Andrea M. Maccarini (a cura di)
Character skills e didattica digitale
DOI: 10.1401/9788815374615/c1

Capitolo primo Pandemia, crisi dei sistemi d’istruzione e «generazione covid»: la posizione del problema
di Andrea M. Maccarini

Notizie Autori
Andrea M. Maccarini insegna Sociologia nell’Università di Padova. È autore, tra l’altro, di Deep Change and Emergent Structures in Global Society (2019) e di Lezioni di sociologia dell’educazione (2003); ha curato il volume L’educazione socio-emotiva. Character skills, attori e processi nella scuola primaria (2021).
Abstract
Il discorso educativo sulle competenze sociali ed emozionali (SES), o character skills, appare sempre più diffuso a livello internazionale ed è recentemente entrato nel dibattito accademico e pubblico italiano. Parlare di SES significa parlare di qualità e capacità umane importanti, perché descrivono dimensioni rilevanti del modo in cui le persone si relazionano con sé stesse, con gli altri e con il mondo, e inoltre perché sono correlate a esiti importanti in varie sfere della vita sociale. Il capitolo tratta di come vengano diversamente tematizzate, ricevendo declinazioni specifiche legate agli interessi e agli approcci dei singoli autori. Al di là della varietà semantica, il punto che viene messo in evidenza è che lo sviluppo di questo tema corrisponde a determinate pressioni culturali e strutturali della società globale ed è quasi sempre riferito ai giovani, alla loro condizione e formazione.

1. In luogo di un’introduzione: le «character skills» e l’educazione in cerca di relazioni sensate

I problemi affrontati dal libro che presentiamo, e dalla ricerca su cui si basa, rimandano a un ampio orizzonte socio-culturale e a tendenze, strutturali e culturali, di lungo periodo. Prima d’illustrare l’impostazione dell’indagine empirica attorno a cui ruota il volume e la sua articolazione è utile quindi comprenderne meglio il senso e il contesto, prendendo un po’ di distanza dal tema particolare.
Il discorso educativo sulle competenze sociali ed emozionali (SES), o character skills [1]
, appare sempre più diffuso a livello internazionale ed è recentemente entrato nel dibattito accademico e pubblico italiano [2]
. Parlare di SES significa parlare di qualità e capacità umane importanti, perché descrivono dimensioni rilevanti del modo in cui le persone si relazionano con sé stesse, con gli altri e con il mondo, e inoltre perché sono correlate a esiti importanti in {p. 8}varie sfere della vita sociale [OECD 2021]. Esse vengono diversamente tematizzate, ricevendo declinazioni specifiche legate agli interessi e agli approcci dei singoli autori. Ma al di là della varietà semantica, il punto che vorrei ora mettere in evidenza è che lo sviluppo di questo tema corrisponde a determinate pressioni culturali e strutturali della società globale ed è quasi sempre riferito ai giovani, alla loro condizione e formazione.
Sotto questo profilo, la situazione attuale è particolarmente problematica. Quattro ordini di fenomeni sono spesso menzionati, in quanto hanno conseguenze importanti nella sfera educativa.
  1. L’esplosione delle possibilità di esperienza e d’azione. La complessità sociale tende ad assumere una forma specifica, che consiste nel moltiplicarsi delle possibilità combinatorie di agire ed esperire. La dinamica delle società globalizzate implica l’incremento delle opzioni possibili in ogni snodo del corso di vita, a partire dal percorso educativo. Tutto ciò accresce la centralità della risorsa umana e complica i requisiti dei «poteri» a essa richiesti, che entrano nel discorso educativo attraverso concetti quali creatività, pensiero critico, capacità di problem solving, capacità di prendere decisioni in condizioni d’incertezza eccetera.
  2. L’accelerazione sociale. La teoria dell’accelerazione interpreta il mutamento sociale a partire dal cambiamento dei ritmi di vita, individuali e collettivi. Al livello dell’interazione, l’accelerazione implica l’incremento delle esperienze e azioni possibili (ma anche richieste), in una unità di tempo. Sono, però, anche le dinamiche organizzative e le strutture temporali della società a essere scosse, distruggendo vecchi equilibri: si pensi per esempio al bilancio temporale famiglia/lavoro, alla traiettoria delle biografie personali, e altro ancora [3]
    .
  3. L’imprevedibilità del mondo sociale. L’accumulo di complessità e di possibilità combinatorie, oltre alla rapidità {p. 9}del cambiamento, comporta anche un aumento dell’imprevedibilità. Per i nostri scopi non è necessario entrare nella questione epistemologica e ontologica più generale, che porterebbe a chiedersi se la società umana sia mai stata davvero «prevedibile» anche in passato. Basti qui osservare che il mutamento è esperito dagli attori sociali come «sempre meno» prevedibile – quali che siano i fattori e i meccanismi reali che sostengono questa rappresentazione.
  4. La saturazione dello spazio materiale e simbolico. Questo elemento chiama in causa soprattutto l’enorme sviluppo delle reti comunicative, soprattutto tecnologicamente mediate, che reclamano sempre maggiore spazio nelle vite dei soggetti e distraggono o intrattengono i sistemi psichici a livelli storicamente sconosciuti. Insieme alla «finitudine» degli spazi fisici, questo fenomeno genera un ambiente comunicativo, simbolico e fisico sempre più denso per gli individui delle società avanzate. La recente esperienza della pandemia ha reso questo aspetto fortemente paradossale, coniugando la saturazione comunicativa a un inedito vuoto di socialità e con ciò estremizzando alcune tendenze già in atto, normalizzando situazioni che prima potevano ancora essere intese come situazioni limite.
Le conseguenze personali di questo fronte di trasformazioni sociali sono molteplici e profonde. In estrema sintesi, la situazione attuale comporta una forte e multidimensionale pressione sul soggetto umano. La società appare sempre più esigente circa lo sforzo personale richiesto per partecipare ai processi e alla vita sociale in ogni ambito: dall’istruzione al lavoro, dalla salute alla vita civica, e così via. L’idea di performance non è più limitata alla sfera dell’economia e del mercato. Attivazione, mobilitazione, iniziativa, adattamento e investimento di sé sono requisiti fondamentali in ogni campo della vita sociale [4]
. Al tempo stesso, la società mostra, in questa fase, una capacità decrescente di costruire {p. 10}o rigenerare istituzioni efficaci che supportino questo sforzo. Partecipare a istituzioni e alle loro forme di vita organizzata, percorrere una «carriera» entro gli argini consolidati dei percorsi di vita che queste disegnano – per esempio completare un curriculum, o fare parte di un’organizzazione – è ormai sempre meno rilevante. L’eccesso [Abbott 2014; Maccarini 2018], cioè a dire, in linea generale, la soverchiante quantità d’informazioni da processare, quindi di scelte da operare, sforzo e prestazioni richieste, e relative competenze da sviluppare, è la cifra essenziale di questa condizione. In campo educativo, un esempio palese riguarda la ridefinizione del curriculum e la moltiplicazione tendenziale di tutto ciò che «si deve» imparare.
In questo senso la società globale è sempre più una skills society, una società che pone al soggetto umano requisiti stringenti per poterla abitare – e che dispone forme di marginalizzazione sociale corrispondenti legate alla in-competenza. Il soggetto umano è sollecitato alla massima mobilitazione, alla ottimizzazione senza residui – in linea di principio – di tutte le sue proprietà psichiche, fisiche e morali. La frontiera passa per forme sempre più innovative di lavoro su sé stessi [Rosa 2016], negli aspetti di self-management e di cooperazione interpersonale. L’attuale «nuova» valorizzazione del «carattere» e delle competenze sociali ed emotive si radica in questa sindrome di mutamento socio-strutturale, come reazione al bisogno di approfondire e potenziare il «miglioramento» dell’essere umano in tutte le sue facoltà.
Ciò implica, anzitutto, affrontare uno spettro di capacità, qualità e prestazioni soggettive più ampio rispetto al passato, per cui vari tratti personali non possono essere lasciati in stato sub-ottimale o alla crescita spontanea.
Un’altra, importante implicazione può essere colta attraverso l’idea di potenzializzazione. Un mondo imprevedibile, rapido e in cui le possibilità di esperienza e azione si moltiplicano è anche un mondo in cui non è possibile istituire aspettative certe e occorre prepararsi a «diventare tutto». Le identità e le strutture sono quindi costrette a rendersi sempre più flessibili e disponibili all’autotrasformazione, utilizzando il cambiamento esterno non come sfida a cui {p. 11}resistere, ma come opportunità per ripensare continuamente il nocciolo essenziale della propria mission, sviluppandola lungo una certa linea direttrice, ma modificando in profondità orizzonte, forme e strutture della sua realizzazione e gestendo in modo flessibile i propri confini. Ciò comporta tra l’altro un continuo esercizio d’immaginazione, rivolto a sé stessi, con le proprie identità e pratiche, guidato dalla possibilità di essere e realizzarsi sempre «diversamente». Certo, questa tendenza interferisce con un tratto culturale che viene da lontano, intrecciandosi strettamente con i processi d’individualizzazione e con la gamma di possibilità espressive a essi legate. La possibilità di «diventare tutto» fa parte, in questo senso, della liberazione dell’individuo dai legami ascrittivi e della sua autoimmaginazione che tende a espandere la propria sfera di esperienza, di azione e di autorealizzazione identitaria. Rendere massimamente flessibile questo processo – secondo la formula «dream of everything you can become, and become everything you dream of» [5]
– può anche rappresentare lo zenit di questa costellazione societaria. Laddove l’imprevedibilità sociale cresce oltre una certa soglia, tuttavia, il medesimo processo viene tradotto dal codice del desiderio a quello della necessità. Vivere in una condizione di «aspettative crescenti» – come è stato per le prime generazioni nate dopo la Seconda guerra mondiale – è diverso da vivere in un mondo «senza aspettative». Questa situazione rende più acuta la crisi della continuità e della congruità dei contesti di vita entro cui le persone sono socializzate: come la teoria sociologica ha osservato da tempo, l’emergere continuo di situazioni nuove mette in crisi l’azione di routine, provocando l’espansione della riflessività [6]
. Le persone possono sempre meno trovare
{p. 12}nelle varie agenzie di socializzazione una guida normativa coerente per le loro azioni. Di conseguenza, devono sempre più basarsi sulla propria riflessività personale, sulla propria capacità di valutare i propri progetti di vita in relazione al mondo che cambia. La necessità di selezionare tra molteplici esperienze e azioni possibili genera il bisogno di efficacia progettuale e decisionale.
Note
[1] Lasciando il dibattito sulle definizioni ad altre sedi [si veda per esempio Maccarini 2021, cap. 1], assumiamo questi termini come sinonimi ai fini della presente ricerca. L’espressione character skills sottolinea maggiormente il carattere integrato delle competenze in questione, che disegnano un «profilo» del soggetto, e altresì la loro multidimensionalità, che chiama in causa aspetti cognitivi, comportamentali, affettivi e morali. La formula «competenze sociali ed emozionali» punta l’attenzione sulle dimensioni più centrali che vengono messe in questione.
[2] Per una panoramica critica dell’estesissima letteratura internazionale, che non è possibile qui nemmeno riassumere, devo rinviare ancora a Maccarini [2021]. Il dibattito nazionale è alimentato sia da traduzioni di opere centrali sul tema [Heckman e Kautz 2016] che da ormai molteplici contributi originali. Si veda per esempio Chiosso, Poggi e Vittadini [2021].
[3] Nell’ambito della teoria sociologica, il riferimento fondamentale sul tema dell’accelerazione sociale va al lavoro di Hartmut Rosa: si veda per esempio Rosa [2013].
[4] La dinamica dei sistemi di welfare europei – con la nozione di politiche «attive» per l’autoprotezione dai rischi – costituisce un esempio istruttivo.
[5] Un’interessante teoria della potenzializzazione come necessità funzionale percepita in ambito organizzativo si trova in Andersen e Pors [2016]; per una prima applicazione al campo dell’educazione si veda Andersen, Knudsen e Sandager [2022], da cui riprendo anche la formula qui citata.
[6] Questo è ciò che in vari lavori Archer [per es. 2009] ha definito l’imperativo riflessivo. Tornerò su questo punto in un successivo paragrafo del presente capitolo.