Matteo Colleoni (a cura di)
Territori in bilico
DOI: 10.1401/9788815374240/c8

Capitolo ottavo Dalla calzatura alla macchina: sistemi di imprese e sviluppo territoriale nel Vigevanese
di Valentina Pacetti e Veronica Conte

Abstract
Il territorio vigevanese ospita due specializzazioni produttive in qualche modo contigue, ma caratterizzate da dinamiche differenti e da percorsi che divergono non solo per l’andamento dei risultati economici (in declino da un lato e in crescita dall’altro), ma anche per le scelte strategiche e quindi per il posizionamento sul mercato. Nel capitolo viene delinato come sul territorio siano attive imprese eccellenti, competenze specializzate e abilità sempre più rare e come siano in gioco capacità di innovazione che hanno reso le aziende protagoniste su mercati globali altamente competitivi. Quello che viene descritto è dunque un territorio in bilico: un territorio che ha raccolto dal suo passato un’eredità ancora di grande valore, ma che ha bisogno di una progettazione consapevole per evitare che il tempo disperda queste risorse nell’incapacità di progettare gli strumenti per riprodurle.

1. Una terra di imprenditori e artigiani: la nascita e l’evoluzione del distretto meccano-calzaturiero

Il distretto di Vigevano nasce all’inizio del secolo scorso come centro di produzione calzaturiero. Attualmente comprende ventotto comuni dell’Oltrepò pavese, per un totale di 1.676 unità manifatturiere e 13.453 addetti [Istat 2011]. Nonostante il ridimensionamento degli ultimi decenni del comparto calzaturiero, il distretto rappresenta ancora un fattore trainante dell’economia locale, ed è oggi caratterizzato da una forte internazionalizzazione, da una vocazione all’esportazione e da elevati standard qualitativi.
Secondo le principali ricostruzioni storiografiche, tra le condizioni che portano alla formazione del distretto un ruolo centrale spetta alla radicata tradizione artigianale del territorio. Sin dal XIV secolo, a Vigevano e nei territori rurali circostanti sono attivi numerosi laboratori artigianali di lavorazione del tessile (lana, seta e cotone). Tali laboratori costituiranno l’humus originario della specializzazione produttiva del territorio e delle cosiddette «manifatture decentrate», sorte a partire dalla seconda metà del XIX secolo e fondamentali nel passaggio dalla produzione di calzature all’interno di un unico laboratorio a una maggiore divisione del lavoro tra le varie attività artigianali collocate nell’area [Biscossa 1985]. A partire dalla seconda metà del 1800, il territorio si è popolato di nuove attività artigianali (spesso svolte a domicilio) fino a contare quasi 35 unità e 10.000 addetti all’inizio del XX secolo. Nel 1872 i fratelli Bocca fondano la prima azienda manifatturiera accentrata per la produzione ed il commercio delle scarpe, in cui l’attività dei {p. 128}lavoratori è organizzata in un laboratorio separato dall’abitazione [ibidem]. Al fine di incrementare la produttività dell’azienda e la standardizzazione del prodotto, i due imprenditori introducono un’importante innovazione: il sistema «delle batterie» o «a squadra» che prevede non una divisione del lavoro per favorire l’integrazione di operazioni diverse. In parallelo, nel territorio compaiono le prime officine per la riparazione e la manutenzione dei macchinari utilizzati dagli artigiani locali [Cainarca 2002, 4].
Nonostante questi primi segnali di crescita, in quegli anni il comparto italiano è ancora in una posizione di ritardo rispetto ai mercati più maturi, quali quello statunitense, tedesco, francese e inglese. All’inizio del XX secolo, le esportazioni di calzature italiane ammontano a quasi 130.000 paia, quelle statunitensi a 200 milioni [ibidem, 2]. La United Shoe Machinery (Usm), una grande corporation statunitense, controlla il mercato globale delle macchine per la produzione di calzature, grazie all’acquisizione di numerosi brevetti tecnologici (circa 150.000) e ai rapporti diretti di fornitura con numerose aziende mondiali. Il successo della Usm è fortemente legato alla strategia di marketing [Thomson 1989] che consente all’azienda «di legare a sé» [Cainarca 2002, 22] un numero consistente di imprese e laboratori calzaturieri attraverso la promozione di contratti di leasing. La Usm, entrata nel mercato italiano all’inizio del XX secolo, nel 1914 riesce a coprire quasi il 90% del fabbisogno nazionale di macchine [Roe 1914]. Anche a Vigevano la produzione delle scarpe è fortemente dipendente dall’importazione di macchinari prodotti all’estero. Le officine meccaniche si limitano a fare manutenzione e, a volte, a riprodurre le macchine importate [Cainarca 2002, 65]. L’imitazione rappresenta un’importante occasione di apprendimento [Camuffo e Grandinetti 2011] e una premessa per lo sviluppo futuro di competenze e innovazione.
È con l’introduzione della produzione di scarpe con suola di gomma, negli anni Venti del 1900, che si pongono le basi per la nascita del «sistema calzaturiero» vigevanese [Biscossa 1985]. «Il moltiplicarsi delle imprese calzaturiere stimola l’avvio di iniziative nelle attività complementari» {p. 129}[Cainarca 2002, 59], quali officine e fonderie. Il territorio diventa un incubatore di nuove attività imprenditoriali e un importante laboratorio di innovazione. Vigevano si consolida dapprima come «capitale italiana della calzatura» e, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, come «capitale mondiale della macchina per calzature» [ibidem].
I due comparti, da principio strettamente connessi, cominciano a seguire strade diverse. Mentre il comparto meccano-calzaturiero continua a crescere, consolidando la propria reputazione come leader mondiale, a partire dagli anni Settanta le aziende calzaturiere vengono schiacciate dalla competizione internazionale e dall’entrata nel mercato di nuovi distretti competitivi. In questo contesto, il settore calzaturiero risponde alle sfide della globalizzazione differenziando il prodotto [Camuffo e Grandinetti 2011] e posizionandosi nel segmento alto della produzione [Tranfaglia 2010]. Questa scelta consentirà al distretto della calzatura di sopravvivere, ma non senza affrontare un lento processo di declino, visibile ancora oggi.
Le ricerche effettuate in passato offrono varie interpretazioni sulla riorganizzazione interna del distretto e sulla crisi del settore calzaturiero. Per Tranfaglia [2010] le principali cause della perdita di competitività del comparto calzaturiero sono da ricercarsi in alcune caratteristiche manageriali e organizzative delle aziende, quali la gestione familiare e le difficoltà nel passaggio generazionale. Inoltre, in linea con quanto accaduto in altri distretti del tessile, il territorio vigevanese sperimenta l’ingresso di gruppi multinazionali che acquisiscono il controllo di alcune realtà locali, sconvolgendo il tessuto imprenditoriale e relazionale precedentemente radicato nel territorio. Alcune imprese sono costrette a chiudere la propria attività. Altre si ristrutturano o delocalizzano alcune fasi della filiera produttiva [ibidem]. Bravo e Merlo [2002], invece, sottolineano la forte carenza di capitale sociale, frutto di una eccessiva parcellizzazione delle imprese. L’assenza di capitale sociale e la propensione individualista degli imprenditori locali [Mutti e Rostan 2005] spiegano la difficoltà delle aziende calzaturiere a collaborare, soprattutto quando la globalizzazione e l’affermarsi di nuovi {p. 130}distretti italiani ed esteri inizia a porre nuove sfide. Il settore meccano-calzaturiero, al contrario, trae vantaggio dalla nascita dell’Associazione Nazionale Macchine Costruttori della Pelle Assomac (nel 1982) che accompagna il processo di internazionalizzazione e assume un ruolo di coordinamento istituzionale [Bravo e Merlo 2002] (si rimanda al capitolo 7 di questo volume).
Oggi la performance economica del distretto di Vigevano mostra chiaramente i segni di una crisi profonda. Secondo i dati della Camera di Commercio di Pavia [2019, 77], stiamo assistendo alla «fine di un pezzo del modello di export pavese». Se negli anni Novanta il settore delle calzature rappresentava l’8% dell’export totale del territorio provinciale, nel 2019 questo valore si è ridotto al 3%. La crisi pandemica del 2020 e il conseguente calo delle esportazioni e dei fatturati hanno influito soprattutto sulla tenuta delle imprese di minori dimensioni (si rimanda al box 5.1). Le grandi aziende multinazionali e/o esportatrici su scala globale dimostrano, invece, una maggiore solidità e capacità di resistenza alla crisi. Per comprendere le evoluzioni dei due comparti, può essere utile provare a rileggere il distretto calzaturiero e il settore meccano-calzaturiero nella prospettiva organizzativa, ossia mettendo a fuoco le caratteristiche delle reti di imprese che sostengono i due sistemi produttivi, ed eventualmente le loro connessioni.

2. Distretti e reti organizzative: le due anime del territorio

Per mettere a fuoco alcuni aspetti importanti del sistema industriale, proponiamo di descrivere le reti di organizzazioni che costituiscono i due comparti sul territorio vigevanese. In questo modo ci interrogheremo in modo più dettagliato sulla composizione e sulla struttura dei distretti, ma anche sui meccanismi che tengono insieme i nodi, sulle trasformazioni che hanno investito i settori, sul rapporto con l’ambiente delle singole imprese e sul rapporto della rete con l’ambiente.{p. 131}
Come abbiamo visto, l’area di Vigevano ospita oggi due specializzazioni manifatturiere distinte ma fortemente connesse: da un lato il distretto calzaturiero (uno dei pochi riconosciuti anche dall’Istat), dall’altra il distretto meccano-calzaturiero. Il primo ha visto una continua contrazione a partire dagli anni Ottanta, mentre il secondo è cresciuto fino ad affermarsi a livello globale. Il ridimensionamento del calzaturiero è legato alle evoluzioni nazionali e internazionali del settore, ma è spiegato anche dallo spostamento della produzione verso l’alto di gamma, che prevede quantitativi molto più contenuti e competenze elevate. Questi fattori hanno indotto una sostanziale selezione delle imprese capaci di rispettare standard elevati e modi e tempi nuovi per la progettazione e la realizzazione dei prodotti. D’altro canto, la produzione di macchine utensili per la lavorazione delle calzature, nata all’interno del distretto tradizionale, ha trovato sbocchi di mercato al di fuori del territorio vigevanese, ma rimane ancora in parte legata alle competenze e alle tradizioni che vi sono radicate.

2.1. Descrizione delle reti: nodi, connessioni, dimensioni dei distretti

La realtà distrettuale vigevanese vede quindi la compresenza di due reti di imprese specializzate in settori distinti, anche se in qualche modo contigui. Il loro andamento è stato per un certo periodo di verso opposto, ma le relazioni tra i due sistemi rimangono profonde.
Il distretto più antico e radicato nell’area è quello calzaturiero, caratterizzato, come abbiamo visto, da una continua contrazione nel numero di imprese. Secondo uno dei nostri interlocutori, il distretto della calzatura può essere descritto come una quercia, un tempo «enorme e con solide radici», che è diventata oggi «un albero molto più piccolo, ma vitale. L’albero non è morto: produce ancora frutti e ha ancora le radici» (Int. 16). Le evoluzioni degli ultimi decenni hanno provocato una riduzione del numero di imprese attive nella lavorazione delle scarpe, senza tuttavia che questo
{p. 132}comportasse la scomparsa definitiva della specializzazione produttiva e di alcuni meccanismi di interazione tipici del modello distrettuale, né tantomeno di alcuni elementi di competitività nazionale e internazionale.
Note