Stefano Daniele
Il chierico, il medico, il santo
DOI: 10.1401/9788815412072/p3

Prologo

Lo sputo di un uomo digiuno è più energico di quello emesso da uno sazio; allo stesso modo che l’immaginazione di chi prega è più fervida di quella di un rassegnato. Effervescente, tanto da screpolare la scorza del mondo; trasformarne la materia. Lo sosteneva il filosofo Pietro Pomponazzi, nel suo De incantationibus (cap. 3, nr. 12) [1]
. Era il 1520. A dire il vero, l’idea precorreva l’opera di quasi duemila anni e, nel tempo, aveva dato vita a una tradizione coriacea e ramificata. Aristotele credeva che le donne che si fossero specchiate durante il ciclo mestruale, avrebbero macchiato la superficie dell’oggetto di una nebbiolina sanguigna, che sarebbe fuoriuscita dai loro occhi sotto forma di vapore (De insomniis, 459b 23-460a 23) [2]
. A Roma, Plinio il Vecchio diffuse una credenza affine: gli Illiri e i Triballi, che abitavano le attuali penisola balcanica e Serbia sud-orientale, «uccidono quelli che fissano a lungo, soprattutto se lo fanno con occhi adirati» (Naturalis historia, lib. VII, cap. 2) [3]
. In epoca medievale, Tommaso d’Aquino persistette nell’idea che i vapori prodottisi nel corpo di una vetula ed esalati attraverso il suo sguardo, avrebbero potuto raggiungere per mezzo dell’aria il corpo di chi vi si fosse trovato di fronte {p. 16}e modificarlo (Summa theologiae, I, q. 117, a. 3, s. 2). La dottrina perdurò nella prima età moderna: nella Germania protestante, tornò a genio agli inquisitori Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, autori del Malleus maleficarum (1486), per giustificare le presunte malefatte di donne, la cui unica colpa era quella di avere gli occhi cisposi (17B-18D) [4]
.
Nello scritto sugli incantesimi, Pietro Pomponazzi richiamava la teoria della vis imaginationis a proposito di un evento che si verificò nel cielo sopra l’Aquila, capoluogo dell’Abruzzo Ultra, decima provincia del Regno di Napoli. Erano i giorni tra l’11 e il 12 giugno 1520 [5]
. Quell’anno, l’estate doveva ritardare ad arrivare: una ferraiola di nubi temporalesche avvolgeva la città e la sommergeva di piogge torrenziali [6]
. All’ora del vespro, i devoti della chiesa di Santa Maria di Collemaggio, che ospitava il mausoleo con le reliquie di san Celestino, invocarono l’intercessione del santo. Pregarono. Pregarono fino a quando i nembi si diradarono. Poi, nell’aria elettrica, prese forma una sagoma umana. Un’agiografia di quasi un secolo successiva ai fatti asserisce che l’uomo indossava un «camise bianco, et una pianeta de diversi colori, in testa teneva il camauro, o diadema papale, che ha tre corone, con la verga pastorale nella sinistra; nella destra pur teneva un privilegio grande, {p. 17}nel quale erano lettere de diversi colori» [7]
. Quei simboli fugavano ogni dubbio: l’immagine nebulizzata era quella di san Celestino, il patrono della città; l’eremita che visse da papa il tempo di una foglia (dal 29 agosto al 13 dicembre del 1294) [8]
. In bilico su rotaie aeriformi, percorse per tre volte il frontone dell’edificio sacro; volò fino alla cella campanaria, da cui pendevano tre squille. Con un martello massiccio e dalla bocca larga, colpì due volte quella di mezzo – tant’è che, continuava l’agiografo: «sino a questi tempi si dice, che resta una virtù in quella campana per quell’occasione, che col suono di quella si scacciano e sgombrano i folgori, e le tempeste» [9]
. Poi, evaporò in una nuvola bianca.
Tutti gridarono al miracolo. Pietro Pomponazzi volò basso: individuò nell’immaginazione creatrice la causa del fenomeno; quindi, tentò di riportare l’accaduto nel serpentaio della natura o, per usare un’espressione di Guido Giglioni, nelle maglie di un «rigoroso sistema fisico-teologico» [10]
. Così, circa i fatti verificatisi nel giugno del 1520, sopra il cielo dell’Aquila, risolveva:
se le preghiere degli Aquilani non fossero state altrettanto intense di quanto effettivamente furono e se non fossero scaturite a quel modo dal profondo del cuore, forse le piogge non sarebbero state scacciate altrettanto rapidamente. Per tale motivo è usanza dire che le preghiere, per avere effetto, devono venire dal profondo del cuore ed essere fervide, perché in tal modo gli spiriti sono maggiormente impressionati e acquisiscono maggiore potenza sulla materia [...] come lo sputo di un uomo adirato e il sibilo di un serpente è più potente di quello di un uomo o di un serpente che non è adirato. Da ciò risulta inoltre chiaro in che modo {p. 18}l’immagine del divino Celestino sia potuta apparire a l’Aquila e nell’abbazia a lui dedicata o nei suoi pressi. Quei vapori erano infatti modellati secondo l’immagine del divino Celestino; una volta impressionati secondo quella immagine, essi potevano modellare l’aria con la medesima figura [...]. La figura del divino Celestino ha poi potuto permanere per un certo tempo, perché l’aria era piuttosto spessa e capace di trattenere l’immagine a causa della pioggia (cap. 12, nrr. 20-21) [11]
.
Si era trattato di un «caso di intensa perspirazione collettiva, quindi di un fenomeno di meteorologia» – nel senso che i peripatetici attribuivano al termine, si intende [12]
. Nonostante tutto, tale spiegazione non avrebbe dovuto minacciare il carattere religioso dell’evento; in un’altra pagina, l’autore incoraggiava: «non dobbiamo mai astenerci dal pregare» [13]
.
Il potere dell’immaginazione è il tema che il presente libro intende indagare. L’area geografica che si prenderà in considerazione è il Regno di Napoli e l’estremo cronologico, il Settecento. L’obiettivo sarà comprendere lo spazio e le modalità d’azione che gli uomini del posto e del periodo, in particolare i medici, i chierici e i teologi, attribuirono a questa forza, nel tentativo di definire il confine tra l’ordine naturale e l’ordine soprannaturale del reale. L’indagine sarà condotta su un caso particolare e strutturata come una microstoria. Nelle parole di Giovanni Levi, tra i fondatori e più vivi promotori di questo indirizzo storiografico, «la pratica microstorica si basa essenzialmente sulla riduzione della scala di osservazione, su un’analisi microscopica e su uno studio intensivo del materiale documentario» [14]
.{p. 19}
La riduzione della scala di osservazione consentirà di ripercorrere un momento di snodo nella vita di un giovane studente dell’ordine dei Chierici Regolari Minori, di stanza presso il monastero di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, a Napoli. Lì, il fraticello, considerato spacciato dal medico della casa, vide in sogno il venerabile Francesco Caracciolo. Al risveglio, si ritrovò del tutto risanato. Si trattò di un miracolo o la guarigione fu favorita dalla veemente immaginazione del giovane? Per parafrasare un altro fondatore dell’indirizzo microstorico, Carlo Ginzburg, si tratterà di sviluppare in forma di libro quella che per un altro studioso avrebbe potuto essere non più che una semplice nota a piè di pagina in un’ipotetica monografia sulla santità di età moderna a Napoli [15]
.
Disattendendo le attese che il titolo della presente ricerca potrebbe creare, si rende da subito noto che, nelle pagine che seguiranno, il santo – in quanto personaggio storico e autore di scritti teologici [16]
– sarà perlopiù assente. Un convitato di pietra che, nelle vicende che si narreranno, manifesterà la sua purtuttavia costante presenza ai devoti, in spirito o materializzato in un’immagine [17]
. Secondariamente, tale scelta tradisce una presa di posizione piuttosto netta rispetto al «problema metodologico centrale» sollevato da Peter Burke: «la necessità di decidere se i santi s’abbiano a considerare come testimoni dell’epoca in cui sono vissuti, oppure di quella in cui sono stati canonizzati» [18]
. Si è optato per la seconda via, persuasi – al pari dello studioso – che «dal punto di vista della storia della percezione essi vadano
{p. 20}considerati soprattutto come testimoni dell’epoca in cui sono stati canonizzati» [19]
. E dato che l’interesse precipuo della presente indagine è quello di saggiare l’immaginario culturale-scientifico della Napoli di età moderna, si è deciso di dare ascolto, prima ancora che alla voce di Francesco Caracciolo, a quella dei votati che ne perpetuarono la memoria.
Note
[1] P. Pomponazzi, Le incantazioni, a cura di V. Perrone Compagni, Pisa, Edizioni della Normale, 2013, pp. 122 (uomo digiuno), 270 (uomo adirato). Il filosofo si era già confrontato con la teoria nella Quaestio an actio realis (1515), in P. Pomponazzi, Tutti i trattati peripatetici..., a cura di F. Raimondi e J.M. García Valverde, Milano, Bompiani, 2013.
[2] Cfr. Aristotele, Brevi opere di psicologia e fisiologia, in Opere biologiche, a cura di D. Lanza e M. Vegetti, Torino, Utet, 1971, p. 1165, n. 6, dove si affronta il problema dell’autenticità, o meno, del passo in questione.
[3] Gaio Plinio Secondo, Storia Naturale, vol. II, a cura di A. Borghini, E. Giannarelli et al., Torino, Einaudi, 1983, p. 19.
[4] H. Kramer e J. Sprenger, The Hammer of Witches. A Complete Translation of the «Malleus Maleficarum», a cura di C.S. Mackay, Cambridge, Camdridge University Press, 2009, pp. 113-116.
[5] L. Marini, Vita et miracoli di San Pietro del Morrone già Celestino Papa V..., In Milano, Per Giovan Battista Malatesta stampatore regio camerale, [la lettera dedicatoria segna la data 19 maggio 1630], pp. 543-550, riporta due apparizioni del santo nell’anno 1520, rispettivamente nei giorni 11 e 12 giugno. Pomponazzi pare fare una crasi degli episodi. Nonostante ciò, data la sovrabbondanza di particolari riconducibili alla seconda apparizione, è possibile che egli avesse in mente quest’ultima.
[6] Così, P. Pomponazzi, Le incantazioni, cit., p. 270. Diversamente, L. Marini, Vita et miracoli di San Pietro del Morrone già Celestino Papa V..., cit., trova nella documentazione coeva riferimenti a tutt’altre cause, come «peste, fame e guerra» (p. 543) – sebbene controlli incrociati non ne diano conferma – o il «negotio» del monastero a un cardinale (p. 547). Al contrario, riferisce che «grandissimi tuoni con grandissima copia d’acqua, che piovè quasi per il spatio d’un’hora» si videro a miracolo compiuto.
[7] L. Marini, Vita et miracoli di San Pietro del Morrone già Celestino Papa V, cit., p. 548.
[8] R. Rusconi, Celestiniana. Dal santo eremita, al santo papa, in «Sanctorum», 7 (2010), pp. 109-129, in particolare pp. 119-120.
[9] L. Marini, Vita et miracoli di San Pietro del Morrone già Celestino Papa V, cit., p. 548.
[10] G. Giglioni, Il cielo sopra l’Aquila. Pietro Pomponazzi su immaginazione e devozione popolare, in M. Sgarbi (a cura di), Pietro Pomponazzi. Tradizione e dissenso. Atti del Congresso internazionale di studi su Pietro Pomponazzi, Mantova, 23-24 ottobre 2008, Firenze, Olschki, 2010, pp. 271-283, in particolare p. 271.
[11] P. Pomponazzi, Le incantazioni, cit., pp. 270-271.
[12] G. Giglioni, Il cielo sopra l’Aquila, cit., p. 278. Su larga scala: «il disegno impersonale – e deterministico – delle cause universali si era esplicato nel mondo sublunare contraendosi alla particolarità di una vicenda individuale [...], di un “miracolo”», condensa V. Perrone Compagni, Introduzione. Maghi, demoni, profeti: alcuni temi del De incantationibus, in P. Pomponazzi, Le incantazioni, cit., pp. 9-84, in particolare p. 54.
[13] P. Pomponazzi, Le incantazioni, cit., p. 276.
[14] G. Levi, On Microhistory, in P. Burke (a cura di), New Perspectives on Historical Writing, Pennsylvania, The Pennsylvania State University Press, 2001, pp. 97-119, in particolare p. 99.
[15] C. Ginzburg, Microstoria. Due o tre cose che so di lei, in «Quaderni storici», 86 (1994), pp. 511-539, in particolare p. 522.
[16] B. Forte, Le sette stazioni sopra la Passione di nostro Signore Gesù Cristo di san Francesco Caracciolo: presentazione critica, in I. Fosi e G. Pizzorusso (a cura di), L’Ordine dei Chierici Regolari Minori (Caracciolini): religione e cultura in età postridentina, Atti del Convegno (Chieti, 11-12 aprile 2008), Casoria (Na), Loffredo, 2010, pp. 91-98.
[17] G. Galasso, L’altra Europa. Per un’antropologia storica del Mezzogiorno d’Italia, Milano, Mondadori, 1982, p. 69.
[18] P. Burke, Scene di vita quotidiana nell’Italia moderna, Roma-Bari, Laterza, 1988, p. 69 (ed. or. The Historical Anthropology of Early Modern Italy. Essays on Perception and Communication, Cambridge, Cambridge University Press, 1987).
[19] Ivi, p. 70.