Giorgio Chiosso, Anna Maria Poggi, Giorgio Vittadini (a cura di)
Viaggio nelle character skills
DOI: 10.1401/9788815366962/c1
Per quanto riguarda, in modo specifico, l’insegnamento e l’apprendimento e, più in generale, la direzione della formazione scolastica, le principali questioni possono essere focalizzate intorno a tre punti principali: 1) la funzione della scuola nella società dell’informazione e della comunicazione di massa; 2) la formazione della cultura personale (ovvero:
{p. 28}la conoscenza è necessaria, ma non sufficiente); 3) la formazione critica e la professionalizzazione.
Per il primo punto, l’aumento esponenziale delle informazioni messe a disposizione di ogni singolo individuo con l’avvento di internet, non solo in senso quantitativo – database, motori di ricerca, biblioteche e testi online – ma anche formale – accesso diretto e immediato alle informazioni richieste, cambiamento dei modi, dei tempi e dei luoghi della ricerca e dello studio – solleva seri interrogativi sulla funzione della scuola come istituzione informativa e formativa e sul compito in essa svolto dai suoi agenti, in particolare gli insegnanti. Se un tempo, non molto lontano, la scuola si proponeva come unica fonte delle informazioni e delle conoscenze utili e necessarie per esprimere sé stessi e comprendere il mondo, per progredire nella scienza delle cose e per formare una visione della realtà, oggi questa funzione è messa in seria discussione dalla condizione delle nuove generazioni, immerse nella realtà virtuale e digital connected [4]
.
La pluralità delle fonti e delle «agenzie» informative, invece che suscitare inutili conflitti di competenza, può invece condurre a rinverdire il ruolo dell’istruzione come formazione di un sapere critico e competente, in grado di orientarsi fra dati, nozioni e interpretazioni e di comporle in sintesi coerenti e personali. Rientrano, in questa direzione, la valorizzazione dell’iter scolastico come costituzione di una «memoria culturale» – con rilevanti conseguenze anche sulla trasmissione complessiva della tradizione e del bagaglio culturale di un paese – la ripresa della «relazione educativa», anche e soprattutto in riferimento al rapporto con un «maestro», inteso come colui che fa e aiuta a crescere, l’intensificazione {p. 29}e il rafforzamento delle capacità logiche, di analisi e di sintesi, che consentano un approccio critico al problema, nel contesto delle posizioni e delle opinioni correnti.
Ciò porta al secondo aspetto, che è stato oggetto di ampie e differenti riflessioni, non solo ai nostri giorni, e che può essere riassunto con le parole che un grande educatore dell’Ottocento, John Henry Newman, utilizzò per definire il processo di apprendimento, ovvero la possibilità, secondo una sua metafora, di guardare il tappeto non sul retro, ove si intrecciano i fili, ma sul dritto, ove si staglia il disegno. Sostenitore della conoscenza disinteressata, come bene in sé e come cultura della mente, e convinto che «l’educazione è la comunicazione della conoscenza» [5]
, Newman non la confinò ai contenuti del sapere, ma la considerò un processo di apprensione personale, che studiò e descrisse in modo articolato e ampio e che è ben riassunto in una pagina del sesto Sermone de L’idea di università, con specifico riferimento al sapere universitario, ma con pertinenza anche al precedente sapere scolastico.
L’arricchimento – scrive Newman – consiste non soltanto nell’accoglienza passiva nella mente di un certo numero di idee che fino ad allora le erano sconosciute, ma nell’azione energica e simultanea della mente sopra, verso e in mezzo a queste nuove idee, che si riversano su di essa. È questa l’azione di una potenza formativa, che conferisce ordine e significato alla sostanza delle nostre cognizioni, è il rendere soggettivamente nostri gli oggetti della nostra conoscenza, o, per usare una parola familiare, è la digestione di quel che riceviamo, in modo da renderlo sostanza del nostro antecedente stato di pensiero, e senza di ciò non si può dire che ne consegua alcun arricchimento. Non vi è alcuna espansione mentale, a meno che non vi sia un confronto di idee l’una con l’altra, non appena si presentano dinanzi alla mente, e una loro sistematizzazione. Noi sentiamo che le nostre menti crescono non solo quando impariamo, ma riferiamo quello che impariamo a ciò che già conosciamo [6]
.{p. 30}
Questa idea di conoscenza non come semplice accumulazione quantitativa, ma come processo qualitativo che forma la mente e la porta a padroneggiare i contenuti del sapere e a «saper giudicare» offre una risposta alla questione della utilità dell’istruzione e, dunque, della sua finalità, strettamente legata al carattere professionalizzante dell’insegnamento, questione al centro di dibattiti attuali, ma altrettanto presente nelle discussioni sulla scuola negli ultimi due secoli. La soluzione ingenua che considera la scuola una variabile dipendente dal mercato del lavoro e, quindi, come strumento essenzialmente predisposto alla formazione di personale qualificato si scontra con due gravi limiti: la variabilità del mondo del lavoro e la rapida trasformazione delle attività e delle professioni – il massiccio utilizzo delle ICT durante la pandemia è destinato ad avere forti ripercussioni sul lavoro, a ogni livello – e la prevedibile necessità di fronteggiare, nei prossimi anni, situazioni complesse e non facilmente codificabili o risolvibili mediante procedure standardizzate.
In tale prospettiva il valore e la coltivazione del capitale umano [7]
, inteso come conoscenze, competenze, abilità, ma anche come sviluppo di capacità critiche e di scelte consapevoli e responsabili, risultano di fondamentale importanza e, con essi, lo sviluppo della mente e di quelle abitudini mentali, da cui derivano i comportamenti e, più in generale, la vita stessa di una società. Ciò, se per un verso risponde al criterio dell’utilità, per altro verso lo supera e pone, come altro e più vincolante criterio delle scelte in campo educativo, quello della formazione integrale della persona, nella duplice polarità che anima la sua ragione a ricercare un senso all’esistenza e a trovare i mezzi e le soluzioni per vivere e difendersi da minacce e pericoli in questo mondo [8]
. In tale «formazione integrale» devono trovare il loro giusto posto e la loro valorizzazione gli studi umanistici e scientifici, {p. 31}nella loro dimensione conoscitiva e non solo applicativa – ad esempio: la biologia e non solo l’ecologia – ovvero quelle discipline liberali, che tali sono perché, come sostenevano gli umanisti italiani del Quattrocento, rendono l’uomo libero, e, insieme, lo sviluppo delle attitudini, doti e disposizioni che costituiscono la persona e ne caratterizzano la personalità.

3. In cammino oltre la competenza

Nella formazione integrale della persona sono ricomprese le attività intellettive e quelle personali (morali e psicologiche), in quanto, nel loro complesso, esse determinano il «volto» di ciascun individuo di fronte agli altri e a sé stesso. La recente riflessione sulle non cognitive skills offre interessanti prospettive per un approccio consono alle attuali esigenze sociali, culturali e lavorative, fortemente mutate con l’introduzione delle nuove tecnologie e dei nuovi comportamenti formali che esse determinano.
Sebbene la denominazione di tali skills sia incerta fin dal sostantivo e nelle sue traduzioni dall’inglese [9]
e la loro definizione non sia unanime, si può ritenere, almeno provvisoriamente, che esse «rappresentano una combinazione dinamica di abilità cognitive e meta-cognitive, abilità interpersonali, intellettuali e pratiche accanto a valori etici. [Esse] consentono agli individui di adattarsi e di comportarsi positivamente in modo da affrontare efficacemente le sfide della vita quotidiana e professionale» [10]
.
In ambito OECD, la valutazione di tali skills ha progressivamente acquisito un posto centrale nella valutazione [11]
, {p. 32}tant’è che il Rapporto PISA 2020, rivolto alle competenze globali degli studenti, dedica particolare attenzione a quelle «capacità» che in PISA 2018. Insights and Interpretations, sono così indicate: «a strong sense of right and wrong», «a sensitivity to the claims that others make on them», «a grasp of the limits on individual and collective action», «a deep understanding of how others live, in different cultures and traditions, and how others think» [12]
(per una presentazione esauriente di altri importanti documenti internazionali rinviamo a quanto detto nel contributo di Anna Maria Poggi).
Dell’irrompere delle non cognitive skills sulla scena della formazione e dell’attenzione crescente prestata nei maggiori centri di elaborazione educativa e scolastica (ad es., come appena ricordato, l’OECD) finora poco è filtrato da noi a livello di opinione pubblica scolastica nella quale resta centrale e monolitica la convinzione che la nozione di competenza, intesa come esito tangibile della padronanza pratica del sapere, e la sua misurazione siano da considerare il baricentro di ogni progetto innovativo. Con le non cognitive skills siamo oltre questo scenario definito negli anni Novanta e centrato sull’egemonia del potenziamento cognitivo. Via via sono apparsi evidenti i limiti di questo approdo alla competenza, che rischia di restare gracile e infruttuoso se non è sostenuto dalla valorizzazione della dimensione sociale ed emotiva. In importanti documenti dell’OECD, ad esempio, è ormai esplicito il riconoscimento che «most schools are places that are both intensely social and intensely emotional» [13]
.
{p. 33}
Note
[4] A. Schleicher, To Thrive in the Digital World, Students Must Know How to Think Critically, in PISA 2018. Insights and Interpretations, OECD, 2019, https://www.oecd.org/pisa/PISA2018InsightsandInterpretations: «Students now spend about 3 hours on line outside of school on weekdays, on average, and almost 3.5 hours on line on weekend days. For young people, the digital world is becoming a sizeable part of the real world [...] Today, students will find hundreds of thousands of answers to their questions on line, and it is up to them to figure out what is true and what is false».
[5] J.H. Newman, La conoscenza come fine a se stessa, in L’idea di università, Discorso V, 6, Milano, Vita e Pensiero, 1976, p. 152.
[6] J.H. Newman, La conoscenza considerata in relazione al sapere, in L’idea di università, cit., Discorso VI, 5, p. 171.
[7] Cfr. G. Vittadini (a cura di), Capitale umano, la ricchezza dell’Europa, Milano, Guerini e Associati, 2004.
[8] R. Spaemann, Cos’è il naturale. Natura, persona, agire morale, Torino, Rosenberg & Sellier, 2012, pp. 19-24 parla, a questo proposito, di «costante antropologica» e descrive questa polarità costitutiva come «esigenza di essere libero» ed «esigenza di trovare dimora e sicurezza».
[9] Life skills, Basic skills, Weakable skills, Soft skills, Non cognitive skills/competenze trasversali, competenze sociali, capacità, abilità...
[10] La definizione è tratta da D. Haselberger, P. Oberhuemer, E. Perez, M. Cinque e F. Capasso, L’introduzione delle soft skill nelle istituzioni di istruzione superiore. Linee guida per la progettazione di contesti di apprendimento volti a favorire l’acquisizione delle soft skill, Versione 1.0, Education and Culture DG. Lifelong Learning Programme – Modes, pp. 82 e 89.
[11] OECD, Definition and Selection of Competencies: Theoretical and Conceptual Foundations (DeSeCo). Summary of the Final Report Key Competencies for a Successful Life and a Well Functioning Society, Paris, OECD Publishing, 2003. Si veda anche WHO, Life Skills Education in Schools. Skills for Life, Genève, World Health Organization, 1993. Recentemente il tema è stato riproposto nella Raccomandazione 2018/C189/0 del Consiglio europeo, 22 maggio 2018. Competenze chiave per l’apprendimento permanente 2018, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32018H0604(01) (ver. 15.7.2020). In Italia, un primo approccio al problema si trova nel Rapporto Isfol 2012. Le competenze per l’occupazione e la crescita, Roma, ISFOL, 2012.
[12] A. Schleicher, PISA 2018. Insights and Interpretations, cit.
[13] O.P. John e F. De Fruit, Social and Emotional Skills Framework for the Longitudinal Study of Skills Development in Cities, Paris, OECD, 2015.