Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c1
Ma non si tratta solo di un’azione strumentale e organizzativa. Poiché si tratta di interventi con finalità educativa, si devono stabilire e condividere linguaggi, codici, finalità e obiettivi fra soggetti diversi (ente e impresa). Dunque, il
{p. 16}rapporto col territorio non è declinato solo come costruzione di relazioni operative, ma anche di valori, di orizzonti culturali. E, com’è facilmente intuibile, non è un processo lineare, privo di asperità. Ma richiede una continua operazione di mediazione e costruzione.
In questo senso, il rapporto col territorio è un «uscire da sé» degli enti, un proiettarsi all’esterno per intercettare domande e istanze del mondo produttivo e dei servizi al fine di individuare una migliore sintonia (fine tuning) che aiuti le giovani generazioni – in particolare quelle meno agiate – a inserirsi adeguatamente nel mondo del lavoro.
Di più, si fa strada l’intuizione che tale progettualità debba andare nel senso di costruire sul territorio degli «ecosistemi formativi», ovvero insiemi di relazioni coerenti e strutturate su più livelli, con più soggetti uniti dalla questione formativa (come, ad esempio, una continuità formativa di filiera sviluppando partnership con ITS e IFTS), e con una vera e propria governance tale da edificare progettualità finalizzate all’inclusione sociale delle future generazioni.
Un secondo asse è quello temporale. L’azione formativa tende a prolungarsi nel tempo, oltre l’acquisizione della qualifica degli/lle allievi/e. Si tratta di agevolare e accompagnare i/le giovani favorendoli nell’inserimento lavorativo perché non si disperda e vanifichi quanto realizzato durante il percorso scolastico. Di qui, lo sviluppo di servizi al lavoro, orientamento, assegni di accompagnamento: strumenti che possano fluidificare la collocazione lavorativa.
Ciò non di meno, questo punto richiede un supplemento di riflessione. Qual è il punto di equilibrio fra l’implementazione di attività volte a favorire l’ingresso dei/lle giovani nel lavoro e, invece, il divenire un’agenzia per il lavoro, analogamente a quelle già presenti sul mercato? L’interrogativo rimane aperto, così come la tensione a realizzare iniziative rivolte – non va dimenticato – a giovani che non di rado giungono a questi percorsi di formazione da situazioni di marginalità sociale ed educativa.
Un terzo asse riguarda la centralità delle persone. In una duplice declinazione: i/le giovani e i tutor formativi. Nel primo caso, non si tratta di una novità per gli enti di {p. 17}formazione professionale. Per loro statuto e origine, l’attenzione a quanti fra loro presentano difficoltà costituisce un elemento fondativo, primario. Dare dignità e possibilità di entrare nel lavoro come fattore di autonomia e di inserimento sociale. Oggi però quell’obiettivo pare ampliarsi. Entrare nel mondo del lavoro, trovare un’occupazione è un requisito necessario, ma non sufficiente. Attraverso il lavoro si arriva al tema dell’occupabilità delle persone e alla piena cittadinanza. Al fornire alle giovani generazioni, in particolare quelle meno abbienti, quell’insieme di risorse (sociali, relazionali, formative) che consentano a una persona di muoversi adeguatamente in un mercato del lavoro sempre instabile e in costante evoluzione.
Sotto questo profilo, gli enti diventano progressivamente dei mediatori (culturali) fra giovani e imprese: i linguaggi, i codici comportamentali e le rappresentazioni del lavoro diffuse presso le giovani generazioni più spesso sono disallineate rispetto alle richieste e alle esigenze delle imprese. Serve un’opera educativa di riallineamento e di maggiore congruità, di mediazione appunto, sia sul versante dei giovani, ma anche nei confronti delle imprese. Inoltre, va considerato come stia aumentando il peso delle soft skills (motivazioni, atteggiamento, relazione) rispetto a quelle hard (tecnico-professionali).
Di conseguenza, gli enti di IeFP da erogatori di qualifiche, dovranno trasformarsi in certificatori di competenze: si tratta di un cambiamento che richiede (e richiederà) uno sforzo significativo non solo sotto il profilo organizzativo, ma anche didattico e nei confronti delle istituzioni. La certificazione delle competenze richiede modalità di valutazione innovative, così come l’effettivo riconoscimento e legittimazione da parte delle istituzioni regionali. In questa direzione, i corsi associati a profili potranno diventare percorsi di competenze componibili: una certificazione di competenze richiede un’organizzazione didattica flessibile, non più sviluppata a «canne d’organo», ma predisposta con un carattere modulare e componibile, quasi tailor made.
In questo contesto, la novità è rappresentata dal ruolo del tutor formativo che assume una centralità particolare {p. 18}e una peculiarità. Non è solo una mera trasformazione del profilo professionale di chi seguiva gli stage aziendali. Il tutor formativo diventa un’interfaccia chiave nell’esperienza duale, poiché si pone in un crocevia di relazioni fra il corpo docente, gli/le allievi/e e le imprese. Ciò richiede capacità di visione, di mediazione, talvolta anche abilità psicologiche per sostenere i/le giovani inserite nel lavoro. Insomma, una figura con capacità «trasversali», con un ruolo «perno» del percorso duale e che richiede strutturazione professionale e legittimazione.

1.2. Una valutazione da tripla «A»

Il bilancio che gli enti di IeFP interpellati fanno sul percorso duale fin qui realizzato è largamente positivo. Prendendo ad analogia i rating delle società finanziarie, potremmo sostenere che ottengono una «tripla A»: Accoglienza, Accompagnamento, Agenti di formazione. I tratti che gli enti mettono in evidenza nelle esperienze che hanno e stanno svolgendo possono essere riassunti secondo queste tre dimensioni.
Accoglienza perché gli enti di IeFP continuano a farsi carico di quella parte di giovani che, a causa di condizioni di marginalità sociale, di povertà educativa e sociale, di difficoltà a un approccio teorico dello studio, rischiano di rimanere periferici, se non esclusi. Come sosteneva don Milani nel 1967 «la scuola ha un problema solo: i ragazzi che perde». Non è però un’accoglienza passiva, assistenziale. Ma l’obiettivo è di offrire nuove chances, opportunità a giovani che necessitano di mobilitare le risorse di cui dispongono (esplicite e potenziali) e di acquisirne altre, con l’obiettivo di assumere occupabilità e cittadinanza. Il fatto che, alla prova degli esami finali, i/le giovani che hanno sperimentato il percorso duale raggiungano risultati migliori degli altri, è una prima conferma della bontà dell’intuizione del duale: la fusione del sapere pratico con quello teorico danno vita a una ricomposizione dei saperi. E non hanno minore dignità rispetto ai percorsi di formazione tradizionali.{p. 19}
Accompagnamento perché i/le giovani necessitano non solo di essere indirizzati, ma anche accompagnati nell’intero percorso formativo e poi almeno nella fase iniziale dell’inserimento lavorativo. Non con uno spirito «protettivo» e rassicurante, ma con l’obiettivo di consolidare le competenze. È un accompagnamento fatto di orientamento (e talvolta di ri-orientamento quando in precedenza hanno fatto scelte scolastiche che hanno portato a un fallimento). Di affettività perché l’apprendimento necessita anche di una relazione calda, di sprone a superare gli ostacoli e a rielaborare le esperienze di inserimento lavorativo. E, successivamente, di servizi legati al lavoro, nell’incrociare la domanda con l’offerta di lavoro. Spesso, infatti, il mancato incontro fra domanda e offerta del lavoro è frutto di immagini e rappresentazioni distorte delle professioni presso le giovani generazioni e le loro famiglie. In questo senso, gli enti agiscono lungo due versanti: da un lato, aiutare gli/le alunni/e a conoscere in modo più realistico le diverse professioni e i luoghi di lavoro; dall’altro, le imprese a presentare le trasformazioni organizzative avvenute al loro interno e cercare di comprendere anche le culture del lavoro, le aspettative che le giovani generazioni presentano.
Agenti di formazione, da non confondersi con «agenzie» di formazione. Agenti nel senso di sviluppare per i giovani una agency [10]
, ovvero di formare l’abilità di sapere agire, di strutturare un percorso e una progettualità di vita. Questo aspetto si correla fortemente con la tensione degli enti di IeFP a ricercare una condivisione di progettualità formativa, anche sul territorio, con altre realtà interessate a sviluppare sinergie formative. Poiché l’attenzione alla persona non può essere disgiunta da un’altrettanta attenzione al contesto. Sempre di più, in una realtà segnata da velocità di cambiamento accelerata e da incertezza, è necessario individuare alleanze formative fra più realtà che permettano la costruzione di progetti partecipati.{p. 20}

1.3. Alcune questioni aperte

Al termine dell’analisi esplorativa, vale la pena evidenziare anche un insieme di criticità e questioni che rimangono aperte sui primi anni di esperienza duale, e che richiedono interventi di aggiustamento. Possono essere ricondotte ad alcuni grandi macroambiti. Un primo aspetto è di «sistema». Per un verso, com’è facilmente intuibile, si registra (e, purtroppo, conferma) un divario territoriale – analogamente ad altri fenomeni – che separa le aree dove la presenza di imprese è consolidata e strutturata (le aree del Centro-Nord), da quelle dove il novero del sistema produttivo è meno diffuso (Mezzogiorno). Le situazioni si presentano per alcuni versi radicalmente diverse e, di conseguenza, anche l’azione degli enti di IeFP ne risente generando una prima frattura nelle condizioni operative. A questo aspetto si aggiunge quello istituzionale, con differenze marcate da parte delle regioni del Mezzogiorno (anche se non tutte) nel gestire un’innovazione come quella del duale. Mentre più spesso nel Nord del paese gli enti pubblici regionali hanno loro stessi spinto e promosso l’applicazione del duale, nel Mezzogiorno prevale una latitanza su questo versante.
Per altro verso, queste faglie territoriali nell’esperienza duale (e non solo) riflettono anche una sostanziale assenza di regia a livello nazionale nella sua applicazione. Il demandare alle regioni la gestione della sperimentazione, agli occhi degli interpellati, ha marcato nuovamente le divisioni territoriali. Proprio per le difficoltà in cui sono immerse le istituzioni regionali, in particolare nel Mezzogiorno del paese.
Di più, è lo stesso mondo degli enti di formazione professionale a presentarsi frastagliato, (dis)articolato. E così si percepisce e si autorappresenta. È sufficiente rinviare, in parte, all’idea e alla visione di formazione professionale che non appare da tutti partecipata alla medesima maniera. Fino alla scarsa condivisione di progettualità, di scambio di esperienze, di messa in comune di buone pratiche. Talvolta, frutto di gelosie, di temere la concorrenza di altri enti, per spirito di sopravvivenza: basti rinviare alle disparità di realizzazione in merito alle attività di orientamento, di rilevazione dei
{p. 21}fabbisogni professionali, così come un’assenza di strategia di comunicazione all’esterno. In sintesi, si registra un brulicare di iniziative, un’effervescenza di idee e di progetti, ma che non riescono a elevarsi a sistema, a generare un vero e proprio organismo della formazione professionale nazionale.
Note
[10] Il primo a evidenziare questa dimensione fu A. Giddens, Central Problems in Social Theory: Actions, Structure and Contradiction in Social Analysis, London, MacMillian, 1979.