Giorgio Chiosso, Anna Maria Poggi, Giorgio Vittadini (a cura di)
Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c2
3) le modalità di apprendimento potenzialmente efficaci – il «processo». I diversi sistemi scolastici comportano
{p. 58}anche diverse forme d’interazione sensata, socialmente e moralmente accettabile per docenti e alunni.
Questa specificazione culturale si proietta su ciascuna delle competenze in questione, risultando in profili di carattere sottilmente o marcatamente differenti. Essa, inoltre, ha necessariamente un impatto a diversi livelli: sull’effettivo contenuto dei programmi di SEL rivolti a studenti di diverse culture o sull’insegnamento implicito che si svolga con questa intenzionalità, ma anche sul contesto familiare e comunitario e sulle culture professionali coinvolte nei processi educativi. Sotto questo profilo, non è facile selezionare un criterio interpretativo unico, coerente e sistematico.
Alcuni esempi possono servire come spunti di riflessione. Viene in conto, in primo luogo, la distinzione individualismo/collettivismo. Non è certo il caso di ripercorrerne il profilo e la storia; basti qui osservare che essa colora evidentemente di sé ogni virtù e competenza. Un esempio è il decision making: gli individui possono essere più o meno legati alle lealtà di gruppo, possono tendere a coinvolgere altri nelle loro decisioni a diversi livelli e prendere con maggiore o minore difficoltà decisioni contrarie agli interessi del gruppo o di alcuni suoi membri [29]
. Un esempio correlato riguarda la gestione della propria assertività. In questo caso, l’individualista tenderà a comportamenti di tipo (auto)promozionale, cioè a mettere in luce sé stesso e le proprie qualità, mentre in culture più collettiviste il focus è preventivo, cioè la rinuncia a un’eccessiva esposizione individuale, che comporterebbe il rischio di essere socialmente sanzionata. Altri aspetti delle regole d’interazione riguardano il rispetto e le relative {p. 59}formalità, la capacità di assumere la prospettiva altrui e la gestione dell’espressione delle proprie opinioni in contesti culturalmente plurali.
Un approccio culturalmente sensibile alle SES comporta assumere consapevolmente queste dimensioni, esplicitando le proprie opzioni e individuandole in base a determinate priorità culturali e identitarie. Per la maggior parte dei programmi SEL, e ancor più per l’insegnamento implicito di competenze caratteriali, questo lavoro rimane in gran parte da compiere. È proprio questa carenza che dà adito a critiche come quella di Hoffman [30]
, secondo cui il SEL sarebbe una sorta di continuazione dell’individualismo occidentale moderno con altri mezzi.
Da queste considerazioni occorre trarre le conseguenze, laddove si pensi a modelli d’intervento o a un qualche livello di generalizzazione e standardizzazione degli stessi. Le ricerche su questo tema spesso ragionano a partire dalla nozione di «adattamento» [31]
. Questo comprende spesso l’entrare in relazione con vari stakeholder, ad esempio famiglie e comunità, e attraverso queste relazioni modificare i programmi d’insegnamento. Secondo le rassegne empiriche, il lavoro culturale più profondo, che consiste nel sintonizzare e coordinare metafore, concetti e finalità stesse del SEL con le identità culturali coinvolte, è invece meno frequente. Ma è su queste dimensioni, tutte insieme, e sulla capacità di {p. 60}cercare l’universalità attraverso le particolarità, che si giocherà la caratura educativa degli interventi e dei programmi.

4. Le «character skills» nel processo di socializzazione

Il nostro filo argomentativo ha identificato il contesto e le sfide societarie che generano e implicano lo sviluppo delle SES, come bisogno educativo profondo. La formula riassuntiva è che i processi educativi devono fronteggiare una situazione di eccesso, di iper-complessità relazionale e d’incoerenza normativa. Abbiamo, inoltre, evidenziato la dimensione culturale latente di questo discorso educativo. È emersa anche la complementarità delle prospettive di SES e «carattere», poiché il focus sull’alunno «tutto intero» tiene insieme scopo e prestazione, senso ed efficacia esecutiva.
Le dimensioni problematiche sono molteplici. Ad esempio, come si può identificare ciò che ha valore duraturo e assumere impegni a lungo termine, in una società focalizzata sul breve periodo? Come si possono sostenere lealtà e impegni reciproci entro organizzazioni che vanno disgregandosi e riaggregandosi continuamente? In questo scenario l’educazione deve creare interesse intrinseco per l’apprendimento ed elaborarne il nesso con la vita e le sue opportunità. Queste sfide, dunque, chiamano in causa un complesso nodo di capacità cognitive, affettive, comportamentali e relazionali.
Molte conseguenze derivano da queste considerazioni. Mi soffermo qui brevemente su un modo di pensare il processo di socializzazione che appare compatibile con gli obiettivi educativi in questione. Indicherò, inoltre, alcune schematiche linee orientative che riguardano la corrispondente strutturazione degli ambienti scolastici. La tesi è che la centratura sulle SES s’innesti su un processo a lungo termine, e a sua volta lo rafforzi, attraverso cui si va trasformando l’esperienza pratico-sociale e la comprensione teorica della socializzazione.
È noto che, nella visione classica della tradizione sociologica, la socializzazione consiste nel «processo attraverso {p. 61}il quale gli individui interiorizzano i valori, le credenze e le norme di una società e imparano a operare come suoi membri» [32]
. Le scienze sociali hanno registrato i cambiamenti strutturali e culturali di cui si è detto, mantenendo l’idea fondamentale che le strutture della coscienza individuale dipendano (anche) dalle condizioni storico-sociali, ma producendo una teoria chiaramente «orientata al soggetto» [33]
, cioè sottolineando l’autonomia e la riflessività personale dei soggetti. Le scienze sociali hanno dunque reagito al cambiamento delle condizioni socioculturali soprattutto prendendo le distanze dal sociocentrismo. L’enfasi cade sempre più su agency e libertà personale. Tuttavia, l’obiettivo della socializzazione e il meccanismo di mediazione tra il sociale e l’umano sono divenuti sempre meno determinati.
Sotto questo profilo, l’insight più promettente consiste, a mio avviso, nell’idea che l’identità umana matura sia radicata in una fondamentale relazione d’interesse intrinseco [34]
con gli altri e con le cose. La nozione centrale è quella di relazione con i vari aspetti della realtà, che fa nascere nel soggetto premure – preoccupazioni, cure, interesse, investimento di sé – e con ciò richiede-e-sviluppa una serie di disposizioni e abilità relative. Queste relazioni sono, infatti, inevitabili sul piano esistenziale, perché costituiscono il nostro legame con la realtà, ma la loro qualità può essere differente, diversi condizionamenti possono facilitarle oppure ostacolarle, fino ad alienare le persone dal mondo. L’esito – l’identità personale e sociale – è più che mai incerto e soggetto a {p. 62}continua revisione. È appunto in questo «gioco» identitario della costruzione e riflessione su sé stessi in relazione al mondo che le SES entrano in campo. Lo si può vedere ripercorrendo sinteticamente i passaggi essenziali del processo, come sono presentati nel modello di Archer [35]
, che mi pare convergente con il nostro argomento. Li riformulo qui in senso intenzionalmente normativo, per sottolineare la loro valenza sul piano educativo:
a) le pratiche educative possono favorire od ostacolare il contatto con le varie dimensioni della realtà: pratica, naturale e sociale. In diverse culture, a queste si aggiunge la dimensione spirituale, variamente intesa. L’accesso a esse è radicato nelle disposizioni umane basilari, ma deve anche essere socialmente (ed educativamente) mediato, sviluppando capacità di percezione, sensibilità o in-sensibilità per i vari aspetti del reale;
b) queste relazioni generano emozioni, che riflessivamente mediate sviluppano premure (concern), e la corrispondente volontà di perseguirle. La capacità di appassionarsi a un obiettivo è, qui, una caratteristica centrale;
c) ciò avviene nel quadro di condizionamenti e limiti di varia natura, che chiamano in causa capacità di adattamento come di perseveranza;
d) la selezione tra varie premure dà progressivamente forma a uno stile di vita (per dirla con Archer, un modus vivendi), in cui le priorità personali sono identificate, gerarchizzate e messe in atto;
e) tutto ciò avviene insieme ad altri, assumendo ruoli sociali e resistendo a fallimenti, tornando riflessivamente su di sé e sulle proprie scelte. Occorre dunque saper mantenere un impegno di lungo periodo, integrarsi con altri, essere resilienti rispetto alle fasi problematiche, rimanere aperti al ri-pensamento e allo stesso tempo accettare l’unicità del proprio corso di vita.
L’educazione deve dunque promuovere un processo di discernimento, deliberazione e dedizione che si attua
{p. 63}attraverso la riflessività personale e che è reso possibile e sostenibile nel tempo dalle proprie capacità. Queste rimandano evidentemente alle SES, nelle loro varie articolazioni e definizioni, che il lettore attento non faticherà a connettere con i passaggi appena elencati. Inoltre, il processo che ho schematizzato non può semplicemente accadere, ma si sviluppa meglio o peggio e in modi diversi (anche) attraverso pratiche e relazioni educative, che accompagnano le persone nel percorso. Aiutare le persone a entrare in contatto sensato con la realtà, a riconoscere e dare un senso alle emozioni che essa suscita, a sviluppare un interesse intrinseco che prende una certa direzione; saper selezionare, perseguire e adattare i propri progetti alla realtà, far crescere le capacità necessarie a sopportare le fatiche e i fallimenti, riflettere realisticamente sul proprio percorso: tutto questo è un programma formativo – nel senso più integrale del termine – in cui le SES sono fattori abilitanti fondamentali.
Note
[29] Hecht e Shin ne riconoscono l’importanza, ma sembrano concludere, in modo piuttosto paradossale dato l’intento «multiculturale» del loro approccio, che autonomia e razionalità stiano dal lato dell’individualismo (M.L. Hecht e Y. Shin, Culture and Social and Emotional Competencies, cit., pp. 57-58). Segnalo di passaggio che questa dimensione ha a che fare con le modalità riflessive di M.S. Archer, Structure, Agency and the Internal Conversation, Cambridge, Cambridge University Press, 2003; trad. it. La conversazione interiore. Come nasce l’agire sociale, Trento, Erickson, 2006. Il nesso tra queste due modellizzazioni è un tema interessante, che rimane da svolgere per una teoria della socializzazione.
[30] D.M. Hoffman, Reflecting on Social Emotional Learning: A Critical Perspective on Trends in the United States, in «Review of Educational Research», 79, 2, 2009, pp. 533-556.
[31] C. Brown, D.M. Maggin e M. Buren, Systematic Review of Cultural Adaptations of School-based Social, Emotional, and Behavioral Interventions for Students of Color, in «Education and Treatment of Children», 41, 4, 2018, pp. 431-456; P.W. Garner, D. Mahatmya, E.L. Brown e C.K. Vesely, Promoting Desirable Outcomes among Culturally and Ethnically Diverse Children in Social Emotional Learning Programs: A Multilevel Heuristic Model, in «Educational Psychology Review», 26, 2014, pp. 165-189; M. Koivula, M-L. Laakso, R. Viitala, M. Neitola, M. Hess e H. Scheithauer, Adaptation and Implementation of the German Social-emotional Learning Programme Papilio in Finland: A Pilot Study, in «International Journal of Psychology», 55, 1, 2020, pp. 60-69.
[32] C. Calhoun (a cura di), Dictionary of the Social Sciences, Oxford, Oxford University Press, 2002, p. 447.
[33] D. Geulen, Subjektorientierte Sozialisationstheorie. Sozialisation als Epigenese des Subjekts in Interaktion mit der gesellschaftlichen Umwelt, Weinheim-München, Juventa Verlag, 2005; A. Maccarini, Riflessività e identità nella società morfogenetica: ipotesi su una nuova paideia, in «Sociologia e politiche sociali», 2, 2016, pp. 9-33.
[34] Per dirla con Archer, una relation of concern (cfr. Being Human. The Problem of Agency, Cambridge, Cambridge University Press, 2000; trad. it. Essere umani. Il problema dell’agire, Genova-Milano, Marietti, 2007; Structure, Agency and the Internal Conversation, cit.). L’idea si avvicina al concetto di risonanza (H. Rosa, Resonanz. Eine Soziologie der Weltbeziehung, cit., con riferimento al nostro tema soprattutto pp. 246-298).
[35] M.S. Archer, Being Human. The Problem of Agency, cit.; Id., Structure, Agency and the Internal Conversation, cit.