Damiano Previtali
La scuola mediterranea
DOI: 10.1401/9788815371102/c1
È giunto il tempo di esplorare più a fondo il rapporto tra educazione e sviluppo, domandandosi quali siano stati i compiti che nella storia dell’Occidente la società ha affidato alla scuola, come questi abbiano influito sulla sua organizzazione e come la scuola sia stata rilevante per determinare le condizioni per lo sviluppo [13]
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Infatti la scuola con i suoi processi formativi ed educativi ha un ruolo determinante e può contribuire in modo sostanziale a modificare il sociale. Se così non fosse il Meridione non sarebbe la causa dei divari, come si usa pensare, bensì l’effetto. Infatti si consoliderebbe la «conseguenza» della contrapposizione: un’idea di inerzia meridionale che si autoconferma, inibendo il cambiamento e l’innovazione. Già in molti non sono interessati al cambiamento, essendosi costruiti nel tempo delle convenienze personali (legittime e/o illegittime) con delle posizioni di rendita immediata anche a discapito del bene comune. È un tipico esempio di «punteggiatura» [14]
fra le parti che definisce e organizza la natura delle relazioni individuali e sociali. È il famoso dilemma del prigioniero [15]
: quando uno cerca innanzitutto il maggior beneficio per sé, anche a discapito dell’altro, il risultato finale sarà la perdita di tutti e due: nel nostro caso, a discapito del Paese.
In realtà la scuola può contribuire anche a una diversa idea sul Mezzogiorno in quanto, a differenza di altri ambiti, è libera da vincoli, ha una pluralità di portatori di interessi, è autonoma nelle scelte, ha un substrato valoriale, ha una forte dimensione etica, ha obiettivi chiari da perseguire di cui rendere conto pubblicamente. In sintesi, la scuola non ha benefattori, non ha protettori, non ha clientele e vischiosità che caratterizzano alcune coazioni a ripetere del Meridione, ma sa dove andare, ha una missione, ha una meta, ha una strada tracciata e per la prima volta dispone anche di dati puntuali e di analisi raffinate sulla propria situazione di partenza. In definitiva, dispone di una chiarezza che altri settori oggi non possiedono. Da qui è facilmente comprensibile che la diversa considerazione sulla scuola non è un artificio retorico bensì una realtà e, allo stesso tempo, una realtà sottovalutata per lo stesso sviluppo del Paese.{p. 41}
Pensiamo ad esempio ai «Patti di comunità». In termini generali i Patti si realizzano attraverso delle intese fra enti locali e istituzioni pubbliche e/o private e Terzo settore in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale [16]
. L’accento sulla «comunità» prefigura delle collaborazioni volte alla promozione dell’interesse generale, mediante la tutela di «beni comuni urbani» funzionali allo svolgimento della vita sociale e culturale del territorio di riferimento.
La scuola rappresenta un bene fondamentale per la comunità e, pertanto, può essere un ambito privilegiato per rafforzare l’alleanza educativa tra scuola, famiglia e società civile. In questo modo abbiamo i «Patti educativi di comunità». L’attenzione all’educativo non è solo l’attuazione concreta del principio costituzionale del diritto/dovere all’istruzione o del principio di sussidiarietà, bensì il riconoscimento della centralità della scuola come promotrice di un approccio partecipativo e cooperativo allo sviluppo. Solo attraverso un Patto di comunità, che valorizzi la corresponsabilità educativa di tutti con lo specifico contributo di ogni realtà territoriale a partire dalla scuola, si possono assumere sfide immani come la povertà educativa in cui ogni tentativo frammentato, per quanto ben intenzionato, è destinato al fallimento. In questa accezione il Patto di comunità non riguarda semplicemente l’utilizzo funzionale di un «bene comune urbano», come può essere l’edificio scolastico, ma più complessamente un progetto educativo per lo sviluppo di una comunità sociale.
L’idea dei Patti educativi di comunità è quindi di aprire alla scuola reali spazi di arricchimento formativo e, a un tempo, rendere la comunità corresponsabile dell’educazione [17]
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Dobbiamo anche evidenziare che tutti tendono a essere in accordo con questa impostazione, finché non si pone una {p. 42}variabile ineludibile per i processi educativi che riguardano le persone e lo sviluppo di una comunità: il tempo necessario. Purtroppo i grandi investimenti, e con essi l’approccio economico del ricavo immediato e della sua quantificazione, richiedono risultati a breve termine, mentre l’approccio educativo, come risaputo, necessita di tempi lunghi, in alcuni casi di ricambi generazionali.
Pensiamo quindi che bisognerebbe adottare una politica che, dichiarando onestamente la necessità di tempi lunghi, dia centralità alle questioni sociali propriamente dette e priorità agli interventi capaci di rimuoverle, a partire da forti investimenti nel capitale umano [18]
.
Queste semplici argomentazioni sono finalizzate a innestare sani dubbi sulle narrazioni (anche la nostra) che, con eccessiva enfasi, prefigurano un nuovo Risorgimento meridionale o una nuova Rivoluzione meridionale, in quanto dovranno fare i conti con gli interessi personali (in piccolo) e con le sedimentazioni della storia (in grande), magari dimenticata dalla memoria individuale, ma comunque radicata nella memoria collettiva. Abbiamo riportato intenzionalmente i termini Risorgimento e Rivoluzione in quanto il primo è ripreso da Il mezzogiorno e la politica italiana di Luigi Sturzo [19]
e il secondo è ripreso da Note sul problema meridionale di Antonio Gramsci [20]
. Il diverso approccio lessicale prefigura la diversa prospettiva politica, ma senza ombra di dubbio il Risorgimento e la Rivoluzione riportano ai grandi ideali che mobilitano «masse» ed energie sociali, mentre oggi, purtroppo, viviamo in un tempo di piccole idee. Valorizzare la scuola mediterranea è un’idea (piccola) che può diventare grande nel momento in cui promuove il Mezzogiorno.{p. 43}

2. Gli inciampi sulla scuola del Mezzogiorno

Tutti abbiamo avuto l’esperienza fisica dell’inciampo: qualcosa di inatteso che, frapponendosi lungo il nostro percorso, destabilizza le prassi e ci obbliga a ricercare immediatamente un nuovo equilibrio per non cadere con effetti disastrosi. Così avviene anche per le nostre certezze, quando un inciampo conoscitivo ci destruttura con nuovi argomenti su cui continuiamo a interrogarci. Con questo intento, presentiamo tre inciampi che ci interrogano. Non sono inciampi della scuola, bensì sulla scuola, essendo, in buona parte, indipendenti dalla sua volontà.

2.1. Primo inciampo: l’utilizzo dei dati

In principio fu il Quaderno bianco sulla scuola a rilevare, in modo impietoso, come si chiede a un buon medico, che «le responsabilità del ritardo italiano assumono particolare peso nel Centro e, soprattutto, nel Sud del Paese [...] in termini di conoscenze, abilità e competenze, è proprio nel Sud del Paese che si concentra il ritardo italiano» [21]
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Ovviamente quest’analisi era già a disposizione fra gli esperti del settore, ma con il Quaderno bianco abbiamo un documento ufficiale del Ministero che entra nella comunicazione pubblica indicando nel Sud la responsabilità del ritardo italiano. In particolare, il grafico a pagina 82 del Quaderno (fig. 1.1) riporta la distribuzione dei voti conseguiti dai quindicenni in matematica, nell’ultima scheda di valutazione, con risultati tutto sommato simili fra Nord, Centro e Sud, eppure le competenze effettive degli studenti, rilevate da una prova standardizzata (Ocse-PISA) e messe a confronto, sono molto diverse.
In sostanza non vi è corrispondenza fra i voti dei docenti e le competenze rilevate dalla prova standardizzata: i voti sono simili, ma le competenze sono drammaticamente diverse. Ne {p. 44}consegue che gli stessi voti non sono reali: pertanto quando uno studente del Sud viene valutato 7 in matematica in realtà è come se fosse un 4 e prima o poi il mondo della vita, a differenza del mondo della scuola, gli chiederà conto [22]
. In questa comunicazione vi è un sottinteso: nelle valutazioni i docenti del Sud sono intenzionalmente generosi.
Fig. 1.1. Ministero dell’Economia e delle Finanze e Ministero della Pubblica Istruzione, Quaderno bianco sulla scuola, settembre 2007, p. 82.
Fig. 1.1. Ministero dell’Economia e delle Finanze e Ministero della Pubblica Istruzione, Quaderno bianco sulla scuola, settembre 2007, p. 82.
In realtà il grafico mette in comparazione due punteggi con valore diverso e su scale diverse: infatti il voto di matematica di un professore è la sintesi di un programma e di un percorso in un lungo arco temporale, mentre la prova Ocse-PISA è una rilevazione secca e asettica in un certo punto
{p. 45}dell’anno e su alcuni argomenti di matematica. Potremmo continuare: la valutazione del professore utilizza una pluralità di strumenti e di modalità, l’Ocse ha una sua metodologia di rilevazione ristretta a un solo strumento; la valutazione della scuola è formativa mentre il test è standardizzato; la prima è contestualizzata e la seconda decontestualizzata, longitudinale e verticale, ecc.
Note
[13] P. Bianchi, Nello specchio della scuola. Quale sviluppo per l’Italia, Bologna, Il Mulino, 2020, p. 56. Ibidem, p. 91: «[...] approcci convergono nel ritenere l’educazione, data dall’istruzione di base e dal successivo costante training educativo, l’elemento fondante della crescita e la base stessa della partecipazione democratica. Convergono anche nel ritenere che un paese che non investe in educazione e qualità delle strutture educative non solo si condanna a una bassa crescita, ma anche a una crescente disuguaglianza interna che a sua volta inciderà sulla qualità dello sviluppo e della democrazia, incidendo negativamente sulla formazione della persona e della comunità, sulle competenze necessarie allo sviluppo e infine sulla formazione e selezione della classe dirigente».
[14] P. Watzlawick, J.H. Beavin e D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Roma, Astrolabio, 1971, p. 222.
[15] Ibidem, p. 52.
[16] Costituzione, art. 118, comma 4: «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà».
[17] P. Bianchi, Nello specchio della scuola, cit., p. 115.
[18] Cfr. C. Borgomeo, L’altro divario, in G. Coco e C. De Vincenzi (a cura di), Una questione nazionale. Il mezzogiorno da problema a opportunità, Bologna, Il Mulino, 2020, p. 122.
[19] L. Sturzo, Il mezzogiorno e la politica italiana, in L. Sturzo e A. Gramsci, Il Mezzogiorno e l’Italia, Roma, Studium, 2012, p. 79.
[20] A. Gramsci, Note sul problema meridionale e sull’atteggiamento nei suoi confronti dei comunisti, dei socialisti e dei democratici, in L. Sturzo e A. Gramsci, Il Mezzogiorno e l’Italia, cit., p. 161.
[21] Ministero dell’Economia e delle Finanze e Ministero della Pubblica Istruzione, Quaderno bianco sulla scuola, settembre 2007, p. 82.
[22] «Al quadro che emerge dalle indagini internazionali non corrisponde quello tracciato dai voti scolastici. In base ad analisi condotte sui dati PISA, la correlazione tra valutazioni “esterne” e “interne” appare molto debole, denunciando una scarsa capacità di queste ultime di segnalare la reale preparazione degli studenti. Il fenomeno potrebbe dipendere dalla tendenza ad adottare una scala di valutazione relativa, con scarsa considerazione della preparazione in termini assoluti degli studenti». Banca d’Italia, Relazione annuale 2007, p. 90.