Giorgio Chiosso, Anna Maria Poggi, Giorgio Vittadini (a cura di)
Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c4
Ma il punto più problematico riguarda la messa a punto del vero strumento di indagine che è il questionario. La scelta delle domande rispetto alla funzione indagata è
{p. 99}cruciale. Occorre che la domanda sia chiara, non ambigua, ben comprensibile anche per soggetti di livello culturale molto vario. L’unica strada realistica è quella di elaborare lentamente il questionario, applicandolo e migliorandolo rispetto ai primi risultati e ripetendo tale operazione fino a raggiungere una qualità confacente del questionario. Deve essere poi validato in un campione rappresentativo dell’intera popolazione.
Tuttavia, anche dopo un lavoro così meticoloso, lungo e faticoso restano cruciali le condizioni in cui il questionario è applicato, viene somministrato. Occorre cercare di rendersi conto di una miriade di fattori estranei che possono incidere e interferire nella raccolta delle risposte. Ad esempio, trattando di qualità del soggetto, soprattutto se la persona si sente in qualche modo valutata, potrà cercare di dare le risposte che la facciano giudicare migliore agli occhi dell’esaminatore; o ancora le risposte potranno essere profondamente influenzate dalla mancanza di motivazione, dalla noia; altre volte una condizione di somministrazione del questionario giudicata negativa dal soggetto potrà portare a risposte casuali o contrarie al proprio giudizio. Questi esempi sottendono una questione generale che ha a che fare col funzionamento della coscienza umana come tale.
Anche i neuroscienziati più illuminati riconoscono che la coscienza umana ha alcune caratteristiche generali che sono state ben descritte e precisate dalla fenomenologia. Dan Lloyd, che abbiamo già citato [13]
riassumendo le caratteristiche peculiari della coscienza che dovrebbero essere ricercate quando si vogliono cogliere i correlati neurofisiologici di essa, individua col termine superimposizione una di queste caratteristiche, cioè il fatto che la coscienza assicura ad ogni istante di esperienza la presenza di tutto il passato del soggetto e di tutte le aspettative future; ogni istante di esperienza è espressivo della totalità del soggetto.
Si vede bene che pretendere di controllare tutti i fattori potenzialmente interferenti è impossibile. E poi che scopo {p. 100}si ha, che utilità si può ottenere? La ricchezza della persona non potrà mai essere colta da una tecnica di misura dell’attività cerebrale per sofisticata che sia. Ma anche più immediatamente che utilità potrebbe avere? Che cosa c’è di bello e utile nella cosificazione, nell’oggettivizzazione del soggetto?
La conoscenza e lo studio delle basi neuronali delle capacità umane e in particolare delle NCS sono veramente al loro primo inizio. Come reclamato dagli autori dell’articolo citato, si tratta dell’unica pubblicazione che abbia tentato di affrontare lo studio delle NCS mediante fMRI. Quindi innanzitutto si tratta di vedere quanto interesse scientifico incontrerà questo filone di studio e i risultati che emergeranno. Comunque possiamo affermare con certezza che al momento attuale siamo lontanissimi da un suo uso sul campo nella determinazione delle NCS in popolazioni umane.

5. Conclusioni generali

Le neuroscienze con le loro tecniche di indagine applicate al cervello, di cui la fMRI, che abbiamo illustrato ed esaminato per lo studio delle NCS, è la più nota e che ha avuto maggior risonanza anche tra laici della materia, hanno contribuito a confermare in modo ormai acquisito e indubitabile che non esiste più piccolo istante di esperienza umana, di sua espressività, di sua intimità, che non passi, implichi l’attivazione di circuiti cerebrali, di trasmissione di potenziali elettrici. Il soggetto umano è un tutt’uno, è uno. La distinzione tradizionale anima/corpo, coscienza/cervello, mente/cervello se spinte fino al dualismo non sono vere. Poteva pensarlo Cartesio, ma ora sappiamo che non è vero. Non esiste singolo istante di me che non implichi l’attivazione del mio cervello.
Occorre rendersi conto con chiarezza che la scoperta del funzionamento fisiologico del cervello è veramente al suo primo inizio e che la complessità del cervello appare a chi guarda senza pregiudizi ideologici di proporzioni «sconfinate». Le nanotecnologie hanno già di fatto iniziato l’epoca in {p. 101}cui si cominciano a usare strumenti di registrazione e stimolo delle dimensioni dei neuroni, quali lamine che possono essere inserite nella corteccia cerebrale per studiare le modalità di funzionamento e le risposte a stimoli di singoli o gruppi di neuroni connessi. Ovviamente la possibilità di applicazioni safe all’uomo sono del tutto futuribili.
Tuttavia, i limiti delle tecniche fin qui riassunti saranno sicuramente superabili in futuro mediante l’affinamento degli strumenti tecnici a nostra disposizione o attraverso la realizzazione delle nuove strumentazioni tecnologiche più efficienti e precise.
Vogliamo, perciò, a questo punto richiamare l’attenzione del lettore su un limite intrinseco e sostanzialmente insuperabile di qualunque tecnologia intesa a rilevare l’attività cerebrale durante un qualsiasi compito svolto. Seguiremo nell’illustrare questo punto un articolo di Giorgio Israel del 2009, cui rimandiamo [14]
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Quello che noi registriamo mediante fMRI o magneto-EEG è un’attività cerebrale correlata con il compito che il soggetto in esame sta svolgendo. Ma nessuna registrazione, né registrazioni molto più sofisticate che si potranno fare in futuro, sarà mai in grado di dimostrare che tale attività neuronale cerebrale è la causa e l’origine dell’azione concepita e voluta o del pensiero pensato o della percezione registrata dal soggetto in esame. Il cervello certo è in grado di codificare informazioni, trasferirle fra aree diverse, impiegarle per generare un’azione motoria e tutte queste operazioni sono attuate attraverso attivazione di reti neuronali complesse e specifiche, ma dobbiamo chiederci: il cervello di per sé è in grado di pensare, di generare pensieri? Chi è l’autore dei nostri pensieri e delle nostre azioni, delle nostre percezioni e delle nostre immaginazioni, dei nostri desideri e delle nostre ansie? Se fosse il nostro cervello noi dovremmo cercare e trovare dentro il nostro cervello l’origine di tutto questo, ma, nell’ipotesi di una spiegazione puramente materiale, ci troveremmo di fronte a un processo che regredisce fino {p. 102}all’analisi delle particelle elementari che costituiscono il cervello senza mai arrivare a cogliere le skills umane, il pensiero e la coscienza, e saremmo costretti ad ammettere l’esistenza di un homunculus o di un fantasma dentro la macchina, dentro il cervello, che sta all’origine dei nostri pensieri. Come sostiene Paul Ricoeur (1999), la formula «il cervello pensa» è insostenibile razionalmente. Gli fa eco il quesito interlocutorio di Adrian: «Chi legge i patterns degli impulsi nervosi?» [15]
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È più ragionevole accettare la realtà così come si offre all’esperienza, nella sua evidenza: i pensieri, la mente, il soggetto sono altrettanto evidenti quanto è evidente la realtà della materia, ma appartengono a un ordine di fenomeni intrinsecamente diversi da quelli materiali. Questi due ordini di fenomeni che ci costituiscono non si danno che insieme, sono inseparabili dentro la nostra esperienza, ma allo stesso tempo non sono riducibili uno all’altro: l’uomo è un soggetto unico, ma costituito da due fenomeni irriducibili.
La difficoltà di accettare questo paradosso dipende dall’eliminazione di esso dalle altre parti della realtà: la realtà materiale è anch’essa una e duale. Conosciamo la sua costituzione fino al livello delle particelle elementari, ma esse non la esauriscono perché essa implica l’esserci, come distinto dal nulla. Così ogni essere vivente è fatto delle stesse molecole e particelle elementari di cui è fatto tutto l’universo, ma è vivente cioè radicalmente diverso dal mondo inorganico di cui pure è fatto, è totalmente parte dell’ambiente in cui solo può esistere, ma diverso intrinsecamente da tale ambiente.
Viviamo in una cultura, in una concezione del mondo che ha reso ovvia l’affermazione che l’AI (l’intelligenza artificiale) rivoluzionerà il corso della vita umana, i robot potrebbero prendere il comando ed eliminarci, oppure nasceranno ibridi tra uomini e macchine, la coscienza del singolo potrà essere riversata su un hard disk e fatta vivere per sempre. {p. 103}Per convincere tutti il modo più usato è produrre filmati con immagini prese da film di fantascienza e intervista a informatici, ingegneri, medici, psicologi, biologi che tutti affermano la stessa cosa (vedi S1E1 Homo Sapiens 2.0 e tutta la serie distribuita dalla Disney). Alla base di tutto questo c’è l’incapacità a riconoscere la differenza radicale e qualitativa tra un soggetto e una macchina, tra un essere vivente e una macchina.
Forse nel prossimo futuro la capacità umana più importante, sicuramente accompagnata anche da buone NCS, quella decisiva in un mondo che sembra andare verso il delirio, sarà quella così elementare e basilare di saper distinguere tra realtà e rappresentazione mentale, tra realtà e pensiero e che ci permetterà di stare attaccati alla realtà in ogni condizione, sapendo bene che l’uomo rinchiuso nei propri pensieri impazzisce.
Note
[13] D. Lloyd, Functional MRI and the Study of Human Consciousness, cit.
[14] G. Israel, Se la morale è un fatto di neuroni, in «Corriere della Sera», 6 febbraio 2009.
[15] E.D. Adrian e B.H.C. Matthews, The Interpretation of Potential Waves in the Cortex, in «The Journal of Physiology», 81, 1934, pp. 440-471; J.P. Changeux e P. Ricoeur, La natura e la regola, Milano, Raffaello Cortina, 1999.