Giorgio Chiosso, Anna Maria Poggi, Giorgio Vittadini (a cura di)
Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/p2
Non si può pensare alle competenze non cognitive come slegate una dall’altra: ormai sappiamo che esistono dei cluster di
{p. 12}competenze che si potenziano a vicenda, ad esempio la resilienza all’interno del capitale psicologico, il capitale psicologico all’interno delle competenze non cognitive con tratti di personalità e motivazione [12]
.
Converge su tale interpretazione Andrea Maccarini [13]
nel capitolo II, di stampo sociologico, in cui vengono indagati i legami tra competenze sociali ed emotive, apprendimento socioemotivo e NCS. Infatti: «Le competenze socioemotive, o caratteriali, manifestano una rinnovata enfasi sul soggetto umano “tutto intero” come medium e forma dei processi educativi» [14]
. L’educazione avviene sostanzialmente come «incontro tra personalità».
Una possibile obiezione a questa lettura unitaria nel senso delle character skills potrebbe venire dalle neuroscienze, se prevalesse l’interpretazione che queste capacità consistano di impulsi elettrici scorporabili, riproducibili e quindi manipolabili per ottenere determinati risultati attesi.
Tuttavia, a questo proposito, nel capitolo IV [15]
, Mauro Ceroni afferma che siamo lontanissimi dal poter determinare in modo diretto le NCS in popolazioni umane, in quanto
la scoperta del funzionamento fisiologico del cervello è veramente al suo primo inizio e la complessità del cervello appare a chi guarda senza pregiudizi ideologici di proporzioni «sconfinate». [...] Per questa complessità – aggiunge – non sarà possibile dimostrare che l’attività neuronale cerebrale è la causa e l’origine dell’azione concepita e voluta o del pensiero pensato o della percezione registrata dal soggetto in esame [16]
.{p. 13}
I diversi apporti disciplinari suffragano quindi la visione unitaria del fenomeno NCS secondo cui si può interpretare la definizione che Heckman dà di character skills, come si ricorda ancora nel capitolo V: «Il fuoco dell’attenzione si sposta sulla capacità di sintesi: possiamo ipotizzare che una visione olistica della persona sia quella in grado di valorizzarla di più, ma anche di far fronte in modo più efficace alla complessità della situazione» [17]
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4. Educare le «character skills»

Il percorso arriva a questo punto a una domanda cruciale: le character skills sono patrimonio immutabile della personalità o sono educabili? E quindi: la loro acquisizione e il loro potenziamento vanno considerati un obiettivo centrale del processo educativo?
Giorgio Chiosso e Onorato Grassi sostengono che «i tratti di personalità non sono predeterminati, ma largamente flessibili e influenzabili dall’intervento educativo». Inoltre, quando si parla di character education [18]
si deve far riferimento anche all’autocoscienza e alla scelta personale: «quelle pratiche che, centrate sulla persona, ritengono più opportuno e rispettoso mobilitare dal basso atteggiamenti che favoriscono l’abitudine alla riflessione e alla coerenza personale e all’esercizio della “volontà buona”».
È ancora Pisanu a sottolineare che le NCS
sono educabili e potenziabili soprattutto durante l’esperienza scolastica dei ragazzi. Oggi noi sappiamo che rendendole esplicite all’interno del percorso di apprendimento degli studenti, le probabilità che tali dimensioni si sviluppino nella direzione auspicata da parte dello studente e del proprio docente aumentano in maniera esponenziale [19]
.{p. 14}
Il lavoro di misurazione di tali capacità ha creato qualche malumore in ambito scolastico, come se cercare di indagare più a fondo la dinamica della conoscenza potesse in qualche modo violare o portare a strumentalizzare la complessità psicologica e la singolarità umana.
Se lo scopo della scuola è educare istruendo, o istruire educando, se è aiutare i ragazzi a esprimere sé stessi, a realizzarsi, a conquistare capacità, conoscenze e, in fondo, a trovare il proprio posto nel mondo, un percorso di apprendimento non può non tenere in considerazione anche le NCS.
Per tenerne conto, occorre conoscerle, innanzitutto imparando a osservarle. Cercare di misurarle, poi, non ha certo la pretesa di esaurire la conoscenza e il mistero che ogni persona è, ma significa solo avere più elementi per capire l’individualità dei ragazzi. Lo sviluppo della personalità, attraverso l’apprendimento, il sapere e il sapere agire, è lo scopo della scuola e la miglior risposta a qualunque trasformazione del mondo economico, produttivo e sociale.
È possibile essere strumentali nell’educare le character skills, così come è possibile farlo trattando con gli aspetti solamente cognitivi. Dipende dall’approccio e dallo scopo dell’educatore. Non tenerne conto, invece, condanna a una relazione educativa parziale.
Se si punta alla valorizzazione della persona nel suo insieme, «rimuovere gli ostacoli alla crescita delle character skills è l’obiettivo fondamentale dell’intero percorso educativo, e conoscerne gli elementi è il primo modo per riuscirci».

5. Le «character skills» nel sistema scolastico

L’importanza delle character skills nel percorso formativo si è mostrata in modo inequivocabile nelle lezioni a distanza durante la crisi pandemica causata dal Covid-19. In quei drammatici mesi del 2020 si è assistito a una vera e propria rivoluzione dei metodi didattici. Non è stata la comunicazione digitale in sé a fare la differenza, piuttosto, in molti casi, laddove è stato possibile attivare collegamenti, le piattaforme digitali hanno stimolato professori e studenti {p. 15}a non arrendersi di fronte a situazioni avverse, a confrontarsi di più e a sostenersi reciprocamente. Si sono visti impegno, motivazione, capacità di far domande, di pensare per problemi, di imparare a lavorare insieme per raggiungere uno scopo comune.
Quello che è avvenuto sotto la spinta dell’emergenza dovrebbe diventare scelta consapevole e programmatica della scuola italiana. Si tratta di un tentativo che comporta cambiamenti fondamentali nell’organizzazione delle scuole, come argomenta Damiano Previtali nel capitolo VI del libro [20]
.
Gli studi sulle character skills sono relativamente recenti e ancora poco conosciuti e utilizzati nelle scuole. Si può già però affermare che laddove sono stati introdotti, quando sono applicati in modo condiviso e partecipato, hanno coalizzato la comunità professionale intorno a obiettivi chiari, hanno caratterizzato l’ambiente di apprendimento [21]
e hanno interrogato le stesse competenze dei docenti e l’offerta formativa ed educativa che caratterizza la scuola [22]
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Come argomenta ancora Previtali, nell’ambito dell’autonomia finora concessa, «molte scuole innovative si sono già incamminate con una pluralità di progetti lungo il percorso dell’integrazione fra scuola e famiglia, fra formale e non formale, fra istruzione ed educazione, fra cognitive skills e non cognitive skills» [23]
. Anche a livello centrale non mancano le proposte che in diverso modo contemplano le competenze trasversali nell’orientamento, nella valutazione di alcune discipline in particolare (ad es. in educazione civica), nel curricolo dello studente, con la documentazione delle competenze in ambito formale, non formale e informale.
Se l’obiettivo finale è una svolta educativa che metta al centro la persona, possiamo ritrovare il cambiamento {p. 16}di questo paradigma nel processo di decentramento del sistema verso l’autonomia scolastica e la contestualizzazione dell’offerta formativa:
L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo [24]
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6. Una ricerca sulle NCS in un contesto italiano

Sulla scia degli studi internazionali è stata condotta una ricerca sulle NCS degli studenti trentini, di cui vengono anticipati i primi risultati nell’appendice del volume. L’indagine Lo sviluppo delle competenze non cognitive negli studenti trentini, è stata effettuata sugli studenti delle scuole medie inferiori della Provincia Autonoma di Trento (PAT). Lo studio cerca di rispondere a due quesiti: le NCS determinano un miglioramento delle CS, misurate dai risultati scolastici? E, secondo, si può affermare in termini causali che opportuni programmi educativi incrementino le NCS?
La scelta territoriale non è casuale; la PAT è area di particolare sviluppo economico, omogenea sotto il profilo sociale e demografico e gli studenti delle sue scuole medie raggiungono i risultati più elevati in Italia nel test internazionale OECD-PISA e tra i più elevati in assoluto nell’ambito dell’OECD stesso. Per queste ragioni sono minori i fattori di «disturbo» dovuti a caratteristiche particolari degli studenti (ad es. povertà educativa e devianze sociali) che possono inficiare i risultati. Inoltre, nella PAT sono in atto da anni progetti per lo sviluppo delle competenze non cognitive degli studenti al termine del primo ciclo di istruzione.
{p. 17}
Note
[12] F. Pisanu, F. Fraccaroli, M. Gentile e F. Recchia, Competenze non cognitive come risorse psicosociali per il successo formativo, cit., p. 85.
[13] A.M. Maccarini, Le «character skills» nel processo di socializzazione, pp. 43-65 del presente volume.
[14] Ibidem, p. 49.
[15] M. Ceroni, Neuroscienze e «non cognitive skills», pp. 89-103 del presente volume.
[16] Ibidem, pp. 100-101.
[17] T. Agasisti, L. Ribolzi e G. Vittadini, La formazione del capitale umano, cit., p. 116.
[18] G. Chiosso e O. Grassi, Oltre l’egemonia del cognitivo, cit., p. 39.
[19] F. Pisanu, F. Fraccaroli, M. Gentile e F. Recchia, Competenze non cognitive come risorse psicosociali per il successo formativo, cit., p. 86.
[20] D. Previtali, Le «non cognitive skills» nella scuola, pp. 129-151 del presente volume.
[21] F. Pisanu, F. Fraccaroli, M. Gentile e F. Recchia, Competenze non cognitive come risorse psicosociali per il successo formativo, cit.
[22] D. Previtali, Le «non cognitive skills» nella scuola, cit., p. 136.
[23] Ibidem, p. 150.
[24] Ibidem, p. 138.