Damiano Previtali
La scuola mediterranea
DOI: 10.1401/9788815371102/p4

Motivazioni

In prima persona

Da quando ho intrapreso una ricerca sulla mediterraneità e inevitabilmente sul Sud, fuori dagli schemi obsoleti, ho trovato lo sguardo insofferente sia dei settentrionalisti sia dei meridionalisti. Con l’aggravante dell’accento bergamasco, ho avvertito subito, a pelle, un sentimento di rancore da una parte per il tradimento dei conterranei e dall’altra di sfiducia per l’estraneo lontano da una storia. Dunque una narrazione destinata al fallimento e proprio per questo motivo libera, senza la necessità di rassicurare gli uni e gli altri. Anzi, volendo amplificare ulteriormente l’insostenibilità di questa impresa, confesserò che chi scrive ha un albero genealogico radicato in un paesino della bergamasca dal 1472 (prima non si sa, ma si può immaginare); ha come prima lingua il bergamasco parlato quotidianamente fino all’età di 6 anni quando, in prima elementare, la maestra ha chiesto ai genitori di parlare l’italiano in famiglia; ha scritto il suo primo libretto a vent’anni in dialetto forse perché si è sentito espropriato della parola originaria; frequenta regolarmente persone che sognano un Nord sovrano e libero dalla zavorra del Sud. Insomma, un imprinting, come tanti, del profondo Nord, che superficialmente stride ma profondamente dialoga con il profondo Sud che si sente «altro» da una rappresentazione asfittica della realtà. Oppure, come argomenterebbe l’antropologia interpretativa, uno sguardo rivelatore [1]
che cerca di andare oltre l’inutile dualismo del noi e del voi, {p. 20}dello sviluppo e dell’arretratezza, dell’intraprendenza e dell’indolenza, dell’europeismo e del meridionalismo, per cercare di capire se è possibile una diversa narrazione, in particolare a partire dalla scuola.
Sono consapevole della latente incomprensione verso la diversa narrazione, ma è decisamente più sopportabile dell’inquietudine personale per l’afasia, per la mancanza delle parole o, peggio, per un linguaggio che non riflette la realtà e per molti aspetti non rispetta il lavoro di docenti, dirigenti, collaboratori che quotidianamente aprono con cura le scuole accogliendo i bisogni di ogni singolo studente.
Prima di ridurre qualunque divario abbiamo bisogno di parole nuove e nello stesso tempo di una storia nuova per portare in superficie il valore della mediterraneità. Se così non fosse, incorreremmo nel paradosso che la possibile riduzione dei divari fra Nord e Sud aumenterà comunque le distanze, in quanto alle fatiche del Mezzogiorno non corrisponderanno le considerazioni del Paese. Nella scuola questo rischio è già presente nel momento in cui molti docenti investono quotidianamente la loro competenza e passione per migliorare i risultati degli studenti (ci riescono) ma si vedono comunque trascinati in un tutto indistinto in cui le scuole sono un problema per il Paese. Siamo sopraffatti dalla retorica corrente che non si interroga più sulla complessità della realtà, ma è sempre più trascinata in luoghi comuni, stratificati nel tempo, che diventano una rappresentazione socialmente accreditata [2]
.
Da qui la narrazione in prima persona, che nasce da un’inquietudine personale e da un’indignazione sociale [3]
. {p. 21}Un’inquietudine per l’inadeguatezza del pensiero e del linguaggio, un’indignazione per la dissipazione delle risorse professionali ed economiche. Per questo «le motivazioni» sono in prima persona singolare, per poi diventare una diversa narrazione e una storia nuova in prima persona al plurale [4]
.
Ancora oggi continuo a chiedermi perché uno come me, che ha sempre avuto lo sguardo su un confine definito da una siepe, ha voluto guardare l’orizzonte indefinito che separa il mare dal cielo, perché mi sono lasciato attrarre dalla mediterraneità e dalla scuola mediterranea, perché mi sono dedicato a scrivere un libro che non può avere una conclusione. Credo sia stata l’opera del destino [5]
, un destino amico e «chi, anche per breve tempo, si è occupato di Mezzogiorno finisce per restare meridionalista per sempre. È accaduto a tanti, è accaduto anche a me» [6]
.
L’incipit è stato il progetto del Ministero per la riduzione dei divari territoriali in istruzione e un sano sentimento, che sempre mi accompagna, di inadeguatezza, con l’esigenza di studiare, approfondire, riflettere, capire, prima di fare. Solo di conseguenza è arrivato questo testo, pensato e scritto prima del Piano nazionale di ripresa e resilienza [7]
anche se, come si noterà dalla lettura, ne anticipa alcune priorità e obiettivi, non per abilità predittive bensì, molto più semplicemente, in quanto appartenenti al sentire comune, alla semantica sociale, alle ricerche e alle documentazioni disponibili. Infatti, sappiamo da tempo che abbiamo bisogno di riforme «orizzontali e di contesto» [8]
consistenti in innovazioni strutturali idonee a migliorare l’equità fra cui una nuova e diversa considerazione verso il Mezzogiorno. Così come abbiamo bisogno di riforme settoriali, fra cui determinante per il PNRR è la missione n. 4 Istruzione e
ricerca
[9]
, che «mira a rafforzare le condizioni per lo sviluppo di un’economia ad alta intensità di conoscenza, di competitività e di resilienza» [10]
con «un investimento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali», tant’è che «l’impatto complessivo sul PIL di questa missione è del 2,4% per il complesso del periodo» [11]
. Ora abbiamo bisogno di idee, progetti, metodologie, professionalità per realizzare un obiettivo così sfidante e ambizioso. Il libro affronta proprio questa sfida con uno sguardo inedito, per molti aspetti un’analisi destrutturante e una progettualità avvincente, come è necessario alle vere riforme.
L’attenzione alla riduzione dei divari che coinvolgono le competenze degli studenti è da tempo presente nel Ministero dell’Istruzione, anche se la definizione di un progetto specifico e mirato ha una data, il 10 luglio 2019. È la data della presentazione ufficiale del Rapporto Invalsi 2019, in cui per l’ennesima volta si rilevava e documentava, attraverso le prove nazionali in italiano, matematica e inglese, il gap nelle conoscenze di base fra il Nord e il Sud. A partire da quel giorno, l’allora indimenticato capo del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione Carmela Palumbo ha promosso una serie di incontri, finalizzati all’analisi e alla discussione su come affrontare i divari territoriali in istruzione, innanzitutto con Invalsi e poi con Indire, che hanno portato all’elaborazione del Piano per il superamento dei divari territoriali in istruzione. Il Piano è stato presentato il 21 gennaio 2020 al Ministero dell’Istruzione dall’allora viceministro Anna Ascani, che lo ha promosso e fortemente sostenuto e cui, per questo, va il nostro ringraziamento. Fra gli incontri che hanno contribuito a fare un salto di qualità dobbiamo ricordare quello con il presidente dell’Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio Francesco Profumo, in quanto ha alzato lo sguardo mostrando mete più ambiziose per la scuola e significative per il Paese. Da qui l’apertura a confronti fertili di pensiero inatteso, libero e profondo, come {p. 23}quelli con le Fondazioni e in particolare con la Fondazione per la Scuola, la Fondazione per il Sud e l’impresa sociale Con i Bambini per la loro missione e azione mirata contro la povertà educativa, ma soprattutto perché da sempre hanno individuato nella scuola lo snodo per la promozione della persona e di conseguenza del nostro Paese.
Negli ultimi anni, per quanto abbia potuto vedere da vicino la politica scolastica, per quanto mi sia arricchito di incontri privilegiati, per quanto mi sia nutrito di idee ambiziose e di documenti strategici, di fatto il mio cuore ha continuato a pulsare per le periferie. Credo che questo libro nasca proprio dal desiderio latente di sanare un debito di riconoscenza nei confronti di tutte le periferie scolastiche che erroneamente consideriamo marginali e in particolare nei confronti dei loro docenti che quotidianamente, pur senza alcun riconoscimento ma con tanta passione, prendono per mano ogni singolo studente e lo accompagnano a conoscere sé stesso e le regole del mondo.
Vorrei ringraziare inoltre Anna Maria Ajello e Ludovico Albert per la lettura preliminare delle bozze e i preziosi consigli di revisione, Patrizia Falzetti per avermi reso disponibili alcuni grafici e soprattutto Monica Logozzo per la meticolosa e paziente cura del testo.
Note
[1] «Vedere noi stessi come ci vedono gli altri può essere rivelatore [...] Se l’antropologia interpretativa ha qualche ruolo nel mondo è quello di continuare a re-insegnare questa fuggevole verità». Cfr. C. Geertz, Antropologia interpretativa, Bologna, Il Mulino, 1988, p. 22.
[2] Vedi l’attenzione al linguaggio comune di Wittgenstein, lo sviluppo della fenomenologia quotidiana di Husserl, il senso comune di Geertz, la rappresentazione della realtà di Luckmann. In una frase, attraverso la citazione forse più conosciuta di Hans-Georg Gadamer: «L’essere, che può essere compreso, è il linguaggio». Cfr. H.-G. Gadamer, Verità e metodo, Milano, Bompiani, 1986, p. 542. Vedi anche L’essere, che può essere compreso, è il linguaggio. Omaggio a Hans-Georg Gadamer, Genova, Il Melangolo, 2001, p. 15.
[3] «Ai giovani dico: guardatevi attorno, e troverete gli argomenti che giustificano la vostra indignazione»: vedi S. Hessel, Indignatevi!, Torino, ADD Editore, 2011, p. 19.
[4] In prima persona, al plurale è uno slogan sulla scuola, a mio avviso felice, utilizzato dalla CISL scuola.
[5] Citazione di C.G. Jung: «ogni libro è un’opera del destino».
[6] G. De Rita, Il lungo Mezzogiorno, Roma-Bari, Laterza, 2020, p. 3.
[7] Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è scaricabile all’indirizzo https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR_0.pdf.
[8] Ibidem, p. 32.
[9] Ibidem, p. 174.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem, p. 258.