Matteo Colleoni (a cura di)
Territori in bilico
DOI: 10.1401/9788815374240/c4
La cultura, in quanto insieme di valori e comportamenti coordinati di un gruppo umano, in effetti è il cuore delle pratiche sostenibili. La narrazione e le azioni a supporto della sostenibilità non sono solo elementi necessari per la creazione di una maggiore sensibilità su base individuale e collettiva verso uno sviluppo più sostenibile, ma rendono più
{p. 58}chiaro il ruolo dell’arte, della cultura e delle politiche culturali. La sostenibilità culturale sembra essere una definizione condivisa da molti studiosi, quasi un meme, diventando così un concetto che sta perdendo di significato prima ancora di avere raggiunto una vera realizzazione pratica.
Cercando di ripercorrere, attraverso i documenti ufficiali, la genesi dell’introduzione della cultura nella cornice più ampia dello sviluppo sostenibile, è doveroso ripercorrere alcune tappe fondamentali riguardanti il rapporto tra i concetti di cultura e di sviluppo sostenibile.
È interessante notare come da una parte il Rapporto Bruntland [Wced 1987] già asserisca che tutti i sistemi economici, sociali e ambientali debbano essere simultaneamente sostenibili, dall’altra che i bisogni percepiti siano socialmente e culturalmente determinati, che lo sviluppo sostenibile richiede l’attenzione a valori che incoraggiano, per esempio, un consumo sostenibile. Il modo in cui tali valori sono promossi deve però essere in parte compatibile con una visione del mondo sociale e culturale che possa appunto incorporare differenti stili di vita senza stravolgerli. È questa un’impasse nella quale molti degli sforzi per la sostenibilità si sono arenati negli ultimi tre decenni.

5. Relazione tra sostenibilità e cultura nei documenti internazionali

L’Unesco organizza una Conferenza mondiale sulle Politiche Culturali nel 1982 a Città del Messico; in quest’occasione unica, in un momento come quello degli anni Ottanta segnato da politiche sempre più liberiste, si pongono le basi del ruolo della cultura nello sviluppo e si concepisce la prima decade mondiale per lo sviluppo culturale che sarà poi attuata negli anni dal 1988 al 1997. La decade aveva due obiettivi principali: da un lato quello di dare più spazio alla dimensione culturale nei processi di sviluppo, dall’altro, di stimolare la vita culturale in generale e porre attenzione alla diversità, sia a livello delle istituzioni, sia in ambito educativo che imprenditoriale. È nel report finale della decade del {p. 59}1998, dal titolo Our Creative Diversity, che la Commissione Mondiale sulla Cultura e sullo Sviluppo crea una connessione esplicita tra politiche culturali e sviluppo sostenibile, aprendo un nuovo dibattito su questi temi e proponendo definizioni condivise. La cultura è pensata con un ruolo strumentale nella promozione del progresso economico e sostantivamente nel suo ruolo di attribuzione di significato all’esistenza. In linea con il dibattito culturale avviato soprattutto in Nord America in quegli anni, si enfatizza l’accettazione della diversità nelle scelte individuali e nelle pratiche collettive, definendo che ad un Paese non corrisponde una cultura. Nella definizione di sviluppo culturalmente sostenibile, si passa a un ruolo della cultura costruttivo, costitutivo e creativo, al fine di pensare uno sviluppo che includa anche la crescita culturale [Perez de Cuéllar 1998, 25]. Lo sviluppo culturale è quindi un modo per bilanciare gli obiettivi delle politiche economiche e di quelle culturali [ibidem, 14-19]; emergono in questo documento obiettivi di facilitazione della diversità culturale al fine di garantire opportunità espressive alle comunità locali, e per incoraggiare relazioni tra vari settori della società nell’idea di supportare attività culturali e sostenibili.
La Conferenza intergovernativa sulle Politiche Culturali per lo Sviluppo del 1998, tenutasi a Stoccolma, ha generato il Piano d’Azione sulle Politiche Culturali per lo Sviluppo [ibidem], documento ancora oggi attuale per l’advocacy della cultura come una delle componenti fondamentali per le policies di sviluppo endogeno e sostenibile; si richiede qui che qualsiasi politica di sviluppo tenga in considerazione fattori culturali e che sia profondamente sensibile alla cultura stessa. Tali raccomandazioni trovano poi una formalizzazione nel 2005 nella Convenzione Unesco sulla Protezione e sulla Promozione della Diversità delle Espressioni Culturali (che è di fatto costruita sulla Convenzione del 2003 sulla Salvaguardia del Patrimonio Culturale Intangibile e sulla Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale del 2001). Le differenze tra il Report Our Creative Diversity [ibidem] e la Convenzione del 2005 consistono in due interpretazioni {p. 60}differenti del concetto di cultura. Nel 1996 era stata intesa principalmente come il perno sul quale costruire il futuro desiderabile e quindi elemento principale nel ripensare l’etica globale e la prammatica dello sviluppo. Nel 2005 invece quell’idea di cultura viene molto ridimensionata e il documento si concentra sull’espressione culturale e sui prodotti culturali come oggetto di scambio commerciale. Vi è stata una crescente preoccupazione in molti Paesi per la crescente sfera di colonizzazione culturale statunitense e anglofona in quegli anni e la convenzione garantisce, con una interpretazione giuridica, le produzioni culturali autoctone. Ci sono voluti altri dieci anni per tessere il nesso tra cultura e sostenibilità (Global Report on the Convention, Unesco 2015), anche se in questo documento il fuoco è prevalentemente sui sistemi sostenibili di governance per la cultura più che sulla cultura nella cornice dello sviluppo sostenibile [Throsby 2010]. Nel 2016 la Nuova Agenda Urbana Unesco si è occupata dell’abitare nell’ambito dello sviluppo urbano sostenibile, esaltando il ruolo della diversità culturale della popolazione urbana come risorsa imprescindibile. Finalmente nel 2018 e nel 2019, rispettivamente, le pubblicazioni della Cultura per l’Agenda 2030 e dei Culture indicators 2030, sanciscono il ruolo della cultura negli Sdgs e le modalità nelle quali è possibile misurare l’impatto di policies, politiche e contributi di carattere culturale nella realizzazione degli obiettivi stessi.
La prossima sfida sarà affrontata nuovamente a Città del Messico nel settembre 2022, a quarant’anni dalla Conferenza mondiale del 1982, a riprova del fatto che nell’ultimo decennio degli Sdgs, l’impegno comune di una rinnovata riflessione sulle politiche culturali per affrontare le questioni globali è prioritario nell’agenda mondiale. Basti pensare che il 90% dei Paesi nel mondo indica la cultura come prioritaria nelle proprie policies sul turismo, che 29,5 milioni di persone (soprattutto tra i 15 e i 29 anni) è impiegata nell’industria creativa culturale, che il 47% dei lavoratori nel settore culturale e creativo in 72 Paesi sono donne, infine che l’80% della biodiversità mondiale è tutelata da culture indigene: dati che accrescono la consapevolezza del peso {p. 61}della cultura come elemento economico e ambientale oltre che sociale e valoriale.
L’attività di generazione, disseminazione e promozione di valori condivisi come quello della sostenibilità sono spesso appannaggio di organizzazioni internazionali, il cui modus operandi è stato descritto come un’orchestrazione [Abbott et al. 2015]. Agenzie molto attive in campo culturale come l’Unesco lavorano tramite intermediari, come il Terzo settore, le organizzazioni di imprenditori, le reti trans-governative e altre associazioni internazionali. Tuttavia, per loro natura, si occupano di grandi cambiamenti che prevedono tempi lunghi di lavoro: in un arco temporale di decenni molte situazioni cambiano, a partire dai riferimenti paradigmatici ma anche delle idee stesse. La legittimità dell’expertise di questi organismi internazionali non è necessariamente coerente nel tempo, né tantomeno ha una progressione lineare, piuttosto è fatta di grandi spinte innovative e poi di assestamenti istituzionali che offrono un andamento a gradini, tipico delle traiettorie di cambiamento. Questo dato è importante da tenere conto se si vuole capire come ridurre lo iato tra le declamazioni dei documenti condivisi, necessariamente ad ampissimo respiro, e la traduzione dei principi nelle politiche e nelle policies che sono culturalmente situate e hanno quindi bisogno di una traduzione e interpretazione locale. Throsby [2010, 195] prova a tracciare una serie di principi sui quali è possibile costruire delle strategie di sviluppo culturalmente sostenibile che dovrebbero includere:
  1. equità intergenerazionale, la non compromissione di possibilità delle generazioni future di godere del capitale culturale tangibile e intangibile;
  2. equità intra-generazionale, il principio della non discriminazione nell’accesso alla produzione culturale, in particolare in relazione alle disuguaglianze economiche che oggi associamo alla povertà culturale e educativa;
  3. importanza delle diversità nei processi di sviluppo economico, sociale e culturale;
  4. principio precauzionale, secondo il quale bisognerebbe adottare più prospettive nel prendere decisioni che possono avere conseguenze irreversibili; {p. 62}
  5. inter-connettività, l’impossibilità di isolare sistemi ambientali da sistemi economici, sociali o culturali e la necessità di una visione olistica integrata.
Il dibattito sulla traducibilità dei principi in policies e politiche è ancora aperto e molte sono le questioni da discutere. In particolare sono ravvisabili tre approcci nella relazione tra cultura e sostenibilità [Dessein et al. 2015]: 1) cultura nella sostenibilità, che considera come la cultura possa avere un ruolo autonomo nella sostenibilità e diventi quindi il quarto pilastro (accanto a quello economico, sociale e ambientale); 2) cultura per la sostenibilità, che sottolinea il ruolo mediatore della cultura nel raggiungere la sostenibilità ecologica, economica e sociale; 3) cultura come sostenibilità, che considera la cultura come fondamento imprescindibile per gli obiettivi di sostenibilità. In questa visione la cultura contiene le altre dimensioni e diventa paradigma di sostenibilità. È possibile che nella Conferenza mondiale del 2022 sia proprio quest’ultimo approccio a prevalere, a seguito dell’opacità concettuale del ruolo della cultura nelle policies fino a questo momento. Tale visione enfatizza come senza una visione culturale della sostenibilità non sia possibile un dialogo interculturale tra le parti e questo riduca non solo le possibilità di arricchimento reciproco ma anche di creatività e flessibilità nel plasmare creativamente policies locali. Perché tali pratiche si realizzino, devono diventare accettabili e adottabili dal più grande numero di persone possibile all’interno di orientamenti valoriali e pratiche condivise che ottemperino ai bisogni delle piccole collettività come a quella globale, un obiettivo molto strategico nell’orizzonte di un futuro sostenibile.
Le politiche locali sono il luogo della sintesi di queste istanze e luogo di incontro degli stakeholders istituzionali e non, concetto sviluppato nel prossimo paragrafo.

6. Le strategie e le politiche locali di sviluppo sostenibile

Il livello locale è quello in cui le disuguaglianze e le forme di marginalità e di esclusione dei cittadini e dei territori in
{p. 63}cui abitano sono più marcate e visibili. È a questo livello, quindi, che occorre innanzitutto intervenire per promuovere strategie e politiche attente allo sviluppo socio-economico e territoriale e nel contempo all’uso sostenibile delle risorse. A tal proposito il Sustainable Development Report 2021 del Sustainable Development Solutions Network [Sdsn 2021] ha recentemente evidenziato che oltre il 60% degli obiettivi di sviluppo sostenibile non potranno essere raggiunti senza il coinvolgimento dei governi delle amministrazioni che operano a livello locale. Si spiega in tale senso il crescente impegno assunto dalle organizzazioni internazionali e dagli Stati nazionali per declinare gli obiettivi e le azioni dell’Agenda 2030 nelle politiche locali di sviluppo sostenibile. Il paragrafo ne offre una sintetica rassegna, soffermandosi in particolare sui risultati in termini di innovazione degli apparati amministrativi degli attori pubblici e di rinnovamento dei processi di governance a livello locale.