Matteo Colleoni (a cura di)
Territori in bilico
DOI: 10.1401/9788815374240/c3

Capitolo terzo Resilienza o resa? Quali risposte alla crisi per costruire la coesione sociale?
di Alberta Andreotti ed Emanuele Polizzi

Abstract
In questo capitolo viene argomentata la coesione sociale come un concetto che attiene a un’entità socio-territoriale e per comprenderla occorre guardare non solo agli attori individuali, ma anche, o soprattutto, a quelli collettivi, cioè a quei corpi intermedi che operano nei territori. Il primo paragrafo affronta i tre concetti di coesione sociale, capitale sociale e resilienza, individuandone le caratteristiche salienti, e le loro relazioni proponendo la centralità degli attori intermedi. Nel secondo paragrafo si approfondisce il ruolo della governance, le strategie di sviluppo locale e della coesione messe in atto in Italia negli anni Novanta e Duemila, gli esiti che hanno generato, i motivi del loro declino e l’emergere di nuovi attori nella stagione attuale. In conclusione verrano delineati alcuni interrogativi con cui vengono delinati i territori esaminati nel volume.
Il concetto di coesione sociale è entrato stabilmente nel dibattito nazionale e internazionale sia come dato/caratteristica di un contesto territoriale sia come finalità da perseguire attraverso politiche pubbliche. Accanto ad esso, si è affiancato stabilmente quello di capitale sociale, a volte come sinonimo di coesione, a volte come una sua dimensione costitutiva, a volte come una precondizione per sviluppare coesione sociale, a volte ancora come un esito da perseguire anch’esso attraverso politiche pubbliche. Per complicare ulteriormente il quadro, entrambi i concetti sono sovente utilizzati in relazione a strategie di sviluppo territoriale, in particolare di «resilienza», altro concetto entrato stabilmente nel linguaggio pubblico e accademico.
In queste poche righe, abbiamo fatto riferimento a tre concetti che hanno conosciuto grande successo, ma anche grandi critiche per la loro vaghezza, definiti come concetti-ombrello e pur tuttavia molto utilizzati. Li accomunano alcuni elementi rilevanti. In primo luogo, essere stati fatti propri da una serie di istituzioni internazionali e governative che ne hanno orientato l’utilizzo e la ricerca principalmente in ambito operativo (la Banca Mondiale, l’Oecd, la Commissione, l’Unione e il Consiglio Europei, i governi nazionali). In secondo luogo, essere considerati qualità positive da perseguire, assumono quindi una dimensione normativa molto forte, riferita a un’entità socio-territoriale, nell’ambiguità di come questo possa avvenire e proprio per questo flessibile (o piegabile) a qualsiasi tipo di politica e sua strumentazione. Infine, sono considerati concetti multidimensionali e multilivello, che pertengono a più dimensioni della sfera sociale, {p. 34}essi interrogano gli individui, le istituzioni e la comunità e/o società alle quali si riferiscono.
Nelle scienze sociali tuttavia vi è bisogno di chiarezza nei concetti, dunque nel corso degli anni si è accumulata una ricca riflessione sulla loro natura e operativizzazione, che cerca di individuare alcune determinanti, i possibili effetti e meccanismi sottostanti la loro produzione, riproduzione o declino. Da questo punto di vista, la letteratura sulla resilienza, ultimo dei tre concetti ad affermarsi in ordine temporale, è probabilmente la meno ricca. Nonostante il grande dibattito in corso, si può affermare che non vi è ancora un consenso unanime sulla loro definizione e/o operativizzazione, ma esistono alcuni punti fermi. È utile ripartire da questi, anziché offrire l’ennesima rassegna della letteratura, per poi fare un passo avanti e cercare di comprendere le relazioni di «affinità» e/o «le relazioni pericolose» tra i tre concetti e come queste ci possono essere d’aiuto per interpretare le traiettorie di alcuni contesti territoriali.
In questo capitolo argomentiamo che la coesione sociale è un concetto che attiene a un’entità socio-territoriale e per comprenderla occorre guardare non solo agli attori individuali, ma anche, o soprattutto, a quelli collettivi, cioè a quei corpi intermedi che operano nei territori. Quello che suggeriamo è guardare al livello meso, spesso trascurato dalle diverse rassegne della letteratura, e alla capacità degli attori collettivi di mettersi in rete e coordinarsi per raggiungere un obiettivo comune. Il legame con il capitale sociale è evidente ed esso diventa, in questa interpretazione, una dimensione costitutiva della coesione sociale. Le strategie di resilienza sono l’esito della presenza (o meno) di capitale sociale e sono da noi intese come le azioni coordinate da parte di un insieme di attori collettivi che mirano a governare le crisi ed individuare percorsi condivisi di uscita da esse. Tali strategie sono però anche l’esito delle forme di governance attuate sul territorio. Un ruolo spesso decisivo è giocato anche dall’intreccio di dinamiche locali di governo con politiche sovralocali, sia di origine pubblica, tipicamente quella delle pubbliche amministrazioni regionali e centrali, sia quella di attori privati e della società civile presenti su entrambi i livelli.{p. 35}
Il primo paragrafo affronta i tre concetti di coesione sociale, capitale sociale e resilienza, individuandone le caratteristiche salienti, e le loro relazioni proponendo la centralità degli attori intermedi. Nel secondo paragrafo approfondiremo il ruolo della governance, le strategie di sviluppo locale e della coesione messe in atto in Italia negli anni Novanta e Duemila, gli esiti che hanno generato, i motivi del loro declino e l’emergere di nuovi attori nella stagione attuale. In conclusione delineeremo alcuni interrogativi con cui abbiamo indagato i territori esaminati in questo volume.

1. Coesione, capitale, resilienza

Il concetto di coesione sociale è senza dubbio il più consolidato e complesso dei tre, con una lunga tradizione nelle scienze sociali che si richiama principalmente al lavoro di Durkheim [Chiesi 2004]. Qui ci soffermiamo su due aspetti particolarmente importanti ai nostri fini: le dimensioni costitutive della coesione sociale e l’unità di riferimento su cui fondare l’analisi.
L’adozione del concetto da parte di enti internazionali e governativi con finalità pratico-politiche ha reso il concetto meno analitico e più operativo, adattandolo e modellandolo ai problemi delle società, e quindi rendendolo più contingente. Da questo punto di vista, il concetto ha via via incluso dimensioni ritenute sempre più importanti. Vi sono alcuni punti sui quali vi è un relativamente ampio consenso, sia nel dibattito scientifico che politico, vediamo quali.
Primo, il concetto di coesione sociale fa riferimento alla capacità di stare insieme, rimanere uniti e formare un tutto che non è solo la somma delle parti. Questo implica una serie di elementi sui quali si apre il dibattito, poiché per stare insieme e rimanere uniti, vi è bisogno di condividere obiettivi comuni, il che avviene con più facilità quando vi è cooperazione, coordinamento, un certo livello di fiducia e appartenenza al «tutto».
Secondo, si tratta di un concetto con una componente soggettiva e oggettiva. La componente soggettiva si riferisce {p. 36}a sentimenti e attitudini, quella oggettiva si riferisce a comportamenti e azioni che traducono i sentimenti e le attitudini.
Terzo, il concetto di coesione sociale fa riferimento a una comunità o società delimitata, spesso spazialmente. Si può parlare di coesione riferita a qualsiasi gruppo e/o comunità, per esempio un quartiere, una città, più in generale un territorio, anche se per alcuni studiosi l’unità di analisi privilegiata è lo Stato [Chan et al. 2006].
Quarto, si tratta di un concetto multidimensionale.
Qui però le comunalità si arrestano e sulle dimensioni che costituiscono la coesione sociale iniziano le differenze. In generale, si possono individuare due filoni di studi nei quali raggruppare le rassegne della letteratura, il primo fornisce una definizione di coesione sociale stretta, il secondo una definizione più ampia e inclusiva. Le due citazioni sotto riportate identificano bene le posizioni:
La coesione sociale è uno stato che concerne sia le interazioni verticali (tra cittadini e Stato) sia orizzontali tra i membri di una società caratterizzata da un insieme di attitudini e norme che include fiducia, senso di appartenenza e volontà di partecipare, così come le loro manifestazioni comportamentali [ibidem, 289].
La coesione sociale si basa su quattro dimensioni: appartenenza-isolamento, vale a dire la condivisione di norme e valori e un sentimento di appartenenza a una stessa comunità; inclusione-esclusione, vale a dire il grado di disuguaglianza di opportunità nell’accesso alle risorse, in particolare nel mercato del lavoro; partecipazione-non coinvolgimento, vale a dire il coinvolgimento negli affari pubblici, nelle attività di volontariato, nelle attività politiche della società di riferimento; riconoscimento-rifiuto del diverso, vale a dire il pluralismo e la tolleranza delle diversità, legittimità-illegittimità, vale a dire la fiducia e la legittimità reale e percepita delle istituzioni pubbliche e private come mediatori nei conflitti [Jenson 2010, 17].
Vi è un nucleo forte di dimensioni comuni che fanno riferimento a condivisione di valori, senso di appartenenza, fiducia, e partecipazione, dunque alle dimensioni culturale-identitaria e politico-sociale. La dimensione soggettiva fa {p. 37}riferimento alla fiducia (nelle sue diverse declinazioni: da focalizzata a generalizzata, e istituzionale), al sentirsi parte di una comunità, mentre la dimensione oggettiva fa riferimento alla partecipazione attiva alla vita politica-sociale e può esprimersi sia in attività individuali (firmare una petizione) sia in attività collettive (come la partecipazione ad attività di volontariato all’interno di organizzazioni).
Nella seconda definizione si aggiungono la dimensione economica o strutturale e quella della diversità e della sua gestione politica. Molti degli autori e delle istituzioni che rientrano nel secondo filone [Bernard 1999; Kearns e Forrest 1999; Novy et al. 2012; Chiesi 2004] fanno riferimento alla riduzione delle disuguaglianze, alle pari opportunità, all’accesso alle risorse, alla povertà e all’inclusione/esclusione sociale come elementi costitutivi della coesione sociale. In particolare, questi autori fanno riferimento alla diseguale distribuzione di risorse materiali e immateriali (per es. lavoro, reddito, educazione, servizi di welfare) tra membri di una società e tra territori, ma anche alla disuguaglianza tra individui in termini di classe, ceto, origine etnica e appartenenza religiosa. All’interno di tale prospettiva, la riduzione delle disuguaglianze diventa parte della coesione sociale.
L’altra dimensione che si aggiunge è la diversità sociale con la tolleranza. La diversità sociale è stata discussa da diversi autori come potenziale ostacolo alla coesione sociale perché potrebbe erodere valori sociali comuni e/o identità e appartenenza [Putnam 2000; 2007]. D’altro canto, altri studi hanno invece evidenziato quanto la diversità di per sé non sia ostacolo alla coesione [Portes e Vickstrom 2015]. Come la società gestisce (governo/governance) la diversità – tolleranza e multiculturalismo – diventa allora una componente importante della coesione. Sulla stessa scia, alcuni autori hanno introdotto giustizia sociale, bene comune e solidarietà come dimensioni costitutive della coesione sociale [Jenson 2010].
In questo modo il concetto di coesione sociale si allarga molto. A livello analitico, il rischio è la confusione tra i fattori che possono favorire o inibire la coesione, i fattori che ne costituiscono l’essenza e i suoi effetti. Seguendo il primo
{p. 38}filone di studi, una definizione più stretta può aiutare, le dimensioni della disuguaglianza (nelle sue diverse declinazioni) possano essere un driver, un fattore che promuove o inibisce la formazione di coesione [Vergolini 2011], così come la diversità e le politiche attraverso cui è gestita.
Note