Andrea M. Maccarini (a cura di)
Character skills e didattica digitale
DOI: 10.1401/9788815374615/c1
Anzitutto, per oltre un anno la scuola non è più stata un luogo fisico: non più quella scuola, a quell’indirizzo, con quelle aule, quel cortile, quei banchi. È entrata a casa di ciascuno, o per meglio dire si è svolta da casa di ciascuno, non con istitutori a domicilio, ma con insegnanti che entrano a forza attraverso lo schermo del PC dentro cucine affollate, camere da letto da rassettare, balconi, divani. La dematerializzazione dell’edificio scuola pone la prima sfida nella dimensione dello spazio: gli alunni devono sapersi organizzare, imporsi regole nuove, voler continuare a fare scuola davvero; gli insegnanti devono trovare nuovi modi per fare lezione, uscire dalla zona di comfort di anni di scuola svoltisi dentro le aule per far diventare aula una stanza qualsiasi, nella domesticità privata di ogni alunno. La mancanza di un luogo fisico definito amplifica la disuguaglianza, aggiungendosi a quella derivante dalle competenze digitali e dal possesso dei dispositivi cui si faceva cenno poc’anzi:
{p. 17}mostra case piccole e affollate da una parte e case ampie, lussuose, confortevoli, magari troppo grandi per chi le abita, dall’altra; evidenzia le differenti dotazioni tecnologiche, più o meno aggiornate oppure obsolete; sottolinea la differenza nelle risorse e nei consumi culturali delle famiglie.
La ricaduta sui metodi d’insegnamento è evidente: come si può insegnare senza avere la classe fisicamente di fronte a sé? Senza la possibilità d’intercettare sguardi, diagnosticare cali d’interesse, individuare e amplificare curiosità? Per molti insegnanti il nuovo mandato didattico è stato complesso e di fronte a esso le loro competenze professionali, sociali ed emotive si sono spesso dimostrate inadeguate. Come ogni crisi, anche questa ha funzionato come evidenziatore di differenze latenti: alcuni insegnanti hanno reso più palese la loro resistenza al cambiamento, una scarsa propensione all’innovazione e una certa ossessione burocratica, che ha preso forma, per esempio, nel bisogno di terminare i programmi indipendentemente dal reale apprendimento, o nell’enfatizzare oltremodo il momento della verifica delle conoscenze. Per altri invece si è trattato di un’opportunità per mettere in campo soluzioni creative, sperimentare nuovi metodi, attingere a giacimenti di saperi inediti nell’esperienza scolastica. Come poi vedremo, gli effetti sugli alunni sono stati corrispondenti: laddove la DAD è stata sottovalutata nelle sue potenzialità e non pensata creativamente ha causato una regressione nei metodi di insegnamento/apprendimento: gli alunni sono tornati a essere contenitori vuoti da riempire. La distanza fisica ha allora creato una frattura generazionale e di ruoli come non accadeva da lungo tempo, lasciando gli alunni soli, spaesati, senza punti di ancoraggio. Per coloro che invece hanno potuto sperimentare un altro modo di fare scuola, ricco comunque di proposte e contenuti, ad alta densità d’innovazione e creatività, l’esperienza si è qualificata come qualcosa di più di un’alternativa obbligata alla modalità tradizionale.
Le relazioni sono la stoffa su cui è cucito questo cambiamento, nelle sue varie forme: si è assistito a un rafforzamento (non scevro di problematicità) dei legami familiari, sia dentro la famiglia nucleare che in quella estesa, un ritrarsi e pro{p. 18}teggersi nella domesticità; una nuova centralità riconosciuta alle figure genitoriali, riferimento imprescindibile per gli adolescenti. E parallelamente c’è stata la rarefazione delle relazioni con gli altri adulti esterni alla famiglia: insegnanti, allenatori, animatori, educatori. Questa trasformazione non è priva di implicazioni rispetto ai bisogni e agli obiettivi scolastici ed educativi in genere. Allo stesso modo, il parterre degli amici si è modificato, determinando una sorta di selezione naturale, che fa sopravvivere le amicizie robuste, fondate su valori comuni, quelle a cui si è dedicato tempo, attenzione, cura, e lascia morire le altre, derubricate a frequentazioni temporanee – non senza qualche sorpresa, delusione di aspettative, rammarico e comunque con un diffuso senso di perdita.
A livello più macrosociale, ciò che appare chiaro è che la situazione legata alla pandemia sta spingendo la scuola [12]
verso un mutamento strutturale, interferendo con tendenze di lungo termine già in atto e costituendo meccanismi sociali complessi. La scuola – così si è detto in molte riflessioni accademiche e nel dibattito pubblico – dovrà cambiare luoghi, tempi, metodi, relazioni. Il fatto che attualmente, dopo varie ondate epidemiche e in una fase di sicurezza provvisoria e fluttuante offerta dalla campagna vaccinale, sembri prevalere un’inesorabile forza d’inerzia che tende a riportare tutto al business as usual non può eliminare le esigenze di cambiamento nel lungo periodo. A livello macro, oltre l’emergenza del momento o la resistenza a oltranza, gli scenari aperti sono molteplici. Gli esiti sono ancora remoti e incerti [13]
. Ma l’accelerazione della morfogenesi strutturale e culturale dei sistemi d’istruzione sembra svolgersi lungo alcune linee direttrici che possiamo qui soltanto identificare:{p. 19}
  1. intersettorialità. I sistemi d’istruzione tendono a incrementare le loro relazioni d’interscambio e di reciproca dipendenza – che comprende la possibilità del reciproco «disturbo» e della disfunzionalità – con altri sistemi, non soltanto in ambito educativo-socializzativo. Si tratta, per esempio, delle interazioni con i sistemi sanitari, dei trasporti e del lavoro;
  2. potenzializzazione. La tendenza che abbiamo sopra delineato nel suo impatto sulle vite personali si sviluppa, anzi ha un suo ambito di elezione, precisamente a livello organizzativo, gestionale e di policy. Come già sta accadendo per altre forme organizzative e complessi istituzionali, la scuola entra nel vortice della disponibilità alla valorizzazione continua del mutamento, all’apertura dei propri confini e alla ricerca di sempre nuove, specifiche forme e mission al di là degli orizzonti che di volta in volta rapidamente compaiono;
  3. personalizzazione. Il trend di lungo periodo che spinge alla personalizzazione dei servizi in vari campi, per esempio nell’ambito del welfare, s’intensifica anche in campo educativo, a causa della crescente variabilità di condizioni, di bisogni educativi e di livelli di apprendimento, anche all’interno delle medesime classi.
Per trarre le somme, queste sono state le linee fondamentali del mutamento della e nella scuola, durante l’emergenza e dopo di essa, per effetto dell’«onda lunga» della destrutturazione delle relazioni educative. Certamente, esse implicano anche opportunità trasformative. Che si tratti di riflettere sul nuovo ruolo della scuola o sulle sue capacità di mantenere il posto che aveva prima, è comunque certo che le organizzazioni scolastiche siano al centro di una trasformazione sociale epocale e che la tecnologia ha in essa un ruolo importante.
Dal punto di vista delle conseguenze sui giovani alunni è stato naturale ipotizzare, nei contributi scientifici e nel dibattito pubblico, un forte impatto di tutta questa situazione sugli apprendimenti e sulle prestazioni scolastiche, come anche sulla crescita personale.
Proprio quest’ultima dimensione – che peraltro le scienze sociali hanno da tempo dimostrato essere strettamente {p. 20}intrecciata alla prima [14]
– è al centro dell’interesse di questo libro, in cui se ne assume una declinazione specifica, onde precisare e rendere il più possibile rigorosa l’analisi. È stato percorso un sentiero di ricerca nuovo, centrato sul nesso tra l’esperienza della modalità telematica d’insegnamento e l’emergere di alcune dimensioni importanti dello sviluppo umano dei giovani alunni. Queste ultime sono state definite entro un quadro di riferimento teorico che ruota attorno a due concetti chiave: quello di competenze socio-emozionali (social and emotional skills, d’ora in avanti SES) – dette anche «caratteriali» (character skills) – e quello di riflessività, intesa come proprietà emergente personale [15]
. Entrambe sono significativamente connesse sia alla capacità dei giovani di «fare la propria strada nel mondo», integrandosi e contribuendo positivamente agli ambienti sociali in cui si svolge la loro vita – a partire da quello scolastico – sia alla loro capacità di maturare un orientamento sensato e progettuale rispetto al futuro. La domanda fondamentale da cui prende le mosse questo studio, dunque, è formulabile nel modo seguente: è vero, e se sì a quali condizioni, che la transizione a una modalità telematica dell’insegnamento, con tutto ciò che ha comportato, è correlata a una flessione nel livello di SES e a una crisi della riflessività personale negli alunni? L’ipotesi di partenza è che il legame sia duplice: la DAD/DDI potrebbe associarsi a una minore efficacia della scuola nel formare tali competenze e al tempo stesso la «dotazione personale» di SES e riflessività, dipendente da altri fattori, potrebbe fungere da forte strumento di resilienza, riducendo l’impatto negativo della situazione di emergenza che ha {p. 21}accompagnato la scuola e ogni forma d’interazione sociale a partire da marzo del 2020.
Lo scenario che abbiamo tratteggiato evoca l’emergere di dispositivi di governance, che tentino di orientare queste dinamiche, e dispositivi culturali che (ri)attribuiscano senso all’esperienza educativa come tale, rendendola meno paradossale. In questo contesto, la domanda latente nel nostro lavoro è se l’attuale «catastrofe» pandemica si stia traducendo anche in una catastrofe scolastica ed educativa. Più specificamente, come reagiscono i sistemi scolastici alla crisi? Quali istituzioni si trasformano oppure cedono all’eccesso di complessità e perché? Con quali effetti sulle persone? Per esempio, sta davvero emergendo una «generazione Covid», secondo la suggestiva espressione che comincia a farsi strada nel dibattito pubblico? E se sì, con quali tratti caratteristici?
Ragionare su queste domande implica due grandi nuclei generativi del discorso. Il primo tratta l’impatto della crisi dal punto di vista dell’apprendimento scolastico-disciplinare e della rilevanza economica dell’istruzione. Sotto questo profilo, il notevole effetto negativo sugli apprendimenti è già stato ampiamente dimostrato [16]
. Sul piano economico, tale perdita di conoscenze e competenze – cioè di capitale umano – si tradurrebbe, secondo stime autorevoli, in un calo del PIL nazionale quantificabile nell’1,5% per ogni anno fino alla fine del secolo [Hanushek e Woessman 2020] [17]
. A livello individuale, naturalmente, ciò significherà perdite di reddito lungo tutto l’arco della vita lavorativa, minori opportunità e chances di vita in generale e maggiori
{p. 22}diseguaglianze, ancora difficili da quantificare, ma molto probabilmente di vaste proporzioni.
Note
[12] I sistemi d’istruzione comprendono ovviamente anche le istituzioni d’istruzione superiore, in primo luogo l’università. L’analisi sviluppata in questa sede riguarda esclusivamente la scuola e di essa quindi parleremo sempre nel testo.
[13] Per un esercizio predittivo che delinea «creativamente» alcuni possibili scenari a medio-lungo termine cfr. OECD [2020].
[14] Per una concisa trattazione di questo punto sia consentito di nuovo un riferimento a un nostro precedente studio [Maccarini 2021].
[15] Per i lettori interessati ai fondamenti teorici dell’impostazione di questo studio empirico, segnalo che una trattazione delle SES e una prima formulazione che tenta di elaborare i due concetti chiave di SES e riflessività personale entro un modello integrato si trova in Maccarini [2019, cap. 8, specialmente pp. 240-248]. La nozione di riflessività è pensata qui con riferimento al pluriennale lavoro di Margaret Archer [2006; 2007; 2009].
[16] Per l’Italia si vedano i dati, chiari e drammatici, emersi dalle prove INVALSI del 2021: https://invalsi-areaprove.cineca.it/index.php?get= static&pag=materiale_approfondimento.
[17] Questa percentuale è una media riferita ai paesi OCSE, calcolata sul periodo di chiusura delle scuole nella sola «prima ondata» pandemica del 2020 e supponendo che non vi siano ulteriori chiusure. Naturalmente, i vari paesi saranno variamente posizionati attorno a questa media, a seconda della maggiore o minore durata della loro chiusura e di altre variabili, quali per esempio la dotazione tecnologica e la qualità della didattica erogata a distanza.