Matteo Colleoni (a cura di)
Territori in bilico
DOI: 10.1401/9788815374240/c8
Il distretto più antico e radicato nell’area è quello calzaturiero, caratterizzato, come abbiamo visto, da una continua contrazione nel numero di imprese. Secondo uno dei nostri interlocutori, il distretto della calzatura può essere descritto come una quercia, un tempo «enorme e con solide radici», che è diventata oggi «un albero molto più piccolo, ma vitale. L’albero non è morto: produce ancora frutti e ha ancora le radici» (Int. 16). Le evoluzioni degli ultimi decenni hanno provocato una riduzione del numero di imprese attive nella lavorazione delle scarpe, senza tuttavia che questo
{p. 132}comportasse la scomparsa definitiva della specializzazione produttiva e di alcuni meccanismi di interazione tipici del modello distrettuale, né tantomeno di alcuni elementi di competitività nazionale e internazionale.
Questa contrazione dimensionale ha investito il settore su tutto il territorio nazionale soprattutto negli anni Ottanta quando il cambiamento della struttura dei consumi ha imposto una maggiore flessibilità e capacità di differenziazione del prodotto. Secondo le stime di Assocalzaturifici, tra il 1981 e la fine degli anni Novanta, gli addetti del settore calzaturiero sono diminuiti di quasi 30.000 unità a livello nazionale [Equipe 2020 2016]. La delocalizzazione di alcune fasi e linee produttive colpisce principalmente le imprese intermedie e piccole, come i tomaifici e le trancerie. La competitività del settore calzaturiero italiano è ulteriormente minacciata dalla crisi economica e finanziaria del 2008, in seguito alla quale molte imprese sono costrette a ristrutturarsi, delocalizzare, spostare la produzione sull’alto di gamma e, nello scenario peggiore, chiudere. In questo contesto, tra il 2000 e il 2015 il numero di addetti su base nazionale subisce un calo del 32% e la produzione totale del 51% (passando da 390 milioni a 191,2 milioni di paia dal 2000 al 2015) [ibidem], mentre resiste la produzione di alta gamma.
La rete di imprese che costituiscono il distretto calzaturiero è dunque costituita oggi da un numero più contenuto di nodi. I nodi della rete sono innanzitutto le imprese del settore (sopravvissute alle varie crisi), ma anche altri soggetti indispensabili per spiegare il funzionamento del sistema, come scuole, associazioni e altri attori istituzionali. Le imprese sono, come tipico del distretto, prevalentemente di piccole dimensioni e altamente specializzate. Il processo produttivo per la realizzazione di calzature è molto complesso, e nel distretto è consueto che le imprese si specializzino solo in una o in alcune delle fasi che lo compongono: dal taglio alla preparazione della tomaia, dall’orlatura alla preparazione del fondo, dalla preparazione al montaggio della suola e del tacco, dal montaggio della calzatura alla rifinitura e all’imballaggio, dalla preparazione del modello all’ingegnerizzazione del prodotto, e così via.{p. 133}
Il distretto si è nel tempo strutturato seguendo una specifica divisione del lavoro. Alcune aziende, che possono essere descritte come imprese leader, svolgono la funzione di coordinare il processo produttivo e di interagire con il mercato finale. Tra le imprese leader alcune sono verticalmente integrate, perché coprono l’intero processo produttivo, mentre altre sono state in grado di concentrarsi su alcune attività strategiche, come la preparazione dei campionari, la progettazione o la commercializzazione del prodotto, rivolgendosi a fornitori locali per la copertura delle altre fasi del processo. Anche le imprese che vengono definite come «integrate verticalmente», tuttavia, fanno ampio ricorso ad aziende e micro-aziende fornitrici per gestire con flessibilità l’andamento delle commesse.
Le imprese leader sono dunque affiancate da altre imprese, che non controllano né l’ideazione né la commercializzazione del prodotto. Questi subfornitori sono specializzati nella produzione di tomaie, tacchi, suole. Possono anche essere specializzati nella realizzazione di specifici prodotti su committenza oppure in singole lavorazioni, come l’orlatura, il taglio, la foderatura o anche il montaggio, che vengono eseguite in piccoli laboratori ma talvolta anche a domicilio.
Come anticipato, la specializzazione produttiva del territorio di Vigevano si è progressivamente modificata negli anni, fino ad includere un importante numero di imprese dedicate alla produzione di macchine utensili per la lavorazione della pelle e delle calzature. Tra i due settori sono state presenti profonde sinergie, in termini di interscambio di know-how e di crescita tecnologica, ma è oggi più difficile ricostruire le connessioni tra i due sistemi produttivi.
All’interno del settore meccano-calzaturiero si possono individuare alcune dinamiche simili a quelle descritte per il sistema della lavorazione delle calzature: anche in questo caso i nodi sono imprese specializzate, tendenzialmente di piccole e medie dimensioni. Una ricerca del 2001 [Maldifassi 2001] rilevava che le unità con un numero di dipendenti inferiore a 20 costituivano l’83% della popolazione totale di imprese. Le imprese con un fatturato inferiore ai 5 milioni di euro erano, nel 2000, il 71% del totale, mentre quelle che {p. 134}nello stesso periodo avevano realizzato fatturati superiori ai 50 milioni non superavano il 5% del totale.
In entrambi i comparti le relazioni tra i nodi sono transazioni, scambi di mercato che veicolano complessi sistemi di fornitura, ma la particolare integrazione di tutte le fasi all’interno del processo produttivo ci consente di sostenere che insieme a materiali e semilavorati, tra le imprese circolano anche informazioni e conoscenze: il funzionamento del distretto prevede infatti che vari attori contribuiscano alla realizzazione del prodotto finito, collaborando su un progetto comune e condividendo competenze, idee e soluzioni.

2.2. Struttura delle reti: differenziazione e integrazione tra le imprese

La rete del distretto calzaturiero assume quindi una struttura che, come nei distretti tradizionali, si basa sull’integrazione verticale tra le imprese, ma con configurazioni complesse e variabili per cui su ogni fase sono attive più imprese, e i fornitori possono collaborare contemporaneamente con più clienti. Possiamo quindi considerare le imprese leader come «testa» della filiera, riconoscendo loro la funzione di coordinare le attività del sistema produttivo locale in modo analogo a quanto Becattini [2000, 56] scriveva a proposito del «progetto di prodotto» formulato e gestito dall’impannatore di Prato del primo Novecento: «Sondato il mercato sulla sua esitabilità, egli chiede ad alcuni fra i produttori di fase con cui è in contatto (non necessariamente sempre gli stessi) a quali condizioni sono disponibili a trasformare le materie prime e il “progetto di prodotto” nel prodotto finito». In modo analogo le imprese che interagiscono con il mercato, o più spesso con i grandi marchi del settore moda, individuano i fornitori dei quali hanno bisogno per realizzare di volta in volta i modelli richiesti dal cliente.
La disponibilità di imprese subfornitrici è quindi un importante elemento di competitività del sistema, senza il quale non sarebbe possibile rispondere alle richieste e alle commesse raccolte dalle imprese leader. I rapporti di for{p. 135}nitura fanno parte del processo produttivo in modo tanto radicato da essere di rado riconosciuti come un asset dai nostri interlocutori. Una delle imprese di maggior successo dell’area nella realizzazione di calzature di lusso, che abbiamo visitato nel corso della ricerca, si appoggia ad esempio a orlatrici esterne, che affiancano le (poche) dipendenti dell’azienda nella realizzazione dei prodotti. In occasione di un’emergenza nel corso di una sfilata, per cui era stato necessario modificare i prodotti a ridosso della manifestazione, il titolare racconta di aver portato con sé alcune orlatrici (indifferentemente interne ed esterne all’azienda), collocandole dietro le passerelle per gli ultimi ritocchi. L’aneddoto ci permette di mettere a fuoco due questioni importanti: innanzitutto, la presenza di unità organizzative formalmente distinte che vengono però gestite quasi come parte dell’azienda cliente; in secondo luogo, la disponibilità di competenze specializzate estremamente preziose e rare, difficili da sostituire ma fondamentali per il completamento del processo produttivo.
Anche le aziende che producono proprie linee di calzature non rinunciano a realizzare forniture per aziende con marchi più importanti e affermati. Uno dei nostri interlocutori riporta l’esempio di un’impresa
che ha una sua linea di scarpe da bambino (…), e poi produce anche le Golden Goose per il Veneto; quindi riceve commesse dall’esterno per la produzione di sneakers e ha una propria linea per le scarpe da bambino (Int. 22).
Come nei distretti tradizionali, esiste ancora una porzione di lavoro che può essere svolta da piccolissimi laboratori, da microimprese, anche personali, o persino dai lavoratori presso il proprio domicilio. Come rilevato in passato in alcuni distretti industriali tradizionali, è in questi segmenti della filiera produttiva che possono permanere fenomeni che sfuggono al controllo sulle condizioni di lavoro. Potrebbe trattarsi, secondo uno dei nostri interlocutori, di persone che dopo{p. 136}
aver perso il posto di lavoro [possono] aver mantenuto l’attività produttiva che sapevano fare: l’orlatura, piuttosto che la rifinitura della scarpa, piuttosto che ciò che è legato alle suole… [Attività] che possono essere fatte anche su piccole dimensioni conto terzi [oppure] a domicilio (Int. 25).
La struttura del distretto meccano-calzaturiero mostra alcune interessanti differenze rispetto a quello calzaturiero, che si avvicina ai modelli classici descritti in letteratura [Becattini 2000; Brusco 1989; Bagnasco 1988; 1999]. In questo più recente comparto vi sono infatti molte imprese che realizzano prodotti finiti e li commercializzano con un proprio marchio. Ancora secondo Maldifassi [2001], sarebbero oltre il 52% le imprese che vendono macchine con il proprio marchio, una percentuale nettamente superiore rispetto a quella delle imprese che operano in conto lavorazione (15%), in conto terzi (20%) o come realizzatrici di commesse standard (13%).
La struttura dei due distretti sembra quindi differente: mentre nel calzaturiero le imprese leader sono poche, e si appoggiano su una moltitudine di piccole imprese e di microimprese, a volte anche sul lavoro a domicilio, nel meccano-calzaturiero le imprese che interagiscono con il mercato proponendo prodotti finiti sono oltre la metà del totale delle imprese del settore, mentre più piccola appare la quota di fornitori e terzisti. Tuttavia alcune dinamiche tipicamente distrettuali sono individuabili anche in questo comparto. Chi conosce il territorio sostiene che «sicuramente ci sono degli incroci di forniture comuni», perché ad esempio «carpenteria e verniciatura vengono tutte fatte all’interno del distretto. C’è chi assorbe quasi per intero la produzione di carpenteria», e più in generale «c’è chi ha una linea preferenziale per quanto riguarda il fornitore di semilavorati, ma ci sono produttori di semilavorati che lavorano tranquillamente per più di un’azienda all’interno del distretto» (Int. 16).
La predominanza di imprese che operano con marchio proprio sembrerebbe però allontanare, almeno parzialmente, il comparto delle macchine utensili dal tipo ideale dell’or
{p. 137}ganizzazione distrettuale, che vede addensarsi sul territorio soprattutto imprese impegnate in attività di fase o in attività complementari, mentre più ridotta è la presenza di imprese che si rivolgono direttamente al mercato. Ad attenuare questa differenza, è stato però osservato che tra le imprese che operano con il proprio marchio ve ne sono alcune (il 13%) che lavorano abitualmente anche sulla base di commesse, perché utilizzano la propria struttura produttiva sia per la realizzazione di prodotti propri, sia per l’esecuzione di fasi complementari alla realizzazione di macchinari venduti da altre imprese [Tranfaglia 2010]. Questo interessante aspetto è confermato dalla nostra indagine: un’imprenditrice del settore meccano-calzaturiero ha infatti raccontato di acquistare «delle lampade da un’azienda, associata ad Assomac, che produce anche impianti meccano-calzaturieri, e li produce internamente» (Int. 22). Di fatto un’azienda che produce e vende macchinari autonomamente, diventa anche fornitore di particolari per un’altra azienda del settore, potenzialmente concorrente sullo stesso mercato di sbocco.
Note