Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c9
Nel corso degli anni Venti, in effetti, molti funzionari coloniali, agricoltori, manager e missionari tedeschi fecero ritorno nelle località in cui avevano esercitato la loro attività e lo fecero per motivi politici ma anche per ragioni economiche e culturali. Durante la Repubblica di Weimar associazioni come la Deutsche Kolonialgesellschaft si adoperarono, tramite mostre e un largo impiego di mezzi di comunicazione di varia natura (pamphlet, romanzi, film, fumetti e libri per ragazzi) per tenere viva l’idea stessa di una «missione coloniale» tedesca. Con il risultato che immagini stereotipate dell’Africa e dei suoi abitanti continuarono a circolare anche in quegli anni.
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Contemporanei come il presidente della banca del Reich Hjalmar Schacht, d’altro canto, consideravano vantaggioso il fatto che i tedeschi per così dire «decolonizzati» potessero ora operare sui mercati mondiali senza essere «gravati da vincoli di tipo coloniale» e potessero in tal modo intrattenere e intensificare i rapporti commerciali con i Paesi che si stavano lentamente liberando dal giogo coloniale [4]
. Simili posizioni contribuirono non poco a relegare il periodo coloniale nella «periferia» della storia tedesca. Già nel 1932 l’economista Moritz Julius Bonn parlò di una «controcolonizzazione» che si stava diffondendo su scala mondiale [5]
. Una posizione che si tradusse perfino nell’idea secondo cui, nell’ormai imminente processo di decolonizzazione, la Germania avrebbe potuto svolgere un ruolo da battistrada.
Dopotutto la ricerca ha sempre messo in evidenza che le nuove forme di organizzazione del lavoro e la produzione industriale di massa, in particolare il taylorismo e il fordismo, avevano un carattere transnazionale. Ogni Paese con ambizioni nel campo della scienza, dell’industria e della tecnologia doveva partecipare alla circolazione globale delle competenze scientifiche. Come già prima del 1914, anche in questo periodo continuò in tutti i settori e senza interruzione il processo di infrastrutturazione internazionale (trasporti, comunicazioni, reti telegrafiche, telefoniche e ferroviarie, traffico aereo tra i vari Paesi). Tutti questi fattori contribuirono notevolmente ad abbassare i costi delle transazioni delle imprese che operavano su scala internazionale.
Nel frattempo, è stato anche analizzato piuttosto bene come non solo la Società delle nazioni o la Organizzazione inter{p. 215}nazionale del lavoro (OIL) ma anche numerosi altri organismi dell’«internazionalismo tecnocratico» abbiano favorito l’integrazione della Germania a livello europeo nella rete di interconnessioni materiali, ideali e processuali. Al riguardo, si devono inoltre ricordare anche le iniziative tedesche in merito all’implementazione del diritto internazionale, iniziative che portano i nomi di giuristi come Hans Wehberg, Walther Schücking e Ludwig Quidde. Anche se alla fine prevalsero istanze revisionistiche, la Società delle nazioni, il consolidamento sul piano istituzionale del diritto internazionale e la politica dei mandati segnalavano comunque una inedita qualità della politica internazionale [6]
.
Queste iniziative prefiguravano la futura integrazione politica dell’Europa occidentale e orientale almeno quanto i tentativi di intesa franco-tedeschi, che nel periodo tra le due guerre non andarono oltre uno stadio iniziale, o le utopie nel segno del paneuropeismo. A volte presero strade singolari, come quando si giunse ad abbozzare il progetto di un grande spazio «paneuropeo» o «euroafricano» che bisognava realizzare come un obiettivo comune.
Diversi sono gli elementi distintivi di una dimensione globale della Repubblica di Weimar. Ne vogliamo sottolineare almeno tre: in primo luogo la struttura intrinsecamente antagonistica di molte proiezioni ideali dell’ordine mondiale. Lo spazio globale appariva a molti autori una superficie bidimensionale sulla quale agivano diverse collettività impegnate le une contro le altre in una perenne battaglia per l’esistenza. Nel suggestivo linguaggio di questi trattati o carte geografiche si parlava molto di ener{p. 216}gie politiche e di linee o campi di forza. Con il risultato che i «tedeschi di confine» e «quelli che si trovavano al di fuori dei confini nazionali» venivano identificati come «portatori di cultura» (Kulturträger), e quindi in grado, si presumeva, di esercitare un’influenza «civilizzatrice» su altri popoli. Anche se con diverse accentuazioni e/o formulazioni, nel corso degli anni Venti simili «concetti territoriali» trovarono ampio spazio in diverse discipline.
Secondo: la rete di relazioni di Weimar su scala mondiale condusse ad un rafforzamento delle correnti nazionaliste come pure ad una intensificazione dei tentativi volti ad ottenere il superamento dell’ordine internazionale disegnato dal Trattato di Versailles. In questo senso, tra l’altro, l’«entusiasmo per i turchi» o l’attrazione per l’Oriente si spiegano anche con il fatto che l’ex alleato fungeva per così dire da test per la possibilità di una effettiva e radicale revisione del nuovo ordine mondiale voluto dalle potenze occidentali. A questo riguardo piccoli ma molto influenti gruppi di pressione, come ad esempio il Bund der Asienkämpfer, svolsero un ruolo importante, tanto più che potevano contare sulle simpatie e l’appoggio di migliaia di «tedeschi all’estero», dove diffondevano un irredentismo di orientamento völkisch. Per la loro attività propagandistica questi gruppi cominciarono a servirsi anche di programmi radiofonici per l’estero e di altri canali di comunicazione; e questo mentre a livello nazionale gli spazi della comunicazione erano in buona parte preclusi, ad esempio, anche alle organizzazioni femminili e pacifiste che intendevano portare avanti l’idea di una collaborazione internazionale.
Terzo: le forme di conoscenza del mondo trovarono nelle diverse espressioni estetico-artistiche della scena culturale weimariana proiezioni alternative. In particolare il cinema di quegli anni si rivelò uno spazio per un possibile nuovo inizio non soltanto politico ma anche culturale dopo il crollo del Reich guglielmino. Negli anni di Weimar il crescente desiderio di viaggiare trovò spesso appagamento grazie a scrittori poliglotti. Autori cosmopoliti come Arnold Höllriegel o Richard Katz si confrontarono con un mondo segnato dal colonialismo con accenti assolutamente autocritici, oltre che con curiosità {p. 217}e fiducia nella possibile coesistenza di molti e diversi modi di vivere. Come dimostra, infine, anche l’«influenza spagnola» che colpì la giovane repubblica, la Germania era anch’essa da tempo irreversibilmente inserita in un mondo globale, con tutte le possibilità e tutti i rischi che derivavano dal crescente intreccio dei traffici mondiali, del commercio delle materie prime, della gestione sanitaria o dell’umanitarismo.

3. I ruggenti anni Venti

Da quando, verso la metà degli anni Ottanta, lo storico tedesco Detlev J. Peukert ha suggerito di focalizzare nuovamente e a fondo l’attenzione sugli anni di Weimar come «anni di crisi della modernità classica», sono usciti, al riguardo, solo pochi studi di ampio respiro [7]
. Nei Paesi anglosassoni, al contrario, la Weimar Germany continua ad essere un tema di grande fascino: l’arte, la cultura e la scienza dell’epoca hanno occupato e ancora occupano un posto di primo piano, hanno creato uno stile e continuano a godere di una «fama mondiale» – basti qui ricordare la celebre e molto discussa Bauhaus. Nello stesso tempo, d’altro canto, riemerge di continuo la tragedia della improvvisa interruzione di tutti questi fermenti dopo il 1933 dal momento che gli esponenti di spicco della modernità weimariana erano stati costretti all’esilio o condannati alla morte. Altri si adattarono al nuovo clima politico, come ad esempio l’etnologo Leo Frobenius, che in seguito avrebbe goduto di grande notorietà soprattutto in Africa, o lo scrittore di viaggi Colin Ross [8]
.
Ma gli anni di Weimar furono anche caratterizzati dalla comparsa di nuovi mezzi di comunicazione o dalla rapida diffusione {p. 218}di altri già esistenti come la radio o la stampa popolare. Anche grazie al fotogiornalismo professionale i giornali a larga diffusione incoraggiarono la massa dei loro lettori (giovani e meno giovani) ad «appropriarsi» del mondo. Quanto a popolarità, i reportage letterari toccarono livelli mai raggiunti in precedenza, e non a caso fenomeni come l’«americanizzazione» o la «bolscevizzazione» della Germania erano già negli anni Venti argomenti di grande attualità.
Soprattutto al cinema il «tedesco medio» poteva farsi un’idea di cosa fosse, e di come fosse «il mondo», anche se spesso ne ricavava un’impressione distorta. La diffusione di diverse forme di cultura popolare rese possibile l’affermazione di molte tendenze transnazionali anche tra le masse. Naturalmente, le immagini dei «dorati anni Venti» non possono non evocare Berlino, la cosmopolita «metropoli del divertimento» con i suoi teatri, i suoi parchi di divertimento e le sue sale da concerto e da ballo. In luoghi come la Haus Vaterland, con i suoi «tipici» ristoranti di diversi Paesi, ci si poteva fare, seppure da un punto di vista solo commerciale, un’idea di globalità e atteggiarsi così a «cosmopoliti» – anche se erano rappresentazioni stereotipate che non mettevano in discussione le differenze culturali e i rapporti di potere esistenti.
Quando Theodor Adorno si espresse in termini molto critici in merito alla scena musicale degli anni Venti perché recava in sé «fenomeni di regressione, neutralizzazione e ‘pace sul sagrato’», questo giudizio valeva in ogni caso per la musica seria, che neanche lontanamente si poteva pensare di ricollegare alla «universalità» dei capolavori classici e romantici del XIX secolo. Ma in realtà proprio nel settore dell’intrattenimento la vita musicale della Repubblica di Weimar divenne più internazionale, contaminata e diversificata di quella che aveva caratterizzato il periodo prebellico.
L’arte popolare rispecchiava anche nuove esperienze in fatto di velocità e spazio. Innovazioni tecniche come i dirigibili e gli aerei scatenarono la fantasia delle masse anche se queste erano ancora ben lontane dal poterne beneficiare. Quando tra il 1927 e il 1929 perfino Clärenore Stinnes, la giovane figlia
{p. 219}di un industriale, fece il giro del mondo in automobile, la sua «avventura» suscitò in molti il desiderio di seguirne l’esempio. Con il risultato, tra l’altro, che nel periodo tra le due guerre la febbre per il viaggio aumentò anche se molte famiglie non erano ancora economicamente in grado di visitare altri Paesi. Ma questo non impediva, anzi, di varcare i confini con la fantasia. Idee di una nuova spartizione del mondo si richiamarono ora alla «terza dimensione» e si tradussero in «fantasie di razzi» e perfino in viaggi immaginari sulla luna.
Note
[4] H. Schacht, Neue Kolonialpolitik. Vortrag, gehalten in der Abteilung Berlin-Charlottenburg der Deutschen Kolonial-Gesellschaft am 24. März 1926, Berlin, Reichsbank, 1926, p. 5.
[5] A proposito di Bonn nel 1932, si veda W. Reinhard, Geschichte der europäischen Expansion, III: Die Alte Welt seit 1818, Stuttgart, Kohlhammer, 1988, p. 187. Cfr., sul punto, K. Manjapra, Age of Entanglement: German and Indian Intellectuals across Empire, Cambridge MA - London, Harvard University Press, 2014; J. Dinkel, Die Bewegung Bündnisfreier Staaten. Genese, Organisation und Politik (1927-1992), Berlin, De Gruyter, 2015.
[6] J. Schot - V. Lagendijk, Technocratic Internationalism in the Interwar Years: Building Europe on Motorways and Electricity Networks, in «Journal of Modern European History», 6, 2008, 2, pp. 196-216; cfr. anche i sei volumi della collana «Making Europe», curati da J. Schot e P. Scranton (Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2013-2019), in cui il periodo tra le due guerre emerge come una fase cardine quanto mai importante delle relazioni europee ed internazionali. Sull’OIL (ILO) si veda D. Maul, The International Labour Organization. 100 Years of Global Social Policy, Berlin, De Gruyter, 2019. Sul diritto internazionale si veda ora anche M.M. Payk, Frieden durch Recht? Der Aufstieg des modernen Völkerrechts und der Friedensschluss nach dem Ersten Weltkrieg, Berlin, De Gruyter, 2018.
[7] U. Büttner, Weimar. Die überforderte Republik, 1918-1933. Leistung und Versagen in Staat, Gesellschaft, Wirtschaft und Kultur, Stuttgart, Klett Cotta, 2008; A. Wirsching, Die Weimarer Republik, München, Oldenbourg, 20082; E. Kolb - D. Schumann, Die Weimarer Republik, München, Oldenbourg, 20138.
[8] J.A. Williams, Weimar Culture Revisited, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2011; S. Becker, Experiment Weimar. Eine Kulturgeschichte Deutschlands 1918-1933, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 2018; U. Greenberg, The Weimar Century. German Émigrés and the Ideological Foundations of the Cold War, Princeton NJ, Princeton University Press, 2014.