Andrea M. Maccarini (a cura di)
Character skills e didattica digitale
DOI: 10.1401/9788815374615/a1
In merito a questo elemento è importante evidenziare due aspetti: in primo luogo la scarsa autorevolezza e capacità di governance che in alcuni casi gli insegnanti hanno manifestato rispetto alla classe. In secondo luogo, anche, una limitata curiosità da parte degli allievi nei confronti di una attività innovativa e meno curricolare. A tutto ciò è possibile, inoltre, aggiungere un’ulteriore riflessione: è naturale che i tipi di attività richiesti dal progetto (la narrazione di sé e la riflessione sui contesti; il gioco come esperienza didattica) siano stati percepiti dagli studenti in modi diversi: per alcuni si è trattato di un’opportunità, di un’esperienza nuova che ha suscitato interesse e slancio. Per altri invece si è trattato di un semplice «dovere» scolastico, svolto in modo forse anche adeguato dal punto di vista formale ma senza particolare coinvolgimento. Infine, per altri ancora si è trattato di uno sconvolgimento di una routine scolastica, rispetto al quale i giovani si sono talora percepiti come inadeguati e non efficaci. In relazione a questi comportamenti degli studenti, è evidente che l’atteggiamento degli insegnanti ha svolto un ruolo cruciale. Abbiamo osservato infatti al riguardo, soprattutto tra gli insegnanti con classi poco motivate, due posizioni prevalenti e ben diverse: la prima è stata quella di coloro che hanno dedicato tempo a spiegare il progetto, a rassicurare gli studenti, a motivarli, arginando in tal modo le possibili defezioni; la seconda posizione è tipica invece di coloro che hanno a loro volta quasi subìto il progetto stesso, organizzandolo sul piano formale ma senza spendersi in attività di sostegno e accompagnamento. Non disponiamo d’informazioni dirette per poter meglio definire le cause di questa polarizzazione tra docenti. In linea generale, tuttavia, partendo dalle informazioni di contesto circa i singoli istituti, dai focus groups e dalle interviste realizzate con i dirigenti,
{p. 186}possiamo ipotizzare che un ruolo rilevante sia stato giocato dalla mancata cooperazione e collaborazione all’interno del gruppo docente, dalla gestione non ottimale della leadership da parte del dirigente, dal carico e sovraccarico didattico, di progetti e di attività istituzionali in capo a pochi docenti. Molto probabilmente è da questi elementi che è scaturito un quadro come quello appena descritto, dal punto di vista della partecipazione.
Come già notato nel capitolo primo, ogni traccia sollecitava la narrazione riflessiva dello studente, diventando l’occasione per raccontare qualcosa su di sé, su ciò che sta a cuore, di cui si ha timore o speranza, su ciò che piace e per cui si ha passione; per manifestare dubbi e critiche a sé stessi, alla scuola, alla famiglia, agli amici.
I materiali raccolti con lo storytelling sono stati trattati in modalità differenti. Sono dapprima esaminati secondo una classica analisi del contenuto. Sono poi stati ulteriormente processati attraverso il software Alceste (Analyse des Lexèmes Co-occurents dans les Énoncés d’un TExt). Si tratta di uno strumento attraverso il quale è possibile realizzare un’analisi dei materiali testuali, applicando a essi una metodologia statistico-testuale finalizzata all’analisi del discorso. A partire da un corpus testuale, adeguatamente preparato dal ricercatore, è possibile effettuare un’analisi dettagliata dei «vocabolari tipici» di diverse classi di significato, che si costruiscono attraverso una ricognizione sull’intero corpus. La nostra analisi ha proceduto nel modo seguente:
a) creazione di tre corpus testuali, uno per ogni traccia dello storytelling, comprensivo di tutte le narrazioni di tutte le scuole;
b) analisi specifica su ognuna delle tracce tematiche.
I risultati sono stati esposti nel capitolo terzo.
Infine, i testi in questione sono stati reinterpretati alla luce dei modi della riflessività, secondo la teorizzazione di Archer. Quest’ultima analisi è servita, poi, per incrociare i modi riflessivi con le SES di studenti e studentesse.

4. Che cosa sono i «serious games»: «Il viaggio nel tempo di Urul»

Passiamo ora a illustrare il secondo strumento per la rilevazione delle informazioni tra gli studenti: il serious game. Tale esperienza è stata proposta a partire dall’idea che una tecnica come questa potesse qualificarsi come risorsa per favorire la riflessione su aspetti critici della relazione educativa e mettere {p. 187}sotto osservazione le SES in una forma innovativa e non convenzionale. Uno dei vantaggi dei serious games risiede poi nella loro flessibilità e applicabilità a situazioni, obbligate nel caso in questione, in cui sia particolarmente importante disporre di strumenti d’indagine online.
Abbiamo chiarito nel capitolo primo che alla radice di questa opzione metodologico-tecnica sta un interesse latente. La didattica digitale nelle sue varie forme può essere considerata come una sorta di grande «variabile interveniente» che accelera mutamenti e tendenze di lungo periodo, in qualche modo già in atto. La tecnologia entra in misura crescente nei processi di socializzazione/educazione, anche in ambiente scolastico. Ciò rende particolarmente interessante impiegare nel nostro studio strumenti non tradizionali.
Nel nostro caso, il gioco è stato lo strumento attraverso il quale sono state osservate le tre SES selezionate: Cooperazione tra pari, Passione per gli obiettivi e Resistenza allo stress. Il gioco è stato progettato e realizzato ad hoc per esplorare queste specifiche competenze, in collaborazione con il Politecnico di Torino, la start-up torinese Tonic Minds e Fondazione Links. Tale collaborazione ha coinvolto anche gli aspetti tecnici, estremamente importanti, relativi alla somministrazione, ossia all’effettivo svolgimento delle partite. La scelta del tipo di gioco e la sua costruzione sono state guidate da vari contributi di ricerca sull’argomento. La decisione di adottare un serious game ha preso spunto dai contributi sulla cosiddetta gamification. È, anzitutto, essenziale un passaggio chiarificatore che distingua gamification e serious game. L’espressione gamification si utilizza per riferirsi a interventi in ambito educativo e organizzativo aventi la finalità di conseguire un risultato utile (ma talora anche osservabile e misurabile) attraverso una tecnica di gioco. Si tratta cioè di un’esperienza di apprendimento o di valutazione di competenze (per rimanere nell’ambito educativo), che viene realizzata attraverso la simulazione di un gioco predisposto ad hoc. La teoria più diffusa e condivisa quando si parla di gamification è la cosiddetta elemental theory [Werbach 2014], secondo cui essa consiste nell’utilizzo di elementi tipici dei giochi in contesti non ludici. In altre parole, essa rappresenta il tentativo di rendere più gradevoli anche le attività più ordinarie che un determinato individuo deve svolgere. A partire da queste considerazioni occorre specificare la differenza tra un gioco completo (full game), serious game e gamification. Si definiscono full games i prodotti il cui obiettivo {p. 188}si riduce al puro intrattenimento del giocatore; si definiscono serious games i giochi formativi, in cui le componenti educativa e ludica sono attentamente bilanciate; infine, si definisce propriamente gamification l’intervento che presenta caratteristiche mutuate dai giochi, come punti e livelli, che vengono applicati a contesti di non-gioco per scopi diversi da quelli di un prodotto d’intrattenimento. In quest’ultimo caso, quindi, cambia il fine del gioco, che non è l’intrattenimento o il divertimento ma un elemento diverso, che tuttavia viene reso più godibile e interessante [Deterding et al. 2011]. Nel caso delle SES, alcuni autori hanno condotto esperienze di gamification e serious game applicate soprattutto in ambito educativo e aziendale [Adhiatma, Rahayu e Fachrunnisa 2019]. La prima vera rassegna della letteratura su questi temi in ambito educativo si ha con lo studio di Fiona Fui-Hoon Nah, Qing Zeng, Venkata Rajasekhar Telaprolu, Abhishek Padmanabhuni Ayyappa e Brenda Eschenbrenner del 2014. Questa rassegna prende in esame interventi applicati ai più vari contesti educativi, dalle scuole primarie all’università, nonché per fini diversi, che spaziano dagli apprendimenti curricolari di alcune discipline all’implementazione delle SES. Ai fini della nostra riflessione sono utili in modo particolare alcuni spunti. Lo studio di Betts, Bal e Betts [2013] descrive un’esperienza mirata all’apprendimento cooperativo attraverso uno strumento denominato Curatr. I risultati mostrano, tuttavia, una mancanza di relazione tra i punteggi ottenuti nel gioco e l’effettiva competenza/conoscenza/esperienza – diversamente osservata e misurata. Tutto ciò indica che è necessaria prudenza sia nell’adozione dello strumento, sia nell’interpretazione dei suoi esiti. Un altro esempio è lo studio di Brewer e colleghi [2013], che si è concentrato su un esperimento di gamification applicato ai bambini. Per questo segmento di popolazione studentesca è stato necessario introdurre nel gioco un sistema di punteggi e ricompense/premialità per favorire la partecipazione e la motivazione. Il sistema delle premialità pare avere esiti positivi anche rispetto agli apprendimenti, come notano De Freitas e Routledge [2013]. Gibson e colleghi [2013] hanno evidenziato inoltre un incremento della motivazione, partecipazione, performance e apprendimento se esso è agganciato a punteggi e classifiche (il che evidenzia l’efficacia di ambienti competitivi, anche quando per ottenere il risultato occorre passare attraverso logiche cooperative di squadra).
È sulla scorta di questa pur rapida rassegna della letteratura che abbiamo identificato i seguenti otto elementi – già indicati {p. 189}nel capitolo primo – che possono essere considerati essenziali per una esperienza di serious game applicata al contesto educativo.
1) Punteggi: il sistema dei punteggi assegnati durante il gioco e alla fine della sessione di gioco motiva gli apprendimenti e incrementa i risultati. I punteggi sono percepiti come ricompense e come indicatori del proprio posizionamento rispetto al compito assegnato, quindi hanno a che fare con i meccanismi reputazionali. Nel caso del gioco applicato alle scuole selezionate per la nostra ricerca è stato applicato un sistema di punteggi, sia parziali per singola partita, sia totali, cioè dopo giochi ripetuti.
2) Livelli: l’introduzione di diversi livelli nell’architettura del gioco è utile per dare ai giocatori il senso della progressione nel gioco stesso e nella sua complessità. Il livello iniziale richiede minori sforzi e meno tempo per passare al livello successivo rispetto a quanto non accada con i livelli medio-alti. Man mano che si sale nei livelli vengono anche richieste competenze più sofisticate. Anche questo elemento è stato introdotto nel nostro gioco.
3) Badge: questi sono utilizzati come forme di apprezzamento/riconoscimento tra giocatori nel processo verso il raggiungimento dell’obiettivo. Il possesso di un badge mantiene la motivazione del giocatore da un livello all’altro. Nel nostro gioco, questo elemento è stato inserito nella forma dei «ruoli» di Esploratore/trice e Guida.
4) Classifiche: le classifiche servono a un duplice obiettivo. Da un lato mantengono alta la motivazione dei giocatori, mentre dall’altro creano un senso di coinvolgimento nel gioco, ma anche di competizione tra pari o tra gruppi di pari. In genere il sistema delle classifiche indica pubblicamente solo i nomi di coloro che si posizionano nelle prime 3 o 5 posizioni. Questa cautela evita gli effetti di scoraggiamento di coloro che sono collocati nella parte bassa nella classifica. Questo elemento è stato inserito nel game, prevedendo dei nickname per le scuole che ne garantissero il reciproco anonimato.
5) Premi e ricompense: l’utilizzo di premi e ricompense è indicato come essenziale per la motivazione dei giocatori. In generale l’esperienza di ricerca empirica evidenzia una maggiore efficacia di molteplici piccole ricompense piuttosto che di una sola grande ricompensa finale. Se la ricompensa è visibile agli altri – per esempio attraverso un carattere identificativo, come una stelletta su un’uniforme, da cui si originano alcuni benefits{p. 190}questo aumenta la competizione. Per il gioco oggetto della ricerca è stato utilizzato il sistema della ricompensa finale, consistente in una uscita didattica di orienteering.
6) Progress bars: sono utilizzate per visualizzare i progressi compiuti, non livello per livello ma complessivamente nel gioco. Queste aiutano nella motivazione in vista del raggiungimento di obiettivi e ricompense secondarie. Inoltre, contrastano la disaffezione al gioco e la demotivazione derivante da risultati non positivi. Anche questo elemento è stato incluso nel nostro gioco.
7) Storyline: serve a informare e aggiornare i giocatori sull’andamento della storia del gioco e a mantenere costante il loro impegno. La storia inoltre contribuisce a sviluppare strategie di problem solving e a calarle realisticamente nell’esperienza di vita vissuta (oppure a operare una traslazione o comparazione). Per questo è stata inclusa nel gioco.
8) Feedback: sono utili se frequenti, istantanei, chiari, per mantenere il coinvolgimento attivo dei partecipanti. Tale elemento è stato incluso nel gioco, causando però effetti più di disturbo e rumore di fondo che non di coinvolgimento attivo.
Il gioco creato ad hoc per questa indagine è «Il viaggio nel tempo di Urul» [2]
ed è stato articolato in partite, squadre, ruoli e obiettivi. Si tratta di un gioco online, da fare a squadre, ambientato in un castello medievale ma con un tematismo orientato al futuro. Urul è il personaggio fantastico della storia, arriva dall’anno 3025 e ha incontrato i ragazzi in una dimensione temporale fluida, che dal presente li ha portati prima nel futuro, lasciando traccia nelle divise spaziali, e poi indietro nel tempo, nel lontano 1400. La figura A1 dà un’idea di come apparisse il personaggio.
I giocatori sono esploratori spaziali (fig. A2), arrivati nel castello con un salto temporale. I giocatori sono ora intrappolati nel castello, che è pieno di stanze, cioè in un labirinto apparentemente senza uscita, e devono escogitare una strategia per uscire dal castello e ritornare nella dimensione reale. Il punto è arrivare alla stanza più remota del castello, dove Urul è rimasto intrappolato con la «macchina del tempo», e far ripartire il dispositivo temporale.
I giocatori all’interno della stessa squadra si distinguono in Guide ed Esploratori/trici. Le Guide visualizzano sullo schermo del PC la mappa dell’interno del castello, mentre gli Esplora
{p. 191}tori/trici si trovano tridimensionalmente all’interno del castello e devono, istruiti dalle Guide su come muoversi, raccogliere diamanti disseminati nelle varie stanze e raggiungere la stanza in cui è ubicata la macchina del tempo, che consentirà loro di rifare a rovescio il salto temporale, tornando nella propria epoca. I giocatori, visualizzati nel gioco come avatar e con dei nickname, indossano tute spaziali che sembrano provenire dal futuro, sono distanti l’uno dall’altro e non possono vedersi, né conoscere la loro reale identità. Possono soltanto comunicare tra loro tramite {p. 192}il dispositivo di scrittura istantanea, non possono quindi usare la voce (che avrebbe svelato l’identità).
Note
[2] Il gioco è raggiungibile al seguente link: https://urul.it/.