Andrea M. Maccarini (a cura di)
Character skills e didattica digitale
DOI: 10.1401/9788815374615/c3
Un ulteriore elemento che emerge riguarda il mondo esterno: com’era e com’è, non perché sia realmente cambiato ma perché è mutato lo sguardo di chi lo osserva; con la differenza inoltre che prima della pandemia non lo si guardava affatto, mentre ora tutto è motivo di curiosità, stupore, ammirazione.
Il mondo, le cose belle. Ce ne sono ancora, là fuori, ma anche qua dentro, che l’aria mica si è fermata per una malattia. Il filtro ha continuato a funzionare, l’acqua scorre ancora, gli altri pesci sono rimasti, e sono anche loro centri di vita. Ce ne sono ancora di cose belle. Vorrei chiederle a Dio: senti, dai, dammi qualcosa di bello oggi e me lo faccio bastare per un mese, dimmi dove trovo un sorriso e ci torno per anni, mi basta un po’ di pace e sono a posto per secoli. Cose belle. Un libro rimasto, un neonato per strada, una giornata di pioggia. Sono stufa di dover pensare che un virus ti porti via l’anima. Un parente, un viaggio, un anno di scuola, un incontro, la vita. Quello sì. L’anima no. Se pensi ancora, hai un’anima e non solo una mente, e noi stiamo ancora pensando (scuola Blu, numero 17, femmina).
Tutto ciò culmina nella riflessione su di sé rispetto al futuro: gli eventi condizionano la progettualità sia nel senso che la limitano o la rendono incerta, sia nel senso che la incoraggiano, come se un periodo di sospensione forzata avesse innescato una nuova capacità di immaginarsi e proiettarsi nel futuro.
Ho voglia di fare moltissime esperienze e vorrei poterle fare in giro per il mondo: voglio vedere, esplorare, conoscere. Mi sento pieno di energie e di voglia di fare, anche se non so ancora come tutto ciò si possa tradurre in un vero e proprio lavoro. Penso con entusiasmo e ottimismo a quando sarò indipendente e autonomo (scuola Gialla, numero di registro 8, maschio).{p. 85}
Ammetto che fin da piccola pensare al futuro mi ha sempre provocato un forte senso di disorientamento. In fondo, si tratta i fatti di riflettere su qualcosa che non conosci. Quando penso a ciò che vorrei diventare, vado nel pallone. Nel tempo cambiano un sacco di cose. Magari non ce ne accorgiamo, ma le abitudini si modificano, a partire dal modo in cui inizi la giornata: persino gli orari in cui ti svegli variano da un giorno all’altro. Qualche anno fa non vedevo l’ora di crescere. Ora come ora, invece, mi viene solo da dire che il futuro mi spaventa. Mi terrorizza insomma l’idea di non essere a conoscenza di ciò che dovrò affrontare un domani che a me, come credo a tutti gli adolescenti sembra lontanissimo, mentre agli adulti pare che la vita scorra davanti come un treno (scuola Gialla, numero di registro 4, femmina).
Nella definizione degli scenari per il futuro, la scuola occupa un posto privilegiato: innanzitutto il ciclo di scuola che deve essere concluso ma anche ciò che verrà dopo.
Pensando invece ad un futuro meno recente, per esempio a cosa ne sarà di me dopo il liceo, credo di non essere sicuro di sapere che cosa farò una volta uscito da questa scuola. La speranza sarebbe quella di, una volta terminato il mio percorso di studi liceali, frequentare l’università, laurearsi e cercare un tipo di lavoro adeguato al percorso di studi affrontato (scuola Rossa, numero di registro 6, maschio).
Le narrazioni degli adolescenti sottolineano, insomma, tre elementi comuni alle diverse filiere: una diffusa incertezza o genericità di obiettivi, che però non è necessariamente sintomo di disorientamento o malessere, quanto piuttosto l’indicatore di un volersi lasciare aperte molteplici possibilità; per le decisioni c’è tempo e in ogni caso nessuna di esse è irreversibile. Inoltre, una progettualità multiforme che include formazione, affetti, relazioni, interessi, a testimoniare individualità composite e in costruzione, nelle quali molteplici elementi convergono e si combinano. Infine, la riflessione sulla transizione all’età adulta, a cui si pensa ma che ha naturalmente contorni ancora indefiniti, rispetto alla quale molte sono le incognite.{p. 86}

2. I significati latenti delle narrazioni. Un’analisi quantitativa

Si può dire qualcosa di più, di originale, d’inaspettato che sia emerso da queste narrazioni? E si può rinvenire una sorta di conferma di quanto è stato intravisto seguendo le piste tematiche suggerite dalla lettura dei materiali testuali? In parte sì. Ed è ciò che è stato fatto attraverso un’analisi quantitativa di dati testuali, ricorrendo a uno strumento specifico (cioè un software di analisi) – i cui dettagli e logica di funzionamento sono presentati nell’appendice metodologica. Illustriamo qui di seguito i risultati delle diverse analisi.
a) Il passato: guardare retrospettivamente il cambiamento
La prima traccia chiedeva agli studenti di esprimere le loro riflessioni in merito al passato recente e ai cambiamenti occorsi nelle loro biografie a causa della pandemia e dell’irruzione della DAD nella scuola. Con questa prima analisi sono stati scrutinati 126 temi. L’analisi con Alceste ha condotto a individuare tre categorie di significato, con i relativi lessici specifici. L’output di analisi è illustrato nelle figure 3.1 e 3.2.
Il primo elemento meritevole di commento riguarda la copertura del testo analizzato: è pari all’85%, un dato quindi molto buono, che rende statisticamente affidabili le elaborazioni. In base al contenuto e alle parole tipiche di ogni classe, possiamo nominarle come segue:
  • classe 1: Organizzazione e scansione del tempo. Questa classe raccoglie il 42,38% del testo analizzato;
  • classe 2: L’evento pandemia. Questa classe raccoglie il 16,33% del testo analizzato;
  • classe 3: Relazioni, emozioni, stati d’animo. Questa classe raccoglie il 41,29% del testo analizzato.
Le tre classi occupano quindi diversi «spazi» all’interno del flusso narrativo e questa informazione è saliente: lo è perché indica, coerentemente con un approccio narrativo attraverso il quale si definisce anche l’identità personale, che cosa è rilevante per i quindicenni osservati. Quanto più si parla di un tema, tanto più siamo autorizzati a pensare che esso sia rilevante nella loro vita. E da questi risultati {p. 87}deriviamo che la riorganizzazione del tempo, la diversa scansione delle giornate, è stata fortemente avvertita, talora è stata destabilizzante rispetto a routine consolidate. Le parole tipiche di questa classe, cui è associato un più elevato valore del χ2 sono, non a caso: lezione, compiti, ore, mangiare. La normale scansione della quotidianità è stata stravolta: la casa è divenuta un luogo multi funzionale, nel quale si dorme, si mangia, si studia, si lavora, si sta con tutti gli altri componenti della famiglia; e dove i confini tra attività e orari sfumano fino a sovrapporsi e scomparire. La ricostruzione della quotidianità mostra una ripetitività ossessiva, le giornate sono tutte inesorabilmente uguali.
È quindi evidente che questa radicale trasformazione relativa al che cosa si fa, come lo si fa, quando lo si fa e con chi lo si fa abbia ripercussioni sul come ci si sente e chi si è. La classe 2 di significato offre interessanti elementi da questo punto di vista. Le sue parole specifiche sono: persone, paura, relazione, solitudine, riflettere, importante. Il cambiamento è avvenuto non soltanto quindi nelle routine o nel modo in cui si scandisce il tempo delle giornate, ma ha prodotto esiti su chi si è, sulle priorità; ha accentuato le fragilità, acuito il senso di solitudine derivante sia dalla perdita delle relazioni in presenza ma anche dal senso di impotenza. Ha precocemente socializzato alla paura, a un diffuso clima di sfiducia. Si è trattato però anche di un cambiamento che ha consentito di raffinare la propria riflessività, su se stessi, sulle amicizie, su ciò che si è e si vuole essere. Si potrebbe dire che l’evento pandemia abbia rappresentato al contempo un acceleratore della crescita e un incubatore di nuove capacità riflessive.
Questo impatto sulle biografie individuali è stato l’esito di una molteplicità di eventi: e tra di essi un posto rilevante spetta alla comunicazione mediatica e alla rappresentazione socialmente costruita della pandemia. La classe 3, anche se minoritaria rispetto alle precedenti, occupa questo spazio. In essa le parole ricorrenti sono: virus, duemilaventi, telegiornali, emergenza, chiusure, morti, Cina, supermercato, per citare alcune delle maggiormente significative. Dapprima compaiono le parole che contestualizzano l’evento: il 2020
{p. 88}è l’anno del virus; da qui a catena discendono una serie di conseguenze. L’informazione viene monopolizzata da questo unico tema, diventa pervasivo; seguono le misure restrittive, le regole per il distanziamento, gli interventi del governo nel tentativo di arginare il dilagare dell’epidemia. E poi la quotidianità di ciascuno, fatta di vacanze mancate, di code al supermercato e misure igienico sanitarie da osservare scrupolosamente.
Note