Marina Calloni (a cura di)
Pandemocrazia
DOI: 10.1401/9788815411297/c2

Capitolo secondo Sfera pubblica e comunicazione politica al tempo delle piattaforme, di Luca Corchia

Notizie Autori
Luca Corchia è ricercatore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Chieti-Pescara. I suoi interessi scientifici vertono sulla storia del pensiero sociale, le teorie sociologiche contemporanee e le trasformazioni della sfera pubblica politica. Tra i suoi recenti lavori si ricordano la traduzione del testo di Habermas, Una storia della filosofia (con W. Privitera, 2022-2024). È membro del direttivo del Seminario Riles, del seminario di Teoria critica, della sezione «Teorie sociologiche e Trasformazioni sociali», Ais. È Research Associate dell’Officina Bourdieu, del MediaLaB – Big Data in Social & Political Research e del Lisa Cnrs.
Abstract
La comunicazione è stata una dimensione cruciale del periodo di emergenza da Covid-19 in cui alla pandemia sanitaria si sono sommati, in uno stato di «policrisi», problemi economici, politici, sociali ed esistenziali. La networked politics si riferisce a una politica postmediale che tende a strutturarsi su base reticolare e connettiva in una sorta di autocomunicazione di massa. È alla luce di questi mutamenti di struttura della sfera pubblica che meglio si comprendono le tendenze in corso nella comunicazione politica, in una situazione da tempo caratterizzata da campagne elettorali permanenti. Considerati i mutamenti di struttura della sfera pubblica e le tendenze della comunicazione politica, potrebbe sembrare vana la domanda habermasiana se la comunicazione che circola nei social network abbia l’effetto di strutturare uno spazio discorsivo dotato di valenze epistemiche e di attivare forme di empowerment. Tuttavia, vi sono fattori che alimentano la speranza in una resilienza democratica. Limitandoci al solo ecosistema mediale, ciò che emerge è la tenuta del giornalismo. Infine, sta emergendo la questione di sottoporre normativamente anche le piattaforme digitali a degli obblighi analoghi di diligenza informativa giornalistica. In tale direzione procede l’Unione europea colmando i deficit di sovranità nazionale.

1. Introduzione

La comunicazione è stata una dimensione cruciale del periodo di emergenza da Covid-19 in cui alla pandemia sanitaria si sono sommati, in uno stato di «policrisi», problemi economici, politici, sociali ed esistenziali. Canale di informazione e persuasione, spazio residuale di socievolezza, campo di confronto e polemica tra posizioni antagoniste, l’ecosistema mediale è stato investito da un’accelerazione di mutamenti strutturali già in atto che si ripercuotono sulla vita pubblica e sulle esistenze private. È a queste tendenze di lungo periodo che dobbiamo anzitutto guardare per comprendere meglio l’effetto sindemico del Coronavirus [Horton 2020]. In particolare, l’uso crescente dei social network ha condotto a un aumento esponenziale della letteratura sulla simbiosi tra i contenuti e le forme delle comunicazioni «della», «alla» e «sulla» politica e i nuovi media. Significativi sono i risultati riguardo ai messaggi e agli stili comunicativi, agli effetti della comunicazione politica sulla popolarità dei leader e dei partiti, alla loro capacità di generare influenza – ascolto, tribuna, interazione, mobilitazione, agenda setting e framing – e al rapporto controverso sul successo elettorale. Si osserva per altro verso un «riduzionismo comunicativo» che si è affermato negli studi italiani per ragioni sia accademiche che pubblicistiche. Cristopher Cepernich parla di un «peccato originale di parzialità» nel modo in cui gli esperti analizzano le implicazioni del nuovo sistema mediale sulle forme e sui processi della politica: «Per qualche ragione, l’interesse si è concentrato sui risvolti lin{p. 40}guistici ed espressivi, sulle strategie, i discorsi e le retoriche; gli stili, l’estetica e i restyling dei contenuti. Un’attenzione insufficiente è stata rivolta, invece, alle conseguenze della digitalizzazione sulle infrastrutture e sulle architetture organizzative della politica» [2017, 24]. Allargando ancor più lo spettro del deficit conoscitivo, Michele Sorice avverte che le ricerche sulla comunicazione si concentrano sullo «studio della propaganda elettorale e/o delle pratiche messe in atto dagli attori politici negli ecosistemi comunicativi […] di fatto decontestualizzandola» [2022, 33]. Ciò che sta venendo meno è l’analisi delle trasformazioni del sistema politico-istituzionale – la destrutturazione territoriale dei partiti, la scomparsa della militanza di sezione, la leaderizzazione, ecc. – e del sistema mediale – la nascita di un ecosistema mediatico ibrido, decentrato e reticolare –, i mutamenti di struttura di una sfera pubblica più policentrica, l’infrastrutturazione high-tech della media logic e le interdipendenze con gli sviluppi economici globali. Così scompare l’aspetto solo apparentemente paradossale per cui, sebbene la sfera pubblica sia essenzialmente uno spazio comunicativo, una prospettiva strettamente comunicativa non è sufficiente per la sua comprensione e spiegazione.
Non è privo di utilità il tentativo di comporre dapprima una rassegna almeno sui principali mutamenti di struttura della sfera pubblica, in particolare dell’ecosistema mediale con l’avvento di Internet e dei platform media. Jay G. Blumler parla di fourth age of political communication [2016] per segnalare la discontinuità di un sistema mediale sempre meno polarizzato intorno ai grandi media cartacei e televisivi e in cui convivono ambienti, attori, modelli comunicativi e dimensioni vecchie e nuove (legacy media e social media, broadcast e conversational; pubblico e privato, ecc.). La migrazione dai mass media al cyberspazio sta modificando le modalità attraverso cui i cittadini si informano e partecipano alle questioni che riguardano la politica nel contesto di una complessa e fitta rete di interazioni disintermediate e connesse tra i molteplici attori – politici e decisori, opinion leader e influencer, media e content providers e moltitudini di pubblici e prosumers – di quella che Stefano Cristante {p. 41}definisce la «doxasfera» [2022]. In una prima fase, i siti Internet e le chat hanno contribuito a «disintermediare» i circuiti comunicativi tradizionali facendo risaltare la simmetricità e la spontaneità della rete. Oggi, si guarda soprattutto all’emergere di nuove forme di esclusione (digital divide), alla frammentazione della sfera pubblica e alla polverizzazione delle opinioni generali, all’assoggettamento delle piattaforme alla logica della mercificazione, alla decentralizzazione del newsmaking e all’erosione del ruolo dei gatekeepers (1). In questo contesto, si collocano alcune tendenze della comunicazione politica in cui predominano la spettacolarizzazione, personalizzazione ed emozionalizzazione, la polarizzazione tra fazioni opposte, le posizioni «post-verità» degli «anti-pubblici», la propagazione delle fake news e la diffusione del populismo (2). Si tratta di processi in corso da tempo che sono stati esasperati nel lungo periodo sindemico.

2. Mutamenti di struttura della sfera pubblica

La networked politics si riferisce a una politica post-mediale che tende a strutturarsi su base reticolare e connettiva in una sorta di autocomunicazione di massa. In tale direzione si muoveva il dibattito sulla democrazia digitale o cyberdemocrazia e sulla formazione di «intelligenze collettive», animato da studiosi come Pierre Lévy, Derrick De Kerkhove, Howard Rheingold, Manuel Castells e molti altri. La digitalizzazione e l’interconnessione, infatti, hanno prodotto un cambiamento radicale nella «fisica della comunicazione» della sfera pubblica, con il rapido passaggio dalle nozioni di canale e rete a quella di spazio virtuale inglobante. Il dispositivo comunicativo non è più, come nel caso della radio e della televisione, quello della diffusione astratta, verticale e unilaterale di messaggi da pochi centri al pubblico indistinto. Nel cyberspazio le caratteristiche della comunicazione di massa sono attenuate dal nuovo paradigma «da tutti a tutti». Internet e il social network sembrano riequilibrare «le debolezze del carattere anonimo e asimmetrico della comunicazione di massa, consentendo il {p. 42}reingresso di elementi interattivi e deliberativi in uno scambio non regolamentato tra partner che comunicano tra loro sì virtualmente, ma anche pariteticamente» [Habermas 2011, 82]. Non solo un numero crescente di persone può accedere a una massa di informazioni sempre più ampia e continuativa, ma si rende possibile una sorta di «attivazione». Ogni utente è autorizzato a proporre paritariamente dei temi e dei contenuti, liberamente scelti, potendo assumere in modo spontaneo, assieme ad altri, i ruoli di lettore, ascoltatore e spettatore, ma anche quello di «autore» e «critico». Ciò non riguarda solo il campo politico. Le innovazioni tecnologiche dei media – con la digitalizzazione di dati e delle informazioni, il potenziamento e la semplificazione degli strumenti e l’interconnessione dei computer nel cyberspazio – rendono possibili nuove identità, appartenenze, pratiche, idee, valori ed espressioni. Si assiste, quindi, a una radicale metamorfosi dell’«ecologia cognitiva» – Lévy lo definiva un «movimento complessivo di civiltà» [1999, 231].
L’aspetto più manifesto è la moltiplicazione di messaggi, idee, voci e immagini [Castells 2002-2004; Davis 2019]. L’abbondanza comunicativa che caratterizza l’attuale ecosistema mediale deriva dalle trasformazioni sul versante della produzione, distribuzione e consumo dell’informazione e dalle interconnessioni tra la mass media logic e la networked media logic [Klinger e Svensson 2015]. La situazione sindemica ha esponenzialmente aumentato questa «infodemia», con una valanga di messaggi e dati sui canali mainstream e sui social network. Il nuovo ambiente digitale e connettivo ha favorito una maggiore densità e intensità delle comunicazioni, ossia l’«esponenziale aumento del numero di soggetti individuali e collettivi che entrano nel gioco negoziale per far sentire la propria voce, per imporre il proprio punto di vista» [Sorrentino 2022, 51]. Si tratta, certo, di una potenziale partecipazione al dibattito politico online da parte di soggetti tradizionalmente esclusi dal confronto politico dei tradizionali mass media [Sorice 2022, 38]. Tuttavia, il livello di inclusività non è equiparabile a quello che sono in grado di raggiungere i mezzi di comunicazione di massa. Infatti, Internet e i social network aumentano l’esclusione {p. 43}selettiva di alcune categorie di persone a causa del digital divide [van Dijck 2020]. Vecchie disparità (poveri e ricchi, uomini e donne, più e meno istruiti, aree urbane e rurali, ecc.) sono rafforzate da nuove disuguaglianze nell’accesso alla rete e nella capacità d’uso dei dispositivi – almeno sino a quando un’alfabetizzazione agli strumenti digitali e alle interazioni online renderà possibili le condizioni per parità nelle chances di partecipazione alla sfera pubblica.
Il secondo e più importante effetto negativo della comunicazione nei nuovi media è la «frammentazione» dei circuiti comunicativi. Pur valutando positivamente l’opportunità di estendere e pluralizzare la sfera pubblica, così da rifiutare, «in nome del pluralismo e della differenza, l’obiettivo di far convergere i cittadini in una sfera unitaria», Dahlgren evidenzia il rischio della cacofonia di voci e della frammentazione dell’agenda pubblica [2005, 152]. Analogamente, Habermas considera negativamente l’estensione e l’accelerazione dei flussi comunicativi. Queste producono una sfera pubblica politica «liquefatta» e «assorbita» in un ecosistema mediale reticolare, decentrato e frammentato [2011, 77-78]. Prima l’attenzione di un pubblico anonimo di cittadini era «focalizzata» su alcune questioni politicamente importanti che venivano discusse tra gli attori mediatici principali (giornalisti, politici, intellettuali, rappresentanti di interessi corporativi, esponenti della società civile, ecc.) e, quindi, ridiscusse nella vita quotidiana con letture diversificate (egemoniche, oppositive, ecc.) e attraverso una molteplicità di intermediazioni da parte di reti e gatekeepers locali. Questa riflessione generata dai mass media era il fondamento di una «intersoggettività di grado superiore», ossia una «sfera pubblica generale» nella quale – attraverso processi di apprendimento collettivi – «la società in complesso sviluppa un sapere di sé» [Habermas 1987, 374]. Tale integrazione è oggi problematica. L’eccessiva circolazione di dati e informazioni durante la sindemia, in particolare, ha trovato impreparati sia i produttori che i destinatari così come gli intermediari.
La fine dell’esclusività del modello piramidale di sfera pubblica, dominato dalla comunicazione di massa, provoca
{p. 44}una tendenza «centrifuga». Se i circuiti comunicativi dei vecchi media sono centripeti e unificano i cittadini in una stessa comunità politica, i siti Internet e i social media non possono svolgere le funzioni di «filtro», «cassa di risonanza» e «sistema di allerta» delle opinioni pubbliche generali. La struttura della rete distrae e disperde in una miriade di gruppi frammentati sul piano funzionale, tematico e personale. La crescita del nuovo sistema mediale si accompagna, quindi, alla differenziazione della sfera pubblica, con molteplici media, fonti, forme e contenuti – e alla frammentazione di una miriade di «semi-pubblici».