I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c3
Prescindendo, per il momento, dalle scelte esegetiche operate in proposito dalla giurisprudenza (su cui v. infra, parag. 3.2.), va sottolineato come in dottrina si sia manifestato anche il convincimento che sarebbe stato «compito... francamente impossibile indicare come esatta l’una o l’altra interpretazione»
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di una norma così approssimativa. Evidentemente non a torto, se lo stesso legislatore ha ritenuto opportuno, poco tempo dopo, intervenire nuovamente nella materia con un disegno di legge di interpretazione autentica, di ispirazione governativa (d.d.l. n. 2229 del 31 marzo 1978, meglio noto come «leggina Scotti»), con il quale si chiariva che obbiettivo della disciplina dettata dall’art. 2 della legge n. 91 era stato proprio quello di colpire l’incidenza della
¶{p. 247}contingenza sulla dinamica d’incremento degli scatti di anzianità. Anche in questo caso, peraltro, la tentazione di sovrapporre una direttiva legislativa alle scelte dell’autonomia collettiva è risultata quasi irresistibile. Il disegno di legge, infatti, non si limitava a ribadire l’illegittimità del ricalcolo degli aumenti periodici sugli incrementi di contingenza, secondo la lettura, tutto sommato, più plausibile della disciplina legislativa vigente; ma aggiungeva il divieto nuovo di computare la contingenza nella base di calcolo degli scatti di anzianità, accedendo, in tal modo, all’interpretazione c.d. «massimizzante». E siccome, una volta preso l’abbrivo, è difficile fermare la corsa, non stupirà che, in sede di commissione Lavoro della Camera dei deputati, tale interpretazione sia stata spinta all’eccesso, innestandovisi l’ulteriore proibizione di computare la contingenza anche nella base di calcolo di «qualsiasi altro elemento della retribuzione»
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.
La ricostruzione della specifica vicenda, comunque, sarebbe incompleta se non si ricordasse che l’iniziativa legislativa poteva, in qualche modo, ritenersi avallata da orientamenti emersi in proposito nel movimento sindacale. É stato puntualmente osservato
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come, nello spazio di tempo corrente fra la presentazione del disegno di legge Scotti e la discussione dello stesso in commissione Lavoro, le confederazioni avessero elaborato un impegnativo documento di politica salariale nel quale si poteva leggere il proponimento di mantenere «l’indicizzazione sul costo della vita... per il minimo potere d’acquisto rappresentato dall’indennità di contingenza», superando «le indicizzazioni rispetto al costo della vita delle altre quote di retribuzione»
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. La proposta appariva sicuramente rivolta agli scatti di anzianità (e, forse, anche ad altre voci retributive). Pur tuttavia non sarebbe sufficiente a liquidare le ragioni dell’opposizione sindacale alla «leggina», e il successivo abbandono della stessa da parte del governo, come frutto di un banale giuoco delle parti, essendo, viceversa, del tutto manifesta, dal punto di vista sindacale, la differenza qualitativa esistente fra una disponibilità da spendere al tavolo della trattativa nel contesto di un equilibrato scambio contrattuale (come, in effetti, ¶{p. 248}avverrà nel corso dei rinnovi contrattuali del 1979: v. retro parag. 1) e la sottrazione coattiva di una rilevante risorsa negoziale.
Abortita come disciplina positiva, la «leggina Scotti» merita, comunque, di essere ancora oggi ricordata come l’esempio, forse più macroscopico, di ingerenza del legislatore negli equilibri posti dall’autonomia collettiva. Non a caso proprio rispetto ad essa è stato osservato che «un modo per interferire nell’attività contrattuale fino, al limite, a renderla priva di qualsiasi effettività, è anche quello di dichiarare nulli i contenuti di contratti collettivi in atto o futuri»
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: un ammonimento, questo, sul quale sarà necessario tornare più avanti.
c) L’insieme di norme legislative sin qui esaminate si presta ad una necessaria valutazione anche sotto il profilo dell’effettività rispetto agli obiettivi prefissati: più agevole nei confronti di quelle comprese nel secondo gruppo, assai problematica, in verità, quanto a quelle del primo. Appare estremamente arduo, in effetti, se non praticamente impossibile, giudicare il grado di effettività di normative, quali quelle relative alla corresponsione della contingenza in Bpt o al «taglio» dei punti di scala mobile, emanate con specifiche finalità antinflattive. Non solo, e non tanto, perché l’eventuale raggiungimento dell’obbiettivo (abbassamento del tasso di inflazione) può dipendere, comunque, dalla concomitanza di altri fattori, il cui peso relativo è sempre opinabilmente valutabile; quanto soprattutto perché discipline del genere si presentano, in qualche modo, come autoconcluse, una volta che si convenga sulla premessa che scopo del legislatore non sia stato quello di comprimere indiscriminatamente la dinamica retributiva, ma soltanto quella parte di essa, automaticamente dipendente dagli incrementi del costo della vita, ritenuta concausa di inflazione. Da questo punto di vista, in altre parole, il verificarsi di processi compensativi di derivazione collettiva o, più verosimilmente, sul piano del rapporto individuale, sarebbe di scarsa importanza.
L’osservazione, a ben guardare, appare estensibile alla legge abolitrice delle scale mobili «anomale». In questo caso, infatti, la manifestazione di processi compensativi di carattere individuale, pur tempestivamente denunciata
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, ha contribuito a sottolineare ulteriormente l’insussistente finalità perequativa della normativa, ¶{p. 249}ma non a smentirne fino in fondo la ratio ispiratrice, se ha fondamento la tesi secondo la quale l’avversione datoriale ai meccanismi di indicizzazione è funzionale non soltanto ad obbiettivi di contenimento dei costi del lavoro, ma anche di recupero di spazi di discrezionalità nell’erogazione degli aumenti retributivi.
Il successo dei tentativi di eliminazione degli automatismi «composti», viceversa, appare direttamente proporzionale al grado di consenso suscitato presso le parti sociali. Il divieto di rivalutazione degli scatti di anzianità sulla base degli incrementi di contingenza (ammesso che effettivamente sia rintracciabile in una disposizione di legge) è divenuto norma «vivente» del nostro sistema contrattuale, ad esempio, solo a partire dal momento in cui è maturato attorno ad esso uno specifico interesse sindacale (sulle ragioni del quale si v. retro parag. 1): in genere espressosi nel corso dei rinnovi contrattuali di categoria del 1979, ma, in taluni settori, anche in tempi successivi
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. Non sono mancate, peraltro, forme di elusione della (presunta) disciplina legislativa e anche aperte manifestazioni di dissenso. Fra le prime possono ricordarsi quelle regolamentazioni collettive le quali hanno introdotto il divieto di ricalcolo, stabilendo, contemporaneamente e con risultato economico sostanzialmente equivalente a quello che sarebbe disceso dal ricalcolo vietato, l’obbligo di rivalutare gli scatti sulla base di un elemento retributivo convenzionale (accordo 29 maggio 1978 per i dipendenti da aziende municipalizzate, poi ripreso dal ccnl 19 dicembre 1979 per gli elettrici municipalizzati)
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; oppure quelle altre che, più semplicemente, sono ricorse all’espediente di aumentare gli scatti di anzianità di una cifra pari a quella che sarebbe derivata dal ricalcolo (ccnl 18 dicembre 1980 per i dipendenti da imprese a partecipazione statale di trasporto aereo e gestione aeroportuale). Un esempio delle seconde può senz’altro rintracciarsi nel ccnl 13 aprile 1981 per i dirigenti di imprese indu¶{p. 250}striali il quale, oltre a contenere una disciplina di scala mobile di discutibile legittimità
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, riproduce, senza preoccuparsi di adottare accorgimento alcuno, la clausola relativa al ricalcolo degli scatti sull’indennità di contingenza.
Quanto all’indennità di anzianità, è noto come l’esclusione della contingenza dalla sua base di calcolo, imposta dalla legge n. 91/1977, sia stata ampiamente disattesa in sede di contrattazione aziendale
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. La disciplina del nuovo trattamento di fine rapporto, per parte sua, potrebbe rivelarsi dotata, alla prova dei fatti, di una compattezza assai meno granitica di quanto si sarebbe portati a ritenere. Elusioni della normativa legale, infatti, appaiono praticabili non tanto attraverso la contrattazione individuale
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, laddove, ad esempio, si concordi la corresponsione di un trattamento di fine rapporto aggiuntivo come corrispettivo specifico delle dimissioni del dipendente, di legittimità, in sé, difficilmente contestabile; quanto proprio mediante la norma collettiva. Si pensi al recente accordo nazionale 15 novembre 1984 per gli operai dell’edilizia che, sfruttando l’esistenza presso le Casse edili di cospicui avanzi delle gestioni relative alla c.d. Anzianità Professionale Edile, ha introdotto la disciplina di una particolare indennità, erogabile in connessione al pensionamento, di importo, a seconda dei casi, anche superiore a quello del T.F.R. propriamente detto.
La tassatività della normativa legale, ai sensi della quale una regolamentazione quale quella appena descritta dovrebbe ¶{p. 251}senz’altro considerarsi illegittima, se è vero che obbiettivo del legislatore è stato anche quello di vietare «l’istituzione di trattamenti collaterali ed integrativi, talora semplici duplicazioni»
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del trattamento di fine rapporto, mostra, in tal modo, di cedere a fronte di una concorde volontà elusiva delle parti collettive. Confermandosi, ancora una volta, la solidità delle ragioni di chi ha osservato come, in materia retributiva, «i “tetti” varranno e saranno imposti come limite cogente solo alle categorie e strati più deboli di lavoratori, divenendo, invece, sempre più permeabili, fino a scomparire del tutto, man mano che si sale verso le categorie e strati dotati di maggior forza contrattuale»
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.
3. Giurisprudenza e costo del lavoro
3.1. La giurisprudenza costituzionale
Prima di misurarsi con i numerosi problemi di legittimità connessi alle normative sin qui esaminate, la Corte costituzionale aveva già avuto modo di esprimere alcuni importanti orientamenti in tema di indicizzazione dei salari e, più in generale, di concezione giuridica della retribuzione. Di essi sembra opportuno dare preliminarmente conto, perché costituiranno il punto di riferimento per la risoluzione di parte almeno delle questioni di costituzionalità poste dagli interventi del legislatore in materia retributiva.
Un primo indirizzo è stato formulato dalla Corte con riguardo — si è ritenuto — alla conformità a costituzione dei diversi, possibili sistemi di indicizzazione delle retribuzioni
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. Chiamata a giudicare della legittimità di una legge della provincia di Bolzano, regolante un’indennità integrativa speciale più favorevole di quella in vigore nel settore statale, la Corte ha ribadito la potestà delle regioni a statuto speciale e delle provincie autonome di attribuire ai propri dipendenti trattamenti retributivi differenziati rispetto a quelli in atto nel pubblico impiego statale
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, purché ciò
¶{p. 252}non avvenga in modo arbitrario, evitandosi dai legislatori locali di tenere nella debita considerazione «termini sicuri e comuni di raffronto fra situazioni omogenee». Situazione omogenea, sembra di capire, a parere della Corte può senz’altro essere ritenuta la perdita di potere d’acquisto provocata in tutte le retribuzioni dall’erosione inflazionistica, come tale da fronteggiare «per definizione... in una maniera equivalente per tutti i lavoratori indipendentemente dalla retribuzione da ciascuno percepita». Dall’affermazione di principio, per la verità, si potrebbero far discendere conseguenze diverse da quelle che sembra aver tratto la Corte, sostenendosi, non senza fondamento, che la possibilità di contrastare l’andamento dell’inflazione in maniera equivalente per tutti i lavoratori, mediante un meccanismo di indicizzazione, è offerta proprio da quei sistemi di scala mobile (c.d. anomali) che garantiscono a ciascuno un incremento di retribuzione proporzionale all’incremento del costo della vita. La decisione della Corte, viceversa, s’è mossa, almeno apparentemente, in tutt’altra direzione, nel senso di ritenere, anche sulla base del disposto contenuto nell’art. 2 della legge n. 91/1977, classificabile addirittura «fra le norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica» il principio «per cui il trattamento di contingenza deve essere, in linea di massima, comune per tutti i lavoratori interessati e comunque contenuto entro certi limiti». E poiché l’affermazione è stata corroborata da un riferimento al criterio perequativo ricavabile dal combinato disposto degli artt. 3 e 36 Cost, in sé probabilmente neanche necessario
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, si è creduto di potervi leggere una più generale assunzione di «posizione... sulla funzione della contingenza, elevandosene la corresponsione in cifra uguale per tutti non solo a principio generale dell’ordinamento, ma addirittura a forma costituzionalmente necessaria»
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. La {p. 253}deduzione, peraltro, pare alquanto forzata, frutto di un equivoco forse ingenerato dal riferimento alle disposizioni della legge n. 91 nella sentenza della Consulta: la quale non si trovava affatto a giudicare di un meccanismo di scala mobile a percentuale e, quindi, nessuna opinione può aver inteso esprimere rispetto ad essi, ma di un sistema di indicizzazione in cifra fissa eguale per tutti, con valore intrinseco del punto, però, lievemente superiore a quello adottato per i dipendenti statali. Si comprende, allora, come il nucleo «forte» della decisione vada ricercato non nell’assunto per cui il trattamento di contingenza deve essere «comune per tutti i lavoratori interessati», circostanza che per la Corte, ben consapevole che proprio la legge n. 91 ha lasciato in vita meccanismi differenziati di indicizzazione, deve verificarsi solo in linea di massima; ma nel rilievo per cui quel trattamento deve comunque essere contenuto entro certi limiti.
Note
[113] Alleva, Automatismi, cit., p. 100. L’a., peraltro, ha successivamente mutato opinione (ne Il tramonto, cit., p. 431 ss.), sposando la prima delle alternative interpretative indicate. Nel senso che «il problema resti praticamente insolubile con gli strumenti dell’ermeneutica» si v. anche Mazzamuto, L’intervento legislativo, cit., p. 146.
[114] Sull’intero episodio cfr., in generale, le valutazioni di Giugni, op. ult. cit.
[115] Cfr. ancora Giugni, op. ult. cit., p. 367.
[116] Garavini, Relazione, cit.
[117] Giugni, op. ult. cit., p. 369.
[118] Da Mazzamuto e Tosi, Il costo del lavoro, cit., p. 324, con riferimento anche alla normativa relativa alla corresponsione della contingenza in Bpt.
[119] Si pensi, ad esempio, al settore commerciale, dove l’art. 72 del ccnl 17 dicembre 1979 conferma la precedente disciplina del ricalcolo degli scatti di anzianità sugli incrementi di contingenza: per l’illegittimità di tale clausola contrattuale si v. D’Avossa, Contratto del Commercio. Commentario, Milano, Ipsoa Informatica, 1983, p. 99 s. Il successivo ccnl 18 marzo 1983, riformulando ampiamente la normativa relativa agli scatti, ha provveduto anche ad abolire la previsione di ricalcolo.
[121] La regolamentazione collettiva prevede infatti un punto di valore superiore a quello adottato nel settore industriale, accompagnato, però, da una cadenza degli scatti più ampia (semestrale): sui problemi di legittimità di tale disciplina si v. Alleva, Legislazione e contrattazione collettiva nel 1980-1981, in «Giornale dir. lav. e rel. ind.», 1981, p. 685.
[122] Cfr. Ferraro, Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela, Padova, CEDAM, 1981, p. 349, anche per riferimenti a soluzioni atipiche dettate da alcuni contratti nazionali.
[123] Come pare temere Mariucci, La contrattazione collettiva, cit., p. 319. In effetti i particolari compensi attribuiti a singoli dipendenti per incentivarne le dimissioni appaiono erogati in base a una causa propria, diversa dal titolo per cui viene corrisposto il trattamento di fine rapporto. In questo senso possono senz’altro ritenersi di perdurante legittimità, in quanto rientranti fra «quelle indennità che hanno una finalizzazione specifica inconfondibilmente connessa alle peculiari condizioni di risoluzione del rapporto (ad es. indennità dirette a favorire l’esodo anticipato)»: così Giugni, De Luca Tamajo e Ferraro, op. cit., p. 301.
[124] Giugni, De Luca Tamajo e Ferraro, op. cit., p. 298.
[125] Alleva, op. ult. cit., p. 686.
[126] Corte cost., 20 aprile 1978, n. 45, in «Riv. giur. lav.», 1978, II, p. 740.
[127] Il principio era stato appena affermato da Corte cost., 20 marzo 1978, n. in «Giur. cost.», 1978, I, p.458, con riferimento al trattamento retributivo del personale della regione siciliana, in base alla considerazione che «non esiste attualmente un principio dell’ordinamento giuridico dello Stato od una norma fondamentale delle riforme economico-sociali, in tema di retribuzioni del pubblico impiego, da cui possa trarsi un limite che sia in grado di operare nei confronti della competenza legislativa primaria delle regioni a statuto speciale».
[128] Si v., in questo senso, D’Atena, A prima lettura, in «Giur. cost.», 1978, 1, p. 529 e già Id., Regioni, eguaglianza e coerenza dell’ordinamento. (Alla ricerca di principi generali in materia di indicizzazione delle retribuzioni), ivi, 1977, I, p. 1291 ss.
[129] Treu, Problemi giuridici della retribuzione, in «Giornale dir. lav. e rel. ind.», 1980, p. 11.