Sergio Brillante
«Anche là è Roma»
DOI: 10.1401/9788815410559/c4

Capitolo quarto «La riapparizione dell’impero»

Abstract
Il capitolo è incentrato sul processo, proprio degli anni del colonialismo italiano, che vedeva sovrapporsi la Roma antica a quella moderna e fascista. Il periodo era caratterizzato da un'identificazione ormai totale, che coinvolgeva anche la terminologia istituzionale, in particolare quella delle colonie africane recentemente acquisite. Un ruolo determinante fu rivestito dall'Istituto di Studi Romani, ente culturale profondamente legato al fascismo e alla sua propaganda.
Il desiderio di avventura era l’unica aspirazione romantica confessabile, e se il quadro italiano di allora, con le sue frontiere chiuse, non offriva molto campo, se l’avventura non era realizzabile, era comunque una meta ammessa per i sogni. Si poteva dire, senza paura di essere ridicoli, e lo si diceva testualmente: l’unica cosa che mi piacerebbe davvero è la caccia alla tigre.
E. Croce, Lo snobismo liberale
La proclamazione dell’impero arrivò quando il culto della romanità e della grandezza di Roma antica era già da molto una delle matrici più riconoscibili della politica culturale del fascismo. Gli stessi soldati che avevano preso parte alla campagna etiopica inneggiavano alla città antica [1]
e anche il discorso mussoliniano del 9 maggio 1936 mirò esplicitamente ad iscrivere quell’evento «nella tradizione di Roma, che, dopo aver vinto, associava i popoli al suo destino». È per questo che l’impero quel giorno non nasce, bensì «riappare» sui «colli fatali di Roma» [2]
. L’identificazione della Roma antica con quella moderna e fascista era ormai totale e la si perseguiva a un punto tale che essa informava anche la terminologia istituzionale; e ciò doveva valere anche per la colonia africana appena acquisita. Ben presto si pose infatti il problema di come avrebbe dovuto essere chiamato dalle popolazioni locali il nuovo imperatore d’Etiopia, Vit{p. 142}torio Emanuele III. «Il titolo di Negus Neghesti – scrisse Mussolini a Badoglio l’11 maggio – non è evidentemente tale da poter essere attribuito a S.M. il Re neppure nelle lingue indigene». La soluzione fu quindi quella di riferirsi al nuovo sovrano come Quesar-za-Itiopia, «riprendendo cioè il titolo di Quesar dato in etiopico agli imperatori di Roma» [3]
.
A un’ubriacatura storica di questo tipo, in cui i confini dell’antico si sovrapponevano a quelli della realtà moderna, avevano contribuito diverse cause e diversi soggetti: non solo singoli, ma anche intere istituzioni. Fra queste un ruolo non secondario era stato giocato nella capitale da un ente che fondava la propria esistenza esattamente sulla promozione della «romanità», l’Istituto di Studi Romani. Le iniziative di tale associazione non mancarono di relazionarsi anche con la politica coloniale, letta naturalmente attraverso il prisma della tradizione imperiale romana. L’esistenza di una vera e propria «immagine coordinata» [4]
messa in atto dagli organi di propaganda al fine di creare un sostegno senza pari all’impresa etiopica, unita all’importanza assunta dall’Istituto in quegli anni, permettono di considerare le attività di tale ente come rappresentative di un’atmosfera generale. Ciò non vuol dire che non vi siano state anche reazioni critiche alle martellanti assimilazioni di Mussolini a Cesare o ad Augusto, ma a manifestarle furono studiosi esterni o marginalizzati rispetto alla società italiana, osservatori stranieri e politici dissidenti.

1. L’Istituto di Studi Romani e la sua ideologia

Quando parlava dei primi passi mossi dall’Istituto di Studi Romani (ISR), Carlo Galassi Paluzzi (1893-1972), il suo fondatore e animatore, amava dire che esso era nato contestualmente al fascismo, ma ciò non era che un acco{p. 143}modamento della verità [5]
. Da un punto di vista ufficiale l’ISR nacque infatti il 21 marzo 1925 [6]
, ma prima di esso era nata la rivista che fu, all’inizio solo informalmente, l’organo di stampa dell’Istituto. Il primo numero del periodico «Roma» era stato pubblicato nel 1923 e, dal momento che la sua prima annata coincideva con l’anno I dell’era fascista, non si vedeva perché a Galassi Paluzzi non fosse consentito di trarre quell’abusivo sincronismo. In questo modo egli, d’altronde, aveva modo di rendere più evidente la sua collocazione politica, senza trascurare peraltro la possibilità di un tornaconto. L’ISR non godeva infatti di finanziamenti copiosi (né stabili prima del 1933) e doveva quindi fare continuamente in modo di attirare emolumenti straordinari da parte del Governatorato di Roma o del Ministero dell’Educazione Nazionale. Da questa necessità nasceva il continuo tentativo di coinvolgere personalità politiche di alto rango, non solo invitandole a presenziare agli eventi di più vasto rilievo, ma inserendole nel comitato direttivo dell’associazione. Non a caso, Galassi Paluzzi scelse solo in un secondo momento di rivestire la carica di presidente dell’Istituto, affidandone il {p. 144}ruolo in prima battuta a Pietro Fedele (1925-1929), Luigi Federzoni (1929-1931) e a Vittorio Scialoja (1931-1933). Inoltre, seppe anche sempre prontamente assecondare le esigenze culturali del regime, dando vita ad iniziative che si tenessero al passo con l’attualità politica: varie celebrazioni augustee nel 1938, organizzazione di un ciclo di conferenze su La civiltà di Roma e i problemi della razza nel 1939 e preparazione di una grande opera, poi mai portata a termine, su Roma nel ventennale.
L’ISR, tuttavia, non si limitava a semplici operazioni di supporto e il suo legame col fascismo fu in realtà molto più profondo. Riflettendo sulla grande prossimità cronologica fra la nascita della rivista «Roma» e quella dell’instaurazione del fascismo, Antonio La Penna ha parlato di «convergenza spontanea» fra quelle due realtà, che fecero contemporaneamente della missione universalistica di Roma un cardine della propria ideologia [7]
. Si potrebbe infatti dire che il loro incontro, in realtà, preceda il 1922, perché entrambe le esperienze affondavano le proprie radici nello stesso terreno. Esse trassero la loro linfa da diversi caratteri ben presenti nella storia culturale nazionale, quali la romanolatria, le interpretazioni continuiste della storia italiana, iniziata con Romolo, e l’esaltazione del «primato italiano». A ciò aggiungevano poi degli aspetti nuovi, come la comune carica anti-intellettuale e irrazionalistica, tipica del populismo del Ventennio. Galassi Paluzzi, studioso autodidatta, concepì infatti il suo Istituto più come organo promotore di una campagna di proselitismo volta a convincere nuovi fedeli, che come un ente culturale. Da tali premesse deriva la sua caratterizzazione come università alternativa, con i suoi corsi regolari e i suoi insegnanti stabili, il cui obiettivo però non era quello di fornire agli allievi gli strumenti tecnici e culturali necessari all’esercizio di una professione, ma quello di nutrire il loro spirito educandolo alla grandezza dell’idea di Roma, che tutto comprende in sé stessa.{p. 145}
Ciò non bastava a un esponente particolare della cultura di quegli anni quale Julius Evola, che avrebbe voluto calcare ulteriormente la mano sul lato mistico della romanità e che riteneva pertanto le attività dell’ISR soltanto delle «agnostiche esercitazioni filologiche, archeologiche e mediocremente erudite, senza una qualsiasi direzione di efficacia politica, etica o spirituale» [8]
. Mentre lo criticava, Evola riconosceva però a quell’ente una relazione privilegiata con il regime, che se ne serviva per rinforzare il «simbolo romano», fondamentale nella sua impalcatura ideologica. A suo dire, infatti, il fascismo non avrebbe potuto sfruttare a fondo la forza propagandistica della storia romana antica senza rischiare di incorrere in scontri con il papato, erede di un’altra tradizione romana e universalista potenzialmente in contraddizione rispetto a quella imperiale, e si sarebbe pertanto affidato, in vista di tale scopo, a degli organi vicari, come appunto l’ISR.
Quello fra il governo fascista e l’Istituto era quindi un rapporto a doppio senso, come Galassi Paluzzi non mancava di far notare. Già nel secondo fascicolo della «Roma», uscito nell’aprile 1923, veniva pubblicata una foto di una lettera di Mussolini con una dedica che inneggiava al Natale di Roma e esaltava la città come «capitale di un grande impero universale», «fascinatrice per tutti i grandi intelletti di ogni gente» e «cuore vivo ardente immortale» della nazione. Tali parole incontrarono senza dubbio l’approvazione di Galassi Paluzzi che in occasione della seduta di chiusura del I Congresso Nazionale di Studi Romani (1928) definirà quale obiettivo dell’ISR il «rendere virilmente consapevole l’amore istintivo che tutti filialmente portiamo a Roma» [9]
. I due si incontravano non tanto nella esaltazione della storia di Roma, ma nell’accordare alla città una forza di attrazione universale, basata su un sentimento irrazionale ispirato nel
{p. 146}cuore di ciascun essere umano grazie al suo essere nello stesso tempo musa «fascinatrice» e madre, oggetto di amorevole venerazione.
Note
[1] N. Labanca, Una guerra per l’impero. Memorie della campagna d’Etiopia 1935-1936, Bologna, il Mulino, 2005, p. 241.
[2] Mussolini, Opera, vol. XXVII, pp. 268-269.
[3] A. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale, Roma-Bari, Laterza, 1979, vol. II, pp. 726-727.
[4] A. Mignemi (a cura di), Immagine coordinata per un impero. Etiopia 1935-1936, Torino, Forma, 1984.
[5] Su di lui B. Coccia, Carlo Galassi Paluzzi. Bibliografia e appunti biografici, Roma, INSR, 2000. Sull’ISR, cfr. almeno P. Brezzi, L’Istituto Nazionale di Studi Romani, in P. Vian (a cura di), Speculum mundi. Roma centro internazionale di ricerche umanistiche, Roma, 1992, pp. 706-728; R. Visser, Storia di un progetto mai realizzato: il Centro Internazionale di Studi Romani, in «Mededelingen van het Nederlands Instituut te Rome», 53, 1994, pp. 44-80; C. Lodolini Tupputi, L’Archivio Storico dell’Istituto Nazionale di Studi Romani, in «Studi Romani», 43, 1995, pp. 438-442; 44, 1996, pp. 215-239 e 517-538; R. Visser, Da Atene a Roma, da Roma a Berlino. L’Istituto di Studi Romani, il culto fascista della romanità e la «difesa dell’umanesimo» di Giuseppe Bottai (1936-1943), in Näf, Antike und Altertumswissenschaft, pp. 111-123; A. Vittoria, L’Istituto di Studi Romani e il suo fondatore Carlo Galassi Paluzzi, in F. Roscetti (a cura di), Il classico nella Roma contemporanea, Roma, INSR, 2002, vol. II, pp. 507-537; J. Arthurs, Excavating Modernity. The Roman Past in Fascist Italy, Ithaca, Cornell University Press, 2012; D. Aramini, Nel segno di Roma. Politica e cultura nell’Istituto di Studi Romani, in A. Tarquini (a cura di), Il primato della politica nell’Italia del Novecento. Studi in onore di Emilio Gentile, Roma-Bari, Laterza, 2016, pp. 35-64. Bibliografia più specifica sarà citata nel corso del testo.
[6] Poi eretto in Ente Morale con R.D., 21 febbraio 1926-IV, n. 369.
[7] A. La Penna, La rivista «Roma» e l’Istituto di Studi Romani. Sul culto della romanità nel periodo fascista, in Näf, Antike und Altertumswissenschaft, pp. 89-110.
[8] J. Evola, Il fascismo. Saggio di una analisi critica dal punto di vista della Destra, Roma, Volpe, 19702, p. 27, nota 2.
[9] C. Galassi Paluzzi, Per un ordinamento nazionale degli studi romani e per l’organizzazione dei futuri congressi, in Atti del I Congresso Nazionale di Studi Romani, Roma, ISR, 1929, vol. II, pp. 585-594: 586.