Umberto Romagnoli
Contrattazione e partecipazione
DOI: 10.1401/9788815374950/c3
Ciò apparve chiaro quando ci si accorse che la pro­messa di «collaborare» non poteva essere mantenuta esclusivamente in funzione del premio di produzione, sia perché «non incentivante, divenuto un fatto normale nel­l’odierna società, oramai sentito come un diritto», sia perché «l’interesse economico non è molla di altri interessi» [11]
. Allo scopo di ricercare e far scattare questa «molla», «noi il discorso della CM l’abbiamo fatto un po’ su tutti i fronti, e questo ha fatto confusione. In­fatti non abbiamo chiarito se noi volevamo fare questa CM su contenuti tecnici (come in effetti l’accordo dice, stabilendo che ci saremmo consultati su problemi atti­nenti agli incrementi di produttività); o se invece la vo­levamo fare in materia di rapporti umani, di regole di convivenza all’interno dell’azienda (come pure è scritto nell’accordo, e come di fatto spesso è avvenuto), cioè di accettabilità umana della logica del lavoro in comune (...). In questa mancanza di chiarezza intorno agli oggetti della
{p. 58} partecipazione può avvenire di tutto» [12]
. Può avvenire, come di fatto è avvenuto, che si tenti di controllare e dirigere i fattori umani al fine di reintegrare la persona­lità dell’uomo nella sua figura di lavoratore, in quanto lo richiede la necessità di accrescere l’efficienza della pro­duzione; che si pretenda di superare l’alienazione del la­voro entro i limiti dell’alienazione del lavoro, promuo­vendo un processo motivazionale di identificazione del lavoratore con la sua azienda, considerata come un grup­po sociale e, tramite questo, con la società considerata come un tutto; che si elaborino nuovi e più efficaci sim­boli per giustificare il potere spettante all’imprenditore; che si cerchi di stimolare il «desiderio» dei lavoratori di partecipare alla soluzione dei problemi produttivi, un desiderio di porsi al servizio dell’organizzazione «nella speranza di influenzarne gli obiettivi per conformarli più strettamente ai propri» [13]
; che si tenda, insomma, a vin­cere «la dolente riluttanza dei dipendenti a svolgere con impegno spontaneo le loro monotone mansioni», arricchendo il lavoro «di qualcosa di più di un incentivo economico» [14]
.
Finché si è continuato ad assegnare una funzione de­miurgica al premio di produzione e all’ideologia della produttività di cui esso è espressione, il sindacato è ri­masto una realtà estranea: uno «spettatore» o, nella migliore delle ipotesi, un «consumatore», certamente non un protagonista della CM. Senonché, la direzione della Bassetti non poteva ragionevolmente prevedere di resistere a lungo di fronte alla pressione che i sindacati avrebbero, in progresso di tempo, esercitato per affermarsi, all’interno dell’azienda, come strumento tenden­zialmente unico del controllo operaio sulla gestione tec­nico-produttiva dell’azienda.{p. 59}
«Non credo che si possa parlare con le maestranze senza l’assistenza dei sindacati», ha avuto occasione di affermare un qualificato collaboratore di Bassetti [15]
. Nep­pure Bassetti lo ha mai creduto seriamente: soltanto, si preoccupava di studiare la possibilità di costringere i sin­dacati a intraprendere una più ampia e soprattutto più moderna battaglia culturale e politica rinnovando la lea­dership operaia. Un’istanza emersa dai lavori del conve­gno di Stresa («vorremmo essere finalmente motrice e non rimorchio, ottenere e non veder concesso senza ri­chiesta») non trova, infatti, né impreparato né dissen­ziente il Bassetti. Questi non ha difficoltà ad ammettere di aver organizzato un «gioco delle parti» ed avverte: «Noi non possiamo farvi crescere su certi argomenti, siete voi che dovete crescere e noi possiamo soltanto far da levatrici». Ma l’attesa «maturazione delle per­sone» non giunge: «ultimamente siamo stati criticati, perché come oggetto di consultazione mista portavamo sempre dei motivi direzionali: abbiamo fatto il tentativo di lasciare portare a loro [ai rappresentanti del personale membri del comitato] direttamente dei problemi, ma dopo tre riunioni possiamo considerare naufragato que­sto esperimento» [16]
. D’altra parte, in un confronto me­ramente pacifico, che non va oltre lo scambio di opinioni, il personale è destinato a soccombere, non solo perché agisce in condizioni istituzionalmente subalterne, ma an­che perché non sa e non vuol sapere.
Il comitato di CM non ha che il potere del dialogo, ma il dialogo non è fonte di potere. Sarà appunto per colmare questo «vuoto» che nel 1965 si assisterà al c.d rilancio della CM su basi schiettamente sindacali [17]
.
Note
[11] Verbale della Tavola rotonda sindacale interna del 2 marzo 1962, cit.
[12] Intervento di Bassetti nella discussione sul tema La CM, svol­tasi in seno al Comitato Direttori (= CD) del 10 dicembre 1962.
[13] A questa componente del sistema motivazionale corrente assegna un rilievo centrale (e, perciò stesso, esagerato) il Galbraith, Il nuovo Stato industriale, cit., pp. 113 ss., 230, 233.
[14] Mills, Colletti bianchi. La classe media americana, trad. it., To­rino, 1966, pp. 310-313.
[15] Intervento di uno dei direttori della Bassetti nel corso della di­scussione svoltasi nell’àmbito del CD del 10 dicembre 1962.
[16] Intervento di uno dei direttori della Bassetti nel corso della discussione svoltasi nell’àmbito del CD il 10 dicembre 1962.
[17] V. Parte II, nn. 5-6.