Lavinia Bifulco, Maria Dodaro (a cura di)
Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c5

Capitolo quinto Finanza, welfare e vita quotidiana
di Davide Caselli, Maria Dodaro e Valentina Moiso

Notizie Autori
Davide Caselli è ricercatore in Sociologia nell’Università di Bergamo. Si occupa del ruolo della conoscenza, dell’ignoranza e dell’expertise nell’azione pubblica, di politiche sociali, lavoro sociale e processi di finanziarizzazione. Su questi temi ha pubblicato diversi articoli e il volume Esperti. Come studiarli e perché (2020). Fa parte del Collettivo per l’Economia fondamentale e del Laboratorio Welfare Pubblico.
Notizie Autori
Maria Dodaro è ricercatrice di Sociologia dei processi economici e del lavoro nell’Università di Padova. I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente i cambiamenti economici e socioistituzionali dei sistemi di welfare con attenzione alla scala locale, ai processi di finanziarizzazione, alle dinamiche di responsabilizzazione e individualizzazione, all’agency. Tra le sue pubblicazioni recenti, Unpacking the «Start-up City». Entrepreneurship, Neoliberal Governance and Local Actors Agency (2023).
Notizie Autori
Valentina Moiso è ricercatrice in Sociologia presso il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino. Nel campo della sociologia del denaro ha svolto ricerche indagando l’indebitamento familiare, l’inclusione bancaria e la finanza islamica. Tra le sue pubblicazioni, The algorithm is not an oracle. Predictive systems, youth, and social inclusion: The case of indebtedness, in «Ethnography and Qualitative Research», 1, 2023; Lavoro atipico, discontinuità di reddito, welfare e accesso al credito: il modello italiano in Europa (con S. Bertolini), in «Stato e Mercato», 2, 2020 e il contributo al volume The Making of Finance: Conventions, Devices and Regulation (2018).
Abstract
Gli autori di questo capitolo analizzano la tendenza alla finanziarizzazione del welfare e della vita quotidiana. Lʼattenzione si concentra soprattutto sul ruolo degli attori finanziari nella definizione delle politiche sociali consolidatosi durante la pandemia, sulla diffusione di specifiche razionalità economico-finanziarie e su alcune strategie di innovazione finanziaria della società civile. Queste tre prospettive risultano fondamentali per comprendere il legame tra i processi di finanziarizzazione e le trasformazioni del welfare.

1. Introduzione

Durante l’emergenza pandemica abbiamo senz’altro assistito – come ci ricordano Bifulco e Dodaro nel primo capitolo del volume – a una crisi del primato del mercato come principio ordinatore della vita quotidiana prima ancora che delle politiche di welfare. Un primato che si era precedentemente rafforzato attraverso i processi di finanziarizzazione intesi come il ruolo crescente di logiche, mercati, attori e istituzioni finanziarie in diversi campi dell’azione pubblica, del welfare e della vita quotidiana di fasce sempre più ampie della popolazione [Caselli e Dagnes 2018; Martin 2002; van der Zwan 2014]. Si tratta di processi che si saldano alle tendenze più generali di trasformazione del welfare già discusse nel primo capitolo, in particolare le spinte alla responsabilizzazione, desocializzazione e depoliticizzazione. L’importanza crescente accordata ad attori esterni, non soggetti a vincoli di responsabilità, nella definizione delle politiche di welfare, e lo slittamento delle questioni dalla sfera pubblica a quella privata, dalla dimensione sociale a quella individuale/morale, sono alcune delle modalità operative qui richiamate e attraverso cui la finanziarizzazione si inserisce in dinamiche più generali.
Il capitolo analizza il rapporto tra finanza, welfare e vita quotidiana con uno sguardo principalmente rivolto alle tendenze di lungo corso, ma attento anche a quanto avvenuto durante le fasi più acute della pandemia. Nel nodo tra questioni economiche e diritti si gioca anche in questo caso la partita più importante, una partita non solo {p. 86}conoscitiva, ma soprattutto politica: l’equilibrio tra sfera economica e diritti di cittadinanza sociale. Rispetto a questi processi, cercheremo di cogliere gli elementi di continuità e quelli di rottura, prestando particolare attenzione alle trasformazioni dell’azione pubblica e alle concezioni della cittadinanza (economica e sociale) che vi sono implicate. A questo proposito, guarderemo a tre questioni che ci paiono particolarmente rilevanti: il ruolo delle fondazioni di origine bancaria e la diffusione di strategie di inclusione finanziaria nelle politiche sociali, e lo sviluppo di alcune iniziative di innovazione finanziaria da parte di soggetti della società civile.

2. Finanziarizzazione e trasformazioni dell’azione pubblica

Il crescente ruolo di attori e discorsi provenienti dal settore finanziario all’interno delle politiche di welfare è fenomeno complesso e sfaccettato, dibattuto a livello internazionale [Chiapello e Knoll 2020] e la cui rilevanza nel contesto italiano è crescente, sia nella realtà che nelle analisi delle scienze sociali [Caselli e Dagnes 2018; Ciarini 2018; Bifulco e Caselli 2022; Lofranco e Zanotelli 2022]. Rispetto a tale ampiezza e complessità, il presente paragrafo si focalizza su un attore specifico, le fondazioni di origine bancaria (FOB) e quello che ci sembra un importante salto di qualità nella loro azione, ovvero il loro protagonismo diretto nella costruzione, nel governo e nell’implementazione delle politiche pubbliche. Si tratta di una radicalizzazione sia della natura ambivalente del rapporto tra FOB e poteri pubblici sia, più nello specifico, del ruolo delle FOB nelle politiche sociali. È bene infatti ricordare l’origine di questo particolare tipo di fondazioni, nate all’inizio degli anni Novanta come strumento della privatizzazione del settore bancario nazionale [Pastori e Zagrebelski 2011] e caratterizzato da una natura ibrida data dal posizionamento all’intersezione tra Stato, mercato e società civile (ciascuno dei quali detiene un importante potere di nomina nei propri CdA). Le FOB nacquero infatti come «enti conferenti» cui le Casse di {p. 87}risparmio trasferirono la proprietà delle loro azioni perché le collocassero progressivamente sul mercato. Le erogazioni filantropiche interessano dunque l’utile ricavato dalla gestione di questo importante patrimonio trasferito dalle Casse di risparmio alle FOB. Assieme all’arte, alla cultura e allo sviluppo locale, gli interventi nel settore dell’assistenza sociale e dell’educazione rappresentano uno dei loro campi elettivi di azione, cui è stato storicamente destinato tra il 20 e il 25% del totale delle erogazioni. Le FOB, lungo tutta la loro storia, hanno fornito al settore un contributo importante, per quanto incomparabile quantitativamente con quello pubblico, in termini economici (nell’ultimo decennio le erogazioni complessive si sono stabilizzate tra i 950 milioni e il miliardo di euro, con circa 300 milioni di euro annualmente destinato ai settori riconducibili alle politiche di welfare). Oltre al sostegno economico, le FOB hanno avuto un importante ruolo dal punto di vista culturale, introducendo modelli di finanziamento, di rendicontazione e di intervento nuovi per il settore e che si sono spesso sviluppati in contemporanea, o addirittura come precursori, di quelli adottati dalla pubblica amministrazione. Con il passare degli anni, le FOB hanno infatti definito in maniera sempre più decisa la propria azione nei termini di proposta e sperimentazione di nuove modalità di concezione e di pratica degli interventi sociali, «al servizio» di un’innovazione che avrebbe poi dovuto essere valutata ed eventualmente adottata dal settore pubblico. Da qui la durata temporale limitata dei bandi e il susseguirsi piuttosto serrato di nuove linee di finanziamento e modalità erogative (per esempio attraverso la pubblicazione di bandi finalizzati ad agire su determinati problemi e secondo determinate linee di intervento per qualche anno, sostituiti poi da un nuovo bando che promuove diversi tipi di intervento su diversi tipi di problematiche: coesione sociale, innovazione sociale, welfare di comunità, povertà educativa – per non citare che le più rilevanti).
Un punto di svolta nel rapporto tra FOB e pubblica amministrazione può essere individuato nel biennio 2008 e il 2010, in una fase di ridefinizione del rapporto pubblico-{p. 88}privato nel welfare italiano in seguito alla crisi finanziaria globale e all’avvio delle politiche di austerità. È infatti in questo contesto che il rapporto annuale del 2010 di ACRI, l’ente di rappresentanza delle FOB, dedica un capitolo (intitolato Le fondazioni e il welfare di comunità) alla dichiarazione di una vera e propria strategia egemonica nei confronti delle politiche pubbliche, secondo la quale
data la genesi e il percorso di sviluppo delle Fob in Italia, la politica è destinata a restare a lungo una presenza ingombrante. Un modo efficace per opporre resistenza a questo ingombro è quello di arginare la politica facendo leva sul suo punto più debole: quello delle capacità progettuali, della elaborazione di visioni, obiettivi e strumenti che forniscono risposte ai bisogni e alle preoccupazioni della collettività, nelle sue articolazioni territoriali [ACRI 2010, 181-182].
Un orientamento di questo tipo veniva del resto già realizzato negli stessi anni con l’istituzionalizzazione dei fondi immobiliari per la produzione di case a prezzi accessibili per il ceto medio (housing sociale). Inaugurata in Lombardia da Fondazione Cariplo attraverso la Fondazione Housing Sociale (suo ente strumentale), questa strategia viene raccolta dal governo nazionale prima con il Piano casa (2008) e poi con il Piano nazionale per l’edilizia abitativa (2009), attraverso l’istituzione del sistema integrato dei fondi immobiliari (SIF), a sua volta basato sul Fondo investimenti per l’abitare (FIA). In questa vicenda, le FOB non solo hanno visto riconosciuto attraverso una forte azione di lobbying il proprio modello di intervento [Fondazioni. Periodico delle Fondazioni di origine bancaria 2011] orientato alla «finanziarizzazione della casa sociale» [Fontana e Lareno 2015; 2017], ma sono anche diventate attori economici centrali di questa nuova politica per la casa, con la partecipazione al FIA sia attraverso investimenti diretti che attraverso la partecipazione a Cassa depositi e prestiti (CDP). Proprio l’investimento nei fondi immobiliari per l’housing sociale permette di introdurre un ulteriore importante passaggio avvenuto in quegli anni nell’azione delle FOB, ovvero l’inversione del rapporto tra erogazioni e investimenti correlati {p. 89}alla missione (MRI). Se le prime – corrispondenti ai finanziamenti a fondo perduto – scendono in termini assoluti dai 1.715 milioni del 2007 ai 911,9 milioni del 2012 (per poi stabilizzarsi su questa cifra nel decennio successivo), i secondi – corrispondenti alla quota di patrimonio che le FOB investono allo scopo di ottenere una remunerazione in programmi e progetti selezionati in base alla coerenza con i loro valori fondamentali – aumentano vertiginosamente passando dai 3.236 del 2009 (il primo anno in cui vengono rilevati dai Rapporti ACRI) ai 4.556 del 2014. Registriamo dunque uno spostamento nell’azione che le FOB indirizzano al sostegno del benessere e dello sviluppo della comunità dall’impiego di strumenti che prevedono donazioni a fondo perduto a strumenti ibridi e in ogni caso finalizzati a produrre un ritorno sull’investimento (un terzo dei quali è tra l’altro impiegato proprio in Cassa depositi e prestiti e nella partecipazione ai fondi immobiliari dell’housing sociale).
Questi tre elementi – l’enunciazione programmatica di una strategia egemonica, l’istituzionalizzazione a livello nazionale di una sperimentazione locale e la crescita di modalità di perseguimento della missione sociale attraverso investimenti di capitale – ci sembrano rappresentare importanti trasformazioni del rapporto tra FOB e politiche pubbliche. Delineano infatti uno scenario nuovo, in cui le fondazioni sono riconosciute come attore legittimo a ispirare politiche pubbliche orientate alla soluzione dei problemi sociali attraverso meccanismi di mercato (fondi immobiliari per l’housing sociale), investono un volume crescente di patrimonio in queste politiche e si propongono di guidarle scommettendo esplicitamente sulla debole capacità di visione e azione dell’attore pubblico. Così, il ruolo di cofinanziatori delle politiche e di sperimentatori di nuove soluzioni da una posizione di minoranza inizia ad andar loro stretto e, mentre l’housing sociale si consolida come il settore principale d’azione in questo senso, altri campi del welfare offrono opportunità per sviluppare questa nuova ambizione.
È in questa luce che pare necessario leggere l’esperienza del Fondo di contrasto alla povertà educativa minorile (FCPEM), istituito dal governo con l’articolo 392 della legge
{p. 90}208/2015. Come stabilito da un protocollo di intesa tra presidente del Consiglio dei ministri, ministro dell’Economia e delle Finanze, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali e presidente di ACRI, a sua volta previsto dalla legge stessa, il governo del Fondo è affidato a un comitato di indirizzo strategico, presieduto da un rappresentante del governo, dove sono rappresentati in modo paritetico il governo, le organizzazioni di Terzo settore e le FOB e sono presenti rappresentanti di INAPP e Istituto Einaudi per l’Economia e la Finanza. La gestione del Fondo è affidata all’Impresa sociale con i bambini (CIB) SRL, completamente partecipata da Fondazione con il Sud, a sua volta partecipata in maniera decisiva dalle fondazioni di origine bancaria. Secondo i dati riportati dal sito di CIB SRL, il fondo ha raccolto per il triennio 2016-2018 360 milioni di euro versati dalle FOB in cambio di un credito di imposta del 75% (fino a un massimo di 100 milioni l’anno) dunque 270 milioni, da parte dello Stato. Nel quadriennio successivo si registrano altri 247 milioni, con un credito di imposta del 65% (fino a un massimo di 55 milioni l’anno) e dunque 160,55 milioni di contributo pubblico. Per il 2023 e il 2024 si torna a un credito di imposta del 75% (fino a un massimo di 45 milioni l’anno): quindi si può immaginare circa 120 ulteriori milioni, di cui 90 pubblici. Complessivamente, dunque la dotazione del fondo si attesta attorno ai 727 milioni in nove anni, di cui circa 520 finanziati dal pubblico attraverso credito di imposta.
Note