Lavinia Bifulco, Maria Dodaro (a cura di)
Quale welfare dopo la pandemia?
DOI: 10.1401/9788815412003/c2

Capitolo secondo Le disuguaglianze socioeconomiche e lo Stato sociale
di Elena Granaglia

Notizie Autori
Elena Granaglia è professoressa di Scienza delle finanze, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di RomaTre. Si occupa del rapporto fra giustizia distributiva, efficienza e disegno delle politiche sociali. Tra le sue ultime pubblicazioni, Uguaglianza di opportunità. Sì, ma quale? (2022). È membro del coordinamento del Forum Disuguaglianze Diversità e della redazione del Menabò di Etica ed Economia.
Abstract
Questo capitolo analizza le disuguaglianze socioeconomiche italiane allʼarrivo del Covid-19, concentrandosi poi sulle soluzioni da adottare per affrontare le sfide conseguenti. Contemporaneamente, nel corso della discussione, emergono i nuovi rischi di disuguaglianza scaturiti proprio dallʼemergenza pandemica. Lʼautrice mette inoltre in guardia nei confronti della complessità del necessario rafforzamento dellʼuniversalismo del welfare e dei diritti sociali.

1. Introduzione

La crisi generata dal Coronavirus ha avuto effetti contenuti sull’andamento della disuguaglianza nei redditi disponibili sia nel nostro paese sia nell’Unione Europea. Per l’Italia, l’ISTAT [2022] rileva nel 2020 un incremento di 0,4 punti percentuali dell’indice di Gini. Il valore appare costante negli anni successivi. Determinante è stato il cambiamento avvenuto nelle politiche, che si è caratterizzato per una forte espansione nel numero e nell’entità degli interventi di sostegno rispetto a quanto fatto durante la crisi iniziata nel 2007.
Questa evidenza non deve, tuttavia, portarci a trascurare l’elevatezza del valore, ulteriormente incrementato dall’aggiustamento campionario operato da Banca d’Italia [2022] per meglio rilevare le famiglie benestanti. L’aggiustamento ha aumentato l’indice di Gini del reddito disponibile di ben 7 punti e quello del reddito disponibile equivalente di 6,2 [1]
. La sostanziale stabilità dell’indice va riconosciuta, di fronte alla retorica della crescita incessante di tutte le disuguaglianze, ma lo stesso vale per l’elevatezza. Inoltre, la disuguaglianza del reddito disponibile è solo una delle disuguaglianze con cui confrontarsi.
Focalizzandosi sul caso italiano, questo capitolo offre, dapprima, una sintetica panoramica del complesso delle disuguaglianze socioeconomiche ereditate allo scoppio del Covid e dei nuovi rischi da esso prodotti e, successivamente, alcune indicazioni di rafforzamento dello Stato sociale che potrebbero contribuire alla loro diminuzione.{p. 30}

2. Il peso delle disuguaglianze socioeconomiche ereditate e i nuovi rischi prodotti dal Covid

2.1. Le disuguaglianze di reddito e di ricchezza oltre il reddito disponibile

Il reddito disponibile è tipicamente considerato l’indicatore più attendibile di benessere economico, rilevando quanto i singoli effettivamente detengono dopo avere pagato le imposte e ricevuto eventuali trasferimenti. Il reddito disponibile, però, è tipicamente calcolato con riferimento alla famiglia: nulla dice rispetto alla ripartizione del reddito all’interno della famiglia. Al riguardo, Karagiannaki e Burchardt [2020] riportano come ben un quarto del tasso di deprivazione materiale in Europa sarebbe attribuibile alle disuguaglianze interne alla famiglia e la penalizzazione concerne chi meno contribuisce al reddito di mercato, in primis, le donne, date le tante discriminazioni che ancora ne limitano l’accesso al mercato del lavoro.
La disuguaglianza di reddito disponibile, inoltre, riflette in misura solo indiretta la disuguaglianza di reddito generata nei mercati. In Italia, quest’ultima si colloca, anch’essa, a un livello fra i più alti dei paesi Ocse. Il lavoro riceve meno della metà del valore aggiunto prodotto. Dentro la quota che va al lavoro, le disuguaglianze nelle retribuzioni annuali sono altresì elevate, con oltre il 30% dei lavoratori dipendenti a bassa retribuzione che guadagna meno di 12.000 euro all’anno [Bavaro e Raitano 2023]. All’interno dei redditi da capitale, è da segnalare il forte incremento dei redditi immobiliari, arrivati, nel 2019, al 12,7% del PIL [Bordignon, Neri e Orlando 2023]. Infine, considerando i redditi di mercato complessivi, siamo entrati nella pandemia registrando il progressivo miglioramento al top della distribuzione: il top 10% si appropria di più del 10% del reddito prodotto e lo 0,1% del 4,8% [Guzzardi et al. 2022] [2]
.
Anche limitandosi al piano monetario, il reddito è poi solo una delle risorse da considerare cui va aggiunta la {p. 31}ricchezza. Considerando il periodo 1995-2016, Acciari, Alvaredo e Morelli [2021] rilevano l’incremento della quota detenuta dal 10% più ricco e, dentro tale quota, dallo 0,1% passato a detenere il 9,3% della ricchezza complessiva (nel 1995, la quota era 5,5%) e ancor più dal top 0,01% (i 5.000 adulti più ricchi, che hanno visto triplicare la loro ricchezza). Al contrario, la quota detenuta dal 50% più povero scende dall’11,7 al 3,5%. Seppure in misura minore, scende anche la quota del restante 40% della popolazione. Secondo la Banca d’Italia [2018] nel quinto più povero della popolazione ordinata per reddito equivalente, l’80% delle persone che vivevano in una famiglia con persona di riferimento di età inferiore a 65 anni non aveva, nel 2016, risparmi sufficienti per mantenersi al di sopra della soglia di povertà per più di nove settimane.

2.2. Le disuguaglianze di capacità oltre alle disuguaglianze monetarie

Come ben insegnano Sen e Nussbaum [3]
, le risorse monetarie sono solo mezzi rispetto a ciò che in definitiva conta, ossia accedere a un insieme di capacità fondamentali alla formazione e al perseguimento dei diversi piani di vita. Tali capacità includono la possibilità di accedere a una base di benessere economico rispetto alla quale reddito e ricchezza sono centrali. Includono, altresì, la possibilità di accedere a condizioni quali essere istruiti, essere curati, avere un’abitazione, vivere in un ambiente naturale/fisico/culturale decente, praticare la socialità, esercitare diritti di voce/agency, abbiano essi a che fare con gli spazi individuali o collettivi della nostra esistenza, e accedervi ai medesimi termini degli altri in quanto tutti degni di uguale considerazione e rispetto. Per realizzarle, non bastano reddito e ricchezza, contano anche la disponibilità di servizi sociali e il più complessivo contesto sociale.{p. 32}
Le capacità, a loro volta, richiedono co-realizzazione (una capacità non può essere barattata per un’altra) e, spesso, si fertilizzano reciprocamente. Le disuguaglianze di istruzione, ambientali e nella qualità del lavoro influenzano, ad esempio, le disuguaglianze di salute, mentre le disuguaglianze nell’accesso ai servizi per l’infanzia influenzano le disuguaglianze di istruzione e di accesso al lavoro.
Misurare compiutamente le disuguaglianze di capacità è irto di difficoltà. Alcune indicazioni (ancorché parziali) sono, però, possibili. Nel nostro paese, i segnali di disuguaglianza nelle capacità prima dello scoppio del Covid erano tanti, segnati, a loro volta, da ulteriori e profonde disuguaglianze territoriali, fra generi e generazioni. Limitandomi ad alcune evidenze, entriamo nella pandemia con una dispersione scolastica (esplicita, nella forma dell’abbandono, e implicita, nella forma delle basse competenze) che, seppure in discesa negli ultimi anni, colpiva più del 20% degli studenti con punte che superavano abbondantemente il 30% nelle Regioni del Sud e nelle Isole [Ricci 2019]. Tra gli alunni stranieri, il tasso di abbandono era tre volte quello degli italiani e anche per gli alunni italiani il peso della stratificazione sociale è netto [Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza 2022; Ballarino e Bernardi 2020].
Seppure in crescita, il tasso di occupazione era nel 2019 il penultimo più basso nell’Unione Europea. I giovani nella fascia 15-29 anni coinvolti né nel lavoro né nello studio si avvicinano a uno su cinque con punte che superavano il 30% nel Mezzogiorno. Al contempo, un cittadino espatriato su tre era giovane e metà dei giovani che espatriavano erano laureati o con titolo di studio superiore, nonostante il basso numero di laureati nel nostro paese. L’incidenza del part-time involontario era doppia rispetto alla media europea e quella del lavoro a tempo determinato era superiore di quasi sei punti alla media dell’Unione, mentre il lavoro irregolare era stimato coinvolgere tre milioni di persone. Nel 2019, il già basso numero di famiglie bi-reddito era addirittura leggermente diminuito, segnalando le persistenti difficoltà per le donne di coniugare cura e lavoro.{p. 33}
L’Italia arriva poi alla crisi generata dal Coronavirus con un SSN segnato da un generale indebolimento e, entro questo indebolimento, da persistenti disuguaglianze territoriali nell’accesso ai livelli essenziali di assistenza [Vicarelli e Spina 2020]. Le disuguaglianze di salute a danno dei soggetti provenienti dai contesti più svantaggiati restavano peraltro alte anche laddove le dotazioni di servizi erano più omogenee [Saitto e Cosentino 2022].

2.3. Le disuguaglianze oltre la misura di Gini

Infine, la misura di Gini ha alcuni limiti intrinseci. Innanzitutto, è relativa. Informa sulla distribuzione, non sulla dimensione, della torta. Ciò significa che la disuguaglianza è la stessa se in una collettività di 3 persone, il più povero prendesse 10, il soggetto al centro 35 e il più ricco 55 oppure se le stesse persone prendessero 100, 350 e 550. Per chi sta peggio, però, prendere 10 oppure 100 non è lo stesso. La questione è particolarmente rilevante in un paese come l’Italia dove, ancora poco prima dello scoppio della pandemia, il reddito medio a parità di potere d’acquisto restava inferiore a quello del 2006 e i salari medi, sempre in termini reali, erano più bassi di quanto lo fossero vent’anni prima. Detto in altri termini, quando la torta diminuisce anche una disuguaglianza stabile può essere problematica.
La misura di Gini, inoltre, è aggregata. Potrebbe restare la stessa pur in presenza di cambiamenti in parti diverse della distribuzione: ad esempio, qualora un aumento della disuguaglianza nella parte alta si accompagni ad una diminuzione nella parte bassa. Tende, peraltro, a dare più peso ai cambiamenti al centro della distribuzione anziché a quelli agli estremi.
La misura di Gini, infine, non informa su chi occupa le diverse posizioni, se siano, nel tempo, gli stessi soggetti oppure no, ossia se vi sia persistenza o mobilità e, in caso di mobilità, se la direzione sia verso l’alto o il basso. Nulla ci dice poi sulla mobilità intergenerazionale. Negli ultimi
{p. 34}decenni, ad esempio, abbiamo assistito allo scivolamento nei decili più bassi di operai e di impiegati, che prima occupavano posizioni più elevate, e abbiamo registrato segnali di minore mobilità intragenerazionale [Raitano e Subioli 2022] e di crescenti disuguaglianze intergenerazionali, nonostante i livelli di partenza già elevati [Cannari e D’Alessio 2018].
Note
[1] La nuova metodologia è applicata solo ai dati del 2020. Non permette pertanto confronti con il passato.
[2] I dati si riferiscono al 2015.
[3] Sulla nozione di capacità, cfr. Sen e Nussbaum e fra i tanti lavori di entrambi, cfr. Sen [1992] e Nussbaum [2000].