Damiano Previtali
La scuola mediterranea
DOI: 10.1401/9788815371102/c3
In realtà queste sono finalità generali e di sistema, ma cosa significa assumere un carattere da scuola mediterranea? Proviamo a dirlo con la lettera che il preside di un liceo americano aveva l’abitudine di inviare ai suoi insegnanti
{p. 112}all’inizio di ogni anno scolastico. Questa lettera ha fatto il giro del mondo diventando parte della nostra conoscenza, in quanto ben rappresenta una questione fondamentale, oramai smarrita: la finalità educativa della scuola.
Caro professore,
sono un sopravvissuto di un campo di concentramento. I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano dovrebbe mai vedere: camere a gas costruite da ingegneri istruiti; bambini uccisi con veleno da medici ben formati; lattanti uccisi da infermiere provette; donne e bambini uccisi e bruciati da diplomati di scuole superiori e università. Diffido – quindi – dell’educazione. La mia richiesta è: aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani. I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti. La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani [6]
.
Nella lettera vi è un’affermazione perentoria, «diffido dell’educazione», e un invito pressante, «rendere i nostri figli più umani».
L’apertura all’umanità porta la persona all’interno di una comunità viva, di una storia vera, di un luogo identitario, porta a un’idea di bene comune. L’educazione all’umano permette di umanizzare anche la scuola, oramai trascinata dentro una moltiplicazione di bisogni a cui si chiede di corrispondere in modo sempre più pressante con un forte disorientamento rispetto alle sue finalità.
Questo tema, che tocca l’essenza del processo educativo, oggi è ancora più sentito in quanto la famiglia è sempre più in difficoltà, le agenzie di tipo aggregativo che supportavano la famiglia sono venute meno, gli orientamenti in ambito sociale sono confusi. Così, le carenze educative in ambito familiare [7]
e sociale si riversano sulla scuola con una serie {p. 113}di insidie, fra cui la semplificazione del processo educativo che rischia di essere ridotto alla trasmissione di qualche contenuto da riportare in un’interrogazione di memoria scolastica con tanto di valutazione.
All’interno di un contesto sempre più frammentato e confuso risultano fondamentali le scelte identitarie della comunità educante, con una consapevolezza:
ogni persona tiene nelle sue stesse mani una responsabilità unica e singolare nei confronti del futuro dell’umanità [8]
.
Una visione antropologica di educazione in cui l’uomo si genera all’interno della sua umanità, in cui si rende manifesta «la vita» che nasce a scuola e non semplicemente l’apprendimento di alcune conoscenze.

1.3. A partire dallo studente

In più parti del testo abbiamo portato l’attenzione sulle competenze per la persona, volendo con questo rimarcare che l’educazione è una proposta esterna ma si realizza solo se incontra la motivazione e l’interesse dello studente. Le competenze sono e restano della persona, in luoghi e in tempi diversi della propria vita, ma per noi il punto di riferimento è l’ambiente di apprendimento della scuola. Ovviamente lo studente è lo stesso, unico e inscindibile, che in famiglia definiamo figlio, nel gruppo compagno o nelle relazioni amico. Ma la scuola ha una sua missione, un codice comunicativo, una metodologia che la distingue e la qualifica. I sistemi sociali si distinguono in particolare per lo scopo [9]
. Così la persona a scuola assume una sua identità di {p. 114}studente, anche se la tendenza culturale è alla ricerca della generalizzazione, della massificazione, della standardizzazione. Eppure proprio in Italia abbiamo avuto esperienze, metodologie, figure, con valore culturale a livello mondiale, che hanno posto l’attenzione sullo studente. Basterà ricordare l’esperienza dell’attivismo pedagogico [10]
, anche se da anni stiamo assistendo a un fenomeno inverso in cui il processo educativo non viene finalizzato allo studente bensì viene ricondotto, dai più, all’utilità e alla spendibilità.
Gli stessi studenti, oramai ultrasocializzati, non comprendono perché dovrebbero studiare ciò che è privo di «utilità» e in particolare le discipline considerate «morte». A questa posizione corrisponde tutta l’attenzione odierna sulle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) determinanti per la promozione della cultura scientifica e anche per i possibili sviluppi occupazionali. Tant’è che in Europa, così come a livello internazionale, si è avvertita la necessità di creare specifici programmi scolastici, oltre a realizzare connessioni tra queste discipline e le occupazioni ad esse collegate. Tutto questo naturalmente stride con quella che viene considerata la «vecchia scuola», anche se «nella vecchia scuola, lo studio grammaticale delle lingue latina e greca, unito allo studio delle letterature e storie politiche rispettive, era un principio educativo [...] Le singole nozioni non venivano apprese per uno scopo immediato pratico-professionale: esso appariva disinteressato, perché l’interesse era lo sviluppo interiore della personalità» [11]
.
Non si tratta di ridurre le due posizioni a una banale contrapposizione fra approccio scientifico e approccio umanistico, quanto di portare in superficie la finalità della formazione a partire dall’orientamento dello studente e per «lo sviluppo interiore della personalità».
Al contrario, purtroppo, abbiamo costruito un postulato sociale secondo cui l’educazione serve a stare nel mondo, o meglio, proprio in questo mondo, a cui bisogna corrispondere per trarne qualche beneficio. Quando in realtà «Proprio l’esperienza dell’apparentemente inutile e l’acquisizione di un bene non immediatamente quantificabile si rivelano investimenti i cui profitti vedranno la luce nella longue durée» [12]
.
Nel momento in cui abbiamo accettato, anche implicitamente, lo spostamento dai bisogni della persona ai bisogni sociali abbiamo di fatto pregiudicato la possibilità di educare. Infatti l’educazione parte dalla persona, dalla sua capacità di fare esperienza e di riflettere sull’esperienza che è propria dell’umano. Infatti nello stesso PNRR si riconosce che «l’intervento sulle discipline STEM agisce su un nuovo paradigma educativo trasversale di carattere metodologico. Lo scopo è quello di creare nella scuola la cultura scientifica e la forma mentis necessaria a un diverso approccio al pensiero scientifico» [13]
.
Affinché l’esperienza diventi conoscenza lo studente ha bisogno di un maestro e di una relazione educativa che lo introduca nel mondo, ha bisogno di essere rigenerato al sociale ma a partire dalla sua umanità, dai suoi talenti, dalle sue passioni da realizzare anche attraverso le discipline che, di fatto, sono uno strumento disciplinato dalle conoscenze. Ma il cuore pulsante dell’educazione è, e rimane, nella genesi personale. Il protagonista del processo educativo è innanzitutto lo studente, inteso come un tutto, perché considerato a sua volta capace di totalità. La dimensione propria {p. 116}dell’umano che si caratterizza fra i viventi per uno sguardo d’insieme su di sé e sull’altro, sulla dimora e sul mondo, sulla sua cronaca personale ma necessariamente all’interno della comune storia sociale. Un modo di vedere aperto alla vita, agli orizzonti che abbracciano e comprendono tutto il possibile, tanto da arrivare sino alle questioni fondative dell’umano come la felicità, la verità, la giustizia, l’esistenza di Dio che tanto hanno improntato la nostra filosofia e il nostro modo di pensare. «L’eccedenza della vita, rispetto alla vita stessa» diviene «energia che circola in forma invisibile e che va oltre la vita, pur essendo immanente alla vita» [14]
. Mentre l’attuale approccio, se si preferisce la cultura postmoderna, di cui la scuola si è intrisa, è la riduzione, l’elusione, la sottrazione, la fuga della complessità, dai grandi dilemmi, dalle potenti narrazioni culturali che hanno portato idee sull’uomo e un senso unitario alla storia dell’umanità. «I dilemmi morali ai quali le scienze non rispondono sono l’essenziale» [15]
.
Così ci ritroviamo smarriti per la continua semplificazione, interna agli attuali percorsi educativi in ambito scolastico, a discapito della grandezza dell’uomo. Sappiamo che ogni studente, così come è stato per tutti noi, porta nel suo intimo aspirazioni, desideri, speranze di conoscere e realizzare sé stesso in pienezza e felicità, soprattutto attraverso l’incontro con gli altri, i compagni, il maestro, la scuola in cui invece trova, il più delle volte, solo alcune informazioni e nozioni da utilizzare per risolvere i problemi legati alle «leggi del mondo».
Alla domanda chi sei tu e perché vivi noi non abbiamo risposta, e neppure ce ne curiamo; ma se vuoi conoscere le leggi del mondo, quelle delle combinazioni chimiche o quelle dello sviluppo degli organismi, quelle dei corpi e delle loro forme e le relazioni fra i numeri e le grandezze, o se vuoi conoscere le leggi della tua intelligenza, ebbene per tutto ciò noi ti daremo risposte chiare, precise e inoppugnabili [16]
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{p. 117}
Note
[6] A. Cojean, Les mémoires de la Shoah, in «Le Monde», 29 aprile 1995.
[7] «I genitori, poiché han trasmesso la vita ai figli, hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori di essa»: Paolo VI, Gravissimum Educationis, 28 ottobre 1965. Gravissimum Educationis significa fondamentale educazione e deriva dalle prime parole del testo.
[8] Per un nuovo umanesimo è un paragrafo di Cultura scuola persona nato con la prima stesura delle Indicazioni nel 2007. Vedi Ministero della Pubblica Istruzione, Indicazioni per il curricolo, Napoli, Tecnodid, 2007, p. 20.
[9] Talcott Parsons definisce uno strumento di analisi di qualsiasi sistema sociale attraverso il modello AGIL. La lettera G sta per Goal attainment, ovvero raggiungimento dei fini o degli scopi, in cui i fini sono dati dal sistema generale, in particolare dalla politica al sottosistema sociale scuola (le altre lettere sono: A = Adaptation, funzione adattiva; I = Integration, funzione integrativa; L = Latent pattern maintenance, mantenimento del modello latente). Vedi T. Parsons, Famiglia e socializzazione, Segrate, Arnoldo Mondadori, 1974.
[10] L’attivismo pedagogico ebbe come riferimento il filosofo americano John Dewey e in Italia Maria Montessori. L’attivismo ha come scopo la creazione di una scuola non convenzionale, non impostata sul nozionismo e sull’ascolto passivo o sullo studio individuale, come erano state le scuole sino ad allora, bensì basata sugli interessi dei discenti. In altre parole, una scuola secondo la psicologia dell’alunno e non del maestro.
[11] A. Gramsci, Quaderni dal carcere, vol. III, quaderno 12, edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V. Giarratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 1540. I Quaderni sono disponibili in forma digitale sul portale del Gramsci Project: http://www.gramsciproject.org.
[12] N. Ordine, L’utilità dell’inutile, Milano, Bompiani, 2013, p. 117.
[13] Piano nazionale di ripresa e resilienza, p. 188.
[14] P. Barcellona, Elogio del discorso inutile. La parola gratuita, Bari, Dedalo, 2010, p. 15.
[15] G. Steiner, Grammatica della creazione, Milano, Garzanti, 2003, p. 248.
[16] L.N. Tolstoj, La confessione, Milano, SE, 2000, p. 36.