservatori, e anche tra di loro prevalevano gli elementi chiaramente illiberali e quindi radicalmente ostili al sistema politico weimariano.
Altri approcci, tra cui le iniziative miranti a favorire un’intesa a livello economico, si caratterizzavano per la loro sostanziale indifferenza, nel migliore dei casi, nei confronti del sistema politico di Weimar. I membri del Comitato Mayrisch, ad esempio, anteponevano consapevolmente gli interessi economici e i contatti personali alle questioni di principio di natura politica. In ogni caso, una prova ulteriore del profondo scetticismo che negli anni Venti circondava la politica. Non molto diverse da quelle espresse dal Comitato Mayrisch erano le idee nazional-liberali propugnate da Wilhelm Heile e dalla sua associazione in merito alla possibilità di un’intesa su scala europea. Certo, {p. 234}erano idee che non prendevano direttamente di mira la democrazia, e lo stesso Heile era democratico senza riserve, ma quel che colpisce anche nella sua concezione di fondo è la mancata inclusione del sistema democratico nei suoi modelli europeistici. Il desiderio di non compromettere i rapporti con la politica ufficiale, non da ultimo anche per ottenere i finanziamenti del Ministero degli Esteri, giocava certo un ruolo importante, ma resta il fatto che nei più diffusi modelli riguardanti l’Europa l’ordinamento politico interno delle nazioni interessate non assumeva alcun rilievo. Si preferiva mantenere le distanze, certo anche per non intimorire i nemici della repubblica. Considerate le lacerazioni non solo della società tedesca negli anni immediatamente successivi alla fine della Prima guerra mondiale, un tale modus operandi non deve sorprendere più di tanto: chi avesse posto a fondamento della sua idea di Europa un ordinamento improntato ai principi democratici si sarebbe fin dall’inizio alienato le simpatie di una gran parte di possibili sostenitori.
Paradigmatiche, a questo proposito, possono essere considerate le parole del conte Kalergi, il quale non aveva dubbi sul fatto che la sua «Paneuropa» dovesse essere e rimanere politicamente neutrale:
«Non possiamo attenderci la realizzazione della Paneuropa fino a quando tutta l’Europa sarà o fascista o democratica … Paneuropa, quindi, deve organizzarsi in modo tale da tollerare la contemporanea presenza di diversi ordinamenti costituzionali nel quadro della sua unione di Stati» [4]
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Dunque non bisognava avanzare richieste in merito all’ordinamento interno dei singoli Stati membri di una Europa unita. Spesso e volentieri dissimulata sotto la maschera della «apoliticità», questa «neutralità» nei confronti della democrazia differenzia notevolmente le idee sull’Europa prevalenti negli anni della Repubblica di Weimar da quelle che si sono affermate dopo la Seconda guerra mondiale. Certo, anche dopo il {p. 235}1945 le idee sull’Europa di matrice antiliberale e illiberale non sono venute del tutto meno – così è stato ad esempio per il concetto di «Abendland», tornato d’attualità nel corso degli anni Cinquanta – ma ormai siffatte posizioni erano destinate ad avere vita breve. Ora, infatti, l’idea di «Europa» veniva sempre più associata ai valori di una società liberale, democratica e pluralistica, sia sul piano nazionale che su quello continentale. A partire dalla metà degli anni Cinquanta l’Europa non era più pensabile se non sotto la forma, sopra già descritta e chiaramente connotata dal punto di vista normativo, di un sistema liberale, democratico e pluralista. Il processo grazie al quale si è pervenuti al predominio pressoché assoluto di questa idea di Europa ha avuto uno svolgimento complesso e può essere spiegato solo alla luce degli eventi successivi alla fine della Repubblica di Weimar: presa del potere da parte dei nazisti, Seconda guerra mondiale, disfatta totale e Olocausto.
Nella Repubblica di Weimar, invece, ancora non c’era un nesso interno tra sistema democratico e progetto europeo, e a lungo andare questo mancato legame finì per destabilizzare anche il sistema politico weimariano. La mancanza di una stretta relazione con la democrazia allontanò le idee sull’Europa del campo borghese-conservatore dal sistema politico vigente. Senza peraltro dimenticare che vi contribuì anche il fatto che dopo il 1919 le varie ipotesi sull’Europa e sul suo ordinamento poggiavano sul presupposto che si dovesse prima di tutto superare il sistema di «Versailles». Ma per il campo borghese-conservatore la revisione del Trattato di Versailles implicava anche la revisione dell’ordinamento statale weimariano, che esso considerava parte del «sistema di Versailles». Quindi il fatto che i propugnatori di questa o quella idea di Europa non volessero essere troppo strettamente associati alla Repubblica di Weimar non deve sorprendere, e spiega altresì il fallimento della politica di conciliazione sul piano della storia delle idee: molti di loro, il conte Kalergi come Wilhelm Heile, cercarono, è vero, di accreditarsi come precursori di iniziative sul terreno della politica estera come il piano «Briand». Ma nelle loro riflessioni in merito al futuro ordinamento europeo quasi non si trova traccia della Repubblica di Weimar, di cui
{p. 236}peraltro non disdegnavano, anzi, i finanziamenti. Certo, da un lato questo rifletteva solo le lacerazioni interne della società tedesca negli anni della Repubblica di Weimar, ma dall’altro il mancato legame con la democrazia avrebbe contribuito in modo decisivo a «traghettare» alcuni esponenti delle elite conservatrici verso l’ideologia sovranazionale del nazionalsocialismo. Dopo la «presa del potere», infatti, i nazisti seppero sfruttare nel migliore dei modi l’affinità ideale di concetti come «Abendland», «Reich» e «Mitteleuropa». In tal modo il regime riuscì a fornire alle elite conservatrici punti di connessione a livello discorsivo in relazione a concetti sovranazionali come «grande spazio», «Reich grande-tedesco» o «nuova Europa».
Note
[3] W. Gürge, Paneuropa oder Mitteleuropa, Berlin, Staar, 1929, p. 71.
[4] La citazione risale al 1933, ma riflette quelle che erano le posizioni del conte Kalergi già negli anni Venti. Cfr. R. Coudenhove-Kalergi, Paneuropa und Faszismus, in «Paneuropa», 9, 1933, p. 131.