Massimo Roccella
I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c2

Capitolo secondo Nozioni e struttura della retribuzione

1. Introduzione. Frammentazione della struttura del salario nell’evoluzione storica dell’istituto

I problemi di struttura del salario (e dello stesso concetto di retribuzione) sono tornati a rivestire, da qualche anno, rilievo centrale nel nostro diritto del lavoro. A differenza degli anni ’50 [1]
, quando un’abbondantissima produzione dottrinale, espressa per lo più in forma di note a sentenza [2]
, fu motivata soprattutto da esigenze di qualificazione dogmatica di singoli emolumenti presenti nella busta-paga (o corrisposti al di fuori di qualsiasi previsione contrattuale) [3]
, le ragioni attuali di un’attenzione vieppiù crescente appaiono di indole eminentemente pratica. Esse possono facilmente ricondursi — non diversamente dalla disattenzione mostrata nei confronti della dimensione minima del salario — all’ottica con cui si è guardato in questi anni alle questioni retributive, dominata da una generalizzata (e financo ossessiva) preoc{p. 98}cupazione per la crescita del costo del lavoro e le conseguenze inflazionistiche delle dinamiche salariali [4]
.
I profili di tale preoccupazione, naturalmente, non sono i medesimi nei singoli osservatori: in alcuni risulta chiaramente prevalente l’intento di restituire alla contrattazione sindacale quote di salario altrimenti rimesse all’azione di meccanismi automatici (e interagenti fra loro); in altri l’obbiettivo di fondo è direttamente legato al contenimento degli oneri salariali gravanti sui bilanci delle imprese. Convergenti, peraltro, finiscono con l’essere le critiche all’eccessiva frammentazione tuttora caratterizzante la struttura dei salari, nonché alla «potenzialità moltiplicatoria crescente» [5]
di cui si sarebbe mostrato provvisto un concetto di retribuzione ritenuto troppo vasto e, in ipotesi, contrario alle stesse indicazioni delle parti collettive.
L’esigenza pratico-contingente all’origine delle ricorrenti indagini in tema di struttura e nozione di retribuzione sembra aver indotto un qualche squilibrio nella trattazione dei problemi. È accaduto in tal modo che — al di là dell’importanza economico-quantitativa degli stessi, spesso apoditticamente affermata, ma mai corroborata da cifre e dati precisi — anche nell’analisi più strettamente giuridica sia stato utilizzato un microscopio, magari assai preciso nell’individuazione delle singole questioni, ma dotato di una lente inevitabilmente deformante. Si è creduto così di essere in presenza di «nuovi problemi della retribuzione» [6]
, di «una problematica... peculiare del diritto del lavoro italiano» [7]
, senza tener conto, quanto al secondo rilievo, che problemi di qualificazione di singole spettanze retributive e, più in generale, di definizione di un concetto di retribuzione si pongono anche in altri ordinamenti privi di una chiara e unitaria delimitazione dello {p. 99}stesso [8]
. La prima asserzione, per parte sua, va sicuramente ridimensionata: la frammentazione della struttura del salario, con i connessi problemi di qualificazione di singole voci della busta paga, costituisce un tratto caratterizzante, del nostro come di altri ordinamenti, sin dagli albori del diritto del lavoro [9]
. La problematica relativa alla definizione di un concetto giuridico di retribuzione fu poi largamente frequentata dalla giurisprudenza (ordinaria e amministrativa) [10]
e dalla contrattazione collettiva corporative: dalla prima con riferimento alla individuazione della base di calcolo dell’indennità di anzianità, dalla seconda con riguardo ai criteri di computo della tredicesima mensilità (e poi della gratifica natalizia).
Le ragioni storiche della frammentazione della struttura salariale sono largamente note e comuni a diversi contesti industriali (anche se, forse, da noi sono andate progressivamente assumendo connotati patologici). In effetti certamente «non da oggi al salano sono venuti ad aggiungersi molteplici accessori o complementi dai nomi variabili. Il termine salario non corrisponde che a una frazione dei guadagni percepiti» [11]
. In termini giuridici il fenomeno è stato rilevato traendosene la conseguenza della necessaria sostituzione del concetto di salario con quello, più comprensivo, di {p. 100}remunerazione [12]
o di retribuzione [13]
per indicare l’insieme delle erogazioni patrimoniali collegate allo svolgimento della prestazione di lavoro.
a) L’allineamento nella busta-paga, a fianco del salario o stipendio stricto sensu, di numerose altre voci variamente denominate (gratifiche, premi, indennità, maggiorazioni), rispose all’intento dei datori di lavoro, sostenuto non di rado dall’avallo di sindacati in condizioni di debolezza contrattuale, di sottrarre quote di corrispettivo delle prestazioni lavorative al pagamento dei contributi previdenziali (come pure alla base imponibile a fini fiscali), affermandone la natura di elargizione liberale. Non a caso sin dagli inizi del secolo, proprio con riferimento a una tipica questione previdenziale — definizione della base di calcolo dei contributi e delle prestazioni relativi all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro —, si rilevava che, «originairement la plupart des allocations supplémentaires, récompenses, prîmes, etc. étaient des cadeaux. Actuellement elles n’ont plus aucun des caractères de la libéralité et constituent, le plus souvent, une rétribution stipulée dans le contrat du travail ou sous-entendue», fermo restando, in ogni caso, che «le qualificatif employé pour dénommer le supplément d’indemnité ou de salaire est sans influence» [14]
.
b) Nelle singole realtà aziendali ad obbiettivi di contenimento (illecito) del costo complessivo del lavoro si sono poi sempre intrecciate non nascoste finalità di controllo unilaterale della forza-lavoro (e di gestione parimenti unilaterale della massa salariale), realizzabili anche attraverso la corresponsione selettiva e non contrattata di emolumenti di vario tipo, in funzione di divisione dell’insieme delle maestranze [15]
.{p. 101}
c) La proliferazione di elementi accessori del salario (o stipendio) base è, infine, storicamente connessa a periodi di blocco (legale o di fatto) dei salari, costituendo, in questo caso, un tipico strumento utilizzato dai sindacati per eludere divieti posti dalla legge o per cercare di tamponare, soprattutto in sede aziendale, le debolezze della contrattazione collettiva nazionale. In questo senso si ricorda ancora, ad esempio, in Francia la diffusione del fenomeno durante il periodo di blocco legale dei salari compreso fra il 1939 e il 1950 [16]
, mentre da noi l’interesse, già richiamato, dell’opinione giuridica alla specifica problematica fu particolarmente vivo durante gli anni ’50 anche in connessione con lotte sindacali di larga risonanza, se non altro perché condotte dai protagonisti, faute de mieux, con strenuo impegno, quale quella per l’ottenimento delle mense aziendali o della relativa indennità sostitutiva [17]
.
Le ragioni, qui sommariamente ricordate, di frammentazione nella composizione della busta-paga si sono andate sovrapponendo nel corso del tempo, sino a confondersi strettamente con l’evoluzione dei rapporti di lavoro salariato, come tratto caratterizzante degli stessi. Esse appaiono tuttora largamente compresenti, sia pure in misura diversa, a seconda dei differenti contesti e soprattutto delle variabili contingenze sociali e istituzionali. Meno probabilmente la prima, stante la sostanziale stabilizzazione di una nozione, ampia e analitica, di retribuzione a fini previdenziali, dovuta all’operare della giurisprudenza e, poi, all’intervento del legislatore [18]
. Maggiormente le altre, soprattutto in un periodo,
{p. 102}come l’attuale, in cui le virtù salariali del contratto collettivo nazionale appaiono fortemente logorate e la stessa contrattazione integrativa «ufficiale» formalmente vincolata al rispetto di un obbligo di tregua quanto alle rivendicazioni di indole retributiva [19]
.
Note
[1] Di problematica da anni ’50, poi «passata di moda», parla infatti Pieri, Le indennità, in Manuali di casistica giuridica - Diritto del lavoro privato subordinato, III, Torino, Utet, 1970, p. 2776.
[2] Non è un caso peraltro che le più ampie trattazioni sui problemi di struttura del salario siano contenute in due monografie dell’epoca. Ci si riferisce, ovviamente, ai saggi, assai noti, di Cassi, La retribuzione nel contratto di lavoro, Milano, Giuffré, 1954, sp. pp. 113-159 e di Guidotti, La retribuzione nel rapporto di lavoro, Milano, Giuffré, 1956, sp. pp. 213-341.
[3] Anche allora, comunque, le esigenze di ordine dogmatico non furono del tutto disgiunte da rilevanti risvolti legati a problemi di materiale concretezza: si pensi, ad esempio, alla questione relativa alla computabilità della contingenza nella base di calcolo dell’indennità di anzianità su cui v. infra ampiamente nel testo.
[4] Per spunti in questo senso cfr. Ferraro, Tendenze neocorporative e magistratura del lavoro, in «Pol. dir.», 1984, p. 298.
[5] Treu, Problemi giuridici della retriuzione, in «Giornale dir. lav. e rel. ind.», 1980, p. 38. Sostanzialmente nello stesso senso appaiono orientate, fra le tante, anche le valutazioni di Persiani, espresse in numerosi interventi ora raccolti nel volume I nuovi problemi della retribuzione, Padova, Cedam, 1982 e di L. Spagnuolo Vigorita, Torme di retribuzione. L’incidenza delle voci indennitarie sugli istituti contrattuali e di legge, in «Mass. giur. lav.», 1983, p. 187.
[6] Il riferimento, com’è ovvio, è al saggio di Persiani citato nella nota precedente.
[7] D’Antona, Le nozioni giuridiche della retribuzione, in «Giornale dir. lav. e rel. ind.», 1984, p. 269.
[8] Ad esempio nel sistema belga su cui v. Geysen, La notion de remuneration en droit belge, in «Rev. dr. soc.», 1973, p. 353, e in quello francese su cui v. Lyon-Caen, Le salaire dans le droit du travail et dans le droit de la sécurité sociale, in «Droit social», 1960, p. 612, e Les salaires, Parigi, Dalloz, 1967, pp. 151- 221. Cfr. anche Rodríguez-Sañudo, Complejidad y racionalización de la estructura del salario, in «Rev. esp. der. trab.», 1984, p. 29 ss.
[9] Cfr. Verona-Positano, Della valutazione delle mande nel salario-base, in «Contr. lav.», 1912, p. 69
[10] Sulla prima v. infra riferimenti nel testo; sulla seconda cfr. Cons. St., Par. Ag., 17 febbraio 1938, n. 56 (che esclude la computabilità dell’indennità caroviveri nella base di calcolo della buonuscita disciplinata dal r.d.l. 9 marzo 1936, n. 472); Cons. St., sez. V, 27 settembre 1940, n. 562 e sez. IV, 22 giugno 1943, n. 208 (entrambe nel senso della computabilità nell’indennità di licenziamento dell’indennità caroviveri nonché di «ogni altro emolumento, di carattere certo e continuativo, che dello stipendio abbia la sostanza giuridica ed economica», quali l’indennità di residenza, l’indennità di carica, l’indennità di guerra); Cons. St., sez. V, 8 gennaio 1943, n. 8, (che esclude l’incidenza sull’indennità di licenziamento dell’indennità di zona malarica, dei compensi per lavoro straordinario e notturno e delle trasferte perché tutti privi del requisito della continuità di corresponsione): tutte in «Mass. Compl. giur. Cons. St.» (1932-1961), p. 2246.
[11] Lyon-Caen, op. ult. cit., p. 156.
[12] Così ancora Lyon-Caen, ibidem, p. 157.
[13] Secondo la tecnica utilizzata, ad esempio, nell’immediato dopoguerra da certa giurisprudenza per ammettere il computo nella base di calcolo dell’indennità di anzianità dell’indennità di carovita, altrimenti esclusa, per espressa disposizione di legge, dalla nozione di stipendio o salario. Sul problema v. più ampiamente infra nel testo; cfr. comunque sin d’ora, in senso critico di siffatto orientamento, ritenuto frutto di un’interpretazione troppo letterale, Paroli, Sugli elementi costitutivi della retribuzione agli effetti del calcolo dell’indennità di anzianità, in «Dir. lav.», 1948, II, p. 247.
[14] Le citazioni, da autori francesi, sono in Verona-Positano, op. cit., p. 75.
[15] Cfr. Lyon-Caen, op. ult. cit., p. 173. Il rilievo è particolarmente pertinente, oltre che con riferimento agli aumenti unilaterali «di merito» (individuali o concessi a singoli gruppi di lavoratori), anche in relazione a certi emolumenti collegati alla continuità della prestazione lavorativa, per contenere l’assenteismo, ma soprattutto in chiara funzione anti-sciopero (premi di assiduità, di presenza e simili): si v., in argomento, P. Greco, Il legame lavoratore-azienda nell’ evoluzione contrattuale delle voci retributive, in «Prev. soc.», 1980, sp. p. 738, 745 ss.
[16] v. Lyon-Caen, op. ult. cit., p. 17 ss., p. 172.
[17] L’importanza, nel clima dell’epoca, della lotta sindacale per la generalizzazione del diritto alla mensa aziendale o all’indennità sostitutiva è ricordata da Foa, La struttura del salario, Roma, Alfani, 1976, p. 72: in effetti «in una fase di feroci discriminazioni antioperaie e antisindacali quella lotta ebbe un effetto positivo nell’imporre alla Confindustria il riconoscimento di tutti i sindacati, e non solo dei sindacati che le facevano comodo, come controparte». In argomento si v. anche Simoncini. Studi sulla retribuzione, Roma, Edizioni U.I.L., 1959, p. 91 ss.
[18] Da noi, com’è noto, l’evoluzione legislativa in proposito sembra aver trovato il suo definitivo assestamento con la nozione di retribuzione accolta nell’art. 12 della legge n. 153/1969. Ampie nozioni legali di salario (o stipendio) a fini previdenziali appaiono in genere diffuse anche negli ordinamenti stranieri: si v. ad es. per il Belgio, Geysen, op. cit., p.363. Il rilievo espresso nel testo non intende naturalmente sminuire la portata del fenomeno dell’evasione contributiva, riconducibile peraltro non più (o non tanto) all’esistenza di smagliature nelle norme di legge in materia, quanto alla ben diversa problematica del lavoro (e del salario) «nero».
[19] Le cronache riportano la vicenda — e non è che uno dei possibili esempi fra i tanti — di una fabbrica metalmeccanica emiliana che, dopo aver concesso nel settembre ‘80 un premio di presenza ad alcuni operai, ha attribuito nel febbraio ’82 un «premio di qualità», anch’esso strettamente legato alla presenza, agli operai di altri reparti. Più recentemente, in piena vigenza del blocco della contrattazione salariale aziendale, ha reso nota la decisione di istituire un nuovo incentivo per gli operai, calcolabile sulla base di un indice di produttività stabilito dalla direzione al di fuori di qualsiasi negoziazione col sindacato. Quanto agli impiegati «grazie ai superminimi individuali si può dire che non ne esista uno che abbia un salario uguale all’altro»: Paterlini, Soldi a pioggia, premi di qualità, ne «Il manifesto», 22 gennaio 1984. Si prescinde, per il momento, dal valutare le esatte implicazioni giuridiche dell’obbligo di tregua salariale contenuto nell’accordo interconfederale 22 gennaio 1983: in proposito cfr. Ghezzi, Più ombre che luci, in «Pol. dir.», 1983, p. 210, nonché infra, cap. III.