Andrea M. Maccarini (a cura di)
L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c8
Per altro verso, per dirla con Furedi [2016], possiamo vedere la scuola fortemente in crisi, attraversata da tendenze per certi versi paradossali: basse aspettative nei confronti dei ragazzi, la tendenza a infantilizzarli attraverso una forte psicologizzazione del rapporto educativo e un continuo maternage, la centratura costante sulle loro motivazioni, il declino dell’autorità degli adulti minano ciò a cui l’istruzione dovrebbe mirare, cioè la formazione di persone autonome, critiche, capaci di una propria visione del mondo. Al tempo stesso, la scuola sembra essere pensata in maniera sempre più funzionale all’economia e al lavoro. Si dovrebbe allora – sempre secondo Furedi – portare una costante riflessione, in sostanza, sull’individuazione delle condizioni dell’educazione e dell’educabilità nelle specifiche condizioni attuali, cogliendone gli aspetti problematici ma anche quelli innovativi. A tal proposito, quale può essere allora una modalità positiva per ripensare la relazione tra genitori e istituzione scolastica? Alcuni studi [Corradini 1993] affermano che il rapporto fra istituzione scolastica e genitori può strutturarsi positivamente sulla base della condivisione di due aspetti principali. Il primo aspetto è che migliorando lo stile educativo dei genitori si creano le condizioni ottimali perché migliorino anche i figli nei loro apprendimenti e nel successo scolastico. Il secondo aspetto {p. 282}è che quanto più mature e fluide diventeranno le relazioni tra scuola e famiglia, tanto maggiore vantaggio ne ricaverà la scuola stessa nello sviluppo dei suoi obiettivi educativi e formativi. Vi è una corposa quantità di studi e meta-analisi nella letteratura educativa che hanno evidenziato i benefici associati al coinvolgimento dei genitori. Esso è considerato sia un fattore chiave per migliorare i risultati scolastici degli studenti, sia una strada per ridurre il divario tra i risultati scolastici degli studenti di classi sociali diverse. Altri benefici possono racchiudersi in un range che va da una maggiore autostima da parte degli alunni a una maggiore motivazione all’apprendimento, dallo sviluppo di migliori abilità sociali e di autoregolamentazione a minori difficoltà comportamentali [Changkakoti e Akkari 2008; Deslandes 2009; 2010]. Nel corso degli anni, tali ricerche hanno anche identificato i fattori che influenzano la quantità di coinvolgimento dei genitori, tra cui le caratteristiche dei genitori e delle famiglie (livello di istruzione, dimensioni e struttura della famiglia, etnia), le caratteristiche dei bambini (età, rendimento scolastico, sensibilità all’influenza della famiglia) e le caratteristiche e le pratiche degli insegnanti e delle scuole (valori, formazione). Questi possono essere fattori di rischio o di protezione. Ad esempio, la cura della formazione degli insegnanti su come lavorare con i genitori può essere vista come un fattore di protezione se, in seguito, si utilizzano strategie efficaci per promuovere il coinvolgimento dei genitori [Deslandes, Fournier e Morin 2008]. Ovviamente, il coinvolgimento dei genitori favorisce la collaborazione scuola-famiglia e viceversa. Alla scuola e ai suoi insegnanti è stato invece richiesto – nella rappresentazione delle insegnanti stesse – di sostituirsi ai genitori, cioè di educare in modo esclusivo i bambini – per esempio spiegando loro le regole e il significato delle regole. Tale attività educativa e regolativa non riguarda soltanto le attività didattiche (a titolo esemplificativo: fare i compiti entro la consegna, rispettare le scadenze, alzare la mano prima di parlare, ecc.), ma più in generale tutta la quotidianità scolastica (rispettare la fila per andare in bagno, rispettare i turni di parola, mangiare seduti e composti in mensa, usare le formule di cortesia nell’interazione, chiedere
{p. 283}scusa se si è stati maleducati o scortesi, stare in silenzio nei corridoi, rimanere in gruppo e aspettare le indicazioni della maestra per attraversare la strada, ecc.). Gran parte di queste regole si trasferiscono poi anche nell’ambiente domestico, ma spesso secondo le maestre non vi è né cooperazione da parte delle famiglie rispetto a questo mandato educativo, né un intervento di rinforzo di quanto appreso a scuola. In questo caso quindi la scuola assumerebbe su di sé per intero il compito educativo.
La mancanza di quotidianità scolastica a causa dell’emergenza sanitaria ha introdotto un ulteriore elemento in questo contesto. Le narrazioni delle insegnanti riferiscono di una polarizzazione negli atteggiamenti dei genitori, non necessariamente corrispondente a quanto già accadeva nella routine ante-emergenza. Da un lato vi sono i genitori che hanno recuperato un rapporto con i figli, che si dedicano a loro quasi continuamente lungo la giornata, aiutando nei compiti, interagendo con le insegnanti, provando a loro volta (su indicazione delle insegnanti stesse sollecitate in tal senso) ad accompagnare gli apprendimenti dei figli. Sono i genitori «di ritorno», quelli che nella quotidianità sono assorbiti a tempo pieno da uno o più lavori, che hanno più figli, vite piene e poco tempo. Questi genitori sono anche coloro che maggiormente si confrontano con gli insegnanti, li cercano come esperti autorevoli e spesso come profondi conoscitori dei loro figli.
Dall’altro lato stanno i genitori apprensivi e ossessivi, che già ritenevano la scuola inadeguata e insufficiente e ora l’accusano di non fare abbastanza, di non dare abbastanza compiti, di non monitorare abbastanza gli apprendimenti. Sono i genitori del «non è mai abbastanza». Ma sono anche i genitori che spesso formulano queste accuse perché non hanno alcun interesse a occuparsi in prima persona dei figli. Questi genitori, inoltre, destituendo del tutto di autorevolezza le figure docenti, creano un disorientamento profondo nei loro figli: i bambini faticano a seguire le lezioni e i materiali delle insegnanti e vengono monopolizzati dai genitori, che tuttavia spesso non dimostrano alcuna competenza didattica ed educativa in senso ampio.{p. 284}
È certo che per tutti la destrutturazione del tempo abbia avuto un impatto significativo sulle dinamiche familiari, le abbia rimodulate, esasperandone i tratti caratteristici, mettendo in luce le fragilità di alcuni e viceversa le risorse di altri. La situazione emergenziale ha richiesto una riorganizzazione di tempi, responsabilità, ruoli, scopi, priorità, regole e le famiglie hanno mostrato, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza, una difficoltà di adattamento. Due sembrano essere i principali fattori di stress a cui le famiglie sono esposte e che si riflettono negativamente sull’attività scolastica e parascolastica dei figli: la mancanza di alleanza educativa con la scuola, che oggi non è più in grado di assumersi compiti educativi, di intrattenimento, di regolazione e di saturazione del tempo; la difficoltà a gestire la coabitazione e la convivenza con figli che sono in larga parte cresciuti da altri; l’incapacità dei genitori a entrare efficacemente nella quotidianità scolastica dei figli, a seguirli nei compiti, negli apprendimenti, nei programmi a causa di una distanza dalla scuola, dai suoi metodi e dai suoi contenuti che dura da molto tempo, per molti dal primo ingresso dei bambini nel circuito educativo.

7. Un ritorno alla responsabilità sociale della scuola?

L’ultimo ventennio della scuola italiana è stato caratterizzato dalla presenza incombente di stereotipi in merito alle sue qualità, alla sua organizzazione, alle sue risorse umane.
La scuola primaria in particolare è stata spesso scambiata per un luogo in cui «sistemare» i figli, garantendo cura (e anche apprendimenti, ma in misura meno cruciale) durante le attività lavorative dei genitori («Non dobbiamo dimenticare che da quando io insegno almeno per molti genitori la scuola è sempre stata solo un parcheggio, un posto dove mettere i figli, del resto o non importava niente o si criticava o si ragionava solo per luoghi comuni, come se fare l’insegnante fosse un’attività banale alla portata di tutti», da focus con insegnanti della scuola Primula). La rappresentazione sociale degli insegnanti è andata cristallizzandosi nel tempo {p. 285}in un’immagine svalutativa, per conoscenze, competenze, metodi didattici, aggiornamenti; a questo si associavano i luoghi comuni in merito a una professione con pochi oneri e molti vantaggi: orario corto (mentre così non è), numero di giorni lavorati nell’anno molto inferiore a qualsiasi altro dipendente.
Se un cambiamento positivo l’emergenza ha portato, esso è, secondo alcune insegnanti, quello che riguarda la rivalutazione sociale della scuola e dei suoi insegnanti. Il discredito generale sulle istituzioni scolastiche ha lasciato man mano il posto a una rappresentazione maggiormente realistica, fatta di lezioni in diretta (che i genitori hanno potuto osservare e ascoltare insieme ai figli), di interazioni didattiche ed emotive tra i propri figli e le insegnanti, di lavoro nell’ombra fatto di correzioni, preparazione di materiali, attuazione di pratiche didattiche innovative, creative e costruite su misura per i propri alunni. Siamo quindi in presenza di un ripensamento della scuola e sulla scuola.
Secondo le narrazioni delle insegnanti, a tratti anche eccessive su questo punto e amplificate dalla congiuntura pandemica, dopo molto tempo la scuola starebbe tornando al centro e le verrebbe riconosciuto un ruolo sociale indispensabile: non soltanto infatti è in capo ad essa lo svolgimento di programmi didattici e la verifica degli apprendimenti, ma su di essa ricadono attività che includono competenze, relazioni, interazioni, capacità di motivare, risorse emotive. La scuola sta diventando, ai tempi del Covid-19, il luogo simbolico della normalità di un’intera generazione di studenti, la maggior parte dei genitori la vede oggi con occhi nuovi. Mutano l’interazione tra genitori e insegnanti, si attribuisce un valore nuovo a quelle otto ore quotidiane nelle aule scolastiche («È la prima volta da quando insegno, e non è poco tempo, che davvero tutti i genitori si rivolgono a noi insegnanti con rispetto e fiducia, capiscono finalmente il nostro lavoro, il nostro ruolo e quanto facciamo ogni giorno per e con i loro bambini», da focus group con insegnanti della scuola Ortensia).
La nuova immagine della scuola non è soltanto un restyling momentaneo ed effimero, bensì è l’epifenomeno {p. 286}di risorse che già sono da sempre al suo interno: dirigenti scolastici che coordinano gruppi di lavoro, animatori digitali che incentivano gli apprendimenti delle tecnologie, insegnanti che si aggiornano. Che queste qualità stiano finalmente venendo alla luce e vengano riconosciute è un dato di fatto e questo processo rappresenta una delle forme con cui si ricostruisce il senso della comunità a cui si appartiene, se ne scopre il valore e l’indispensabilità. La nuova reputazione della scuola offre una nuova cornice di senso alle famiglie e ai bambini, innesca meccanismi positivi perché aiuta a rimodulare il tempo domestico, a scandire i giorni feriali dai festivi, a imporre regole sull’uso del tempo, a riconoscere ruoli e responsabilità internamente ed esternamente alla famiglia.
Tuttavia non è possibile descrivere l’intero mondo della scuola in modo lusinghiero: anche su questo punto le eterogeneità sono massime, tra parti del paese e tra istituti. Le attivazioni per rispondere all’emergenza sono state molto diverse, hanno avuto tempi di reazione diversi: accanto a scuole pronte ve ne sono state altre che sono rimaste spiazzate, inerti; alcune di queste hanno saputo svegliarsi dal torpore e attivare risorse talora anche impensate tra i loro insegnanti, altre invece sono ancora inerziali e con questo corrono il rischio, individuale, di compromettere apprendimenti e relazioni con i propri alunni; nonché di dare nuova forza a quella retorica della scuola che non funziona e non sa cogliere le sfide del suo tempo.
Un evento spiazzante di portata planetaria come l’emergenza Covid-19 ha ricadute a diversi livelli.
È un evento emergenziale che mette sotto gli occhi dei cittadini le disuguaglianze, che le enfatizza: mostra quanto siano diverse le scuole tra loro, quanto lo siano gli insegnanti, quanto lo siano le famiglie. E mostra anche quanto la portata equitativa della scuola, che da sempre è tra gli obiettivi dei sistemi formativi ed educativi, sia fragile e facilmente attaccabile da eventi esogeni.
Un evento del tutto estraneo ai sistemi educativi ha messo sotto scacco anche la principale agenzia di socia{p. 287}lizzazione insieme alla famiglia: ne ha mostrato i limiti sul piano organizzativo, ha evidenziato le lacune nelle dotazioni infrastrutturali, ha mostrato l’inadeguatezza degli investimenti in formazione degli insegnanti e del Piano nazionale per la scuola digitale. La regia centrale è stata modesta, e le attivazioni locali lasciate alle iniziative dei singoli.
Una cosa ha funzionato nella scuola: la valorizzazione delle sue risorse umane migliori. Chi tra gli insegnanti ha lavorato in direzione dell’alleanza educativa ha avuto un vantaggio con le famiglie, chi ha mantenuto un costante aggiornamento su metodi, pratiche e innovazioni nella didattica ha saputo fronteggiare l’imprevedibile. E lo ha fatto con esiti apprezzabili sia per gli apprendimenti e le relazioni con i bambini, sia per le interazioni con le loro famiglie.
Gli insegnanti resilienti hanno scoperto una nuova professionalità, e sono stati al contempo incubatori e acceleratori di una nuova modalità didattica ed educativa. Hanno saputo trasferire anche a distanza molto di più dei contenuti curricolari e sono diventati punti di riferimento essenziali per famiglie e bambini disorientati dall’emergenza prima e dai nuovi ruoli che si trovavano costretti ad assumere poi.

8. Nuove competenze per una nuova scuola?

Le cinque competenze già osservate nei docenti attraverso la survey e le osservazioni d’aula sono state oggetto di ulteriore indagine attraverso le interviste di gruppo.
Alcune di esse hanno mostrato interessanti punti di intersezione e di rafforzamento reciproco, altre hanno mostrato evidenti segnali di sfilacciamento.
L’aspetto organizzativo si è rivelato cruciale in tempi di emergenza sanitaria. In questo specifico frangente infatti gli aspetti organizzativi si sono declinati a tre livelli: in primo luogo si sono strutturati a livello centrale, ossia nella cabina di regia presieduta dal dirigente scolastico (a sua volta in collegamento con l’Ufficio scolastico regionale e provinciale). In questa sede si è trattato di pianificare la didattica in tempi di distanziamento sociale. Hanno fatto parte di questa
{p. 288}cabina di regia quindi sia le figure strumentali di ogni singolo plesso, sia i tecnici su cui grava il compito di predisporre piattaforme, procedure e accessi per la didattica a distanza. Sono stati oggetto di organizzazione e riorganizzazione sia gli aspetti informatici della didattica a distanza, sia i contenuti delle lezioni rispetto ai piani curricolari, sia il planning settimanale riguardante le ore di collegamento per singola classe. Quindi questo primo livello ha riguardato le linee guida generali all’interno di ogni singola scuola, in relazione alle sue caratteristiche, dotazioni strumentali e tecniche, nonché caratteristiche dell’utenza e del corpo docente.
Note