Andrea M. Maccarini (a cura di)
L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c8
Ben prima dell’emergenza le finalità della scuola erano state più e più volte ribadite: trasmissione di saperi curricolari, educazione, relazione. La parte strettamente didattica della scuola occupa una porzione del tempo pieno. Sia nella veicolazione dei contenuti didattici (sempre meno trasmissiva
{p. 278}e sempre più interattiva) sia nella vita di classe, i bambini apprendono competenze e regole, imparano a stare insieme e a gestire le loro differenze, sperimentano esperienze.
La giornata a scuola include infatti attività laboratoriali, gite, visite esterne, momenti di gioco e ricreazione, attività di gruppo. Queste attività sono di vitale importanza in generale, ma lo sono tanto più come strumenti ulteriormente equitativi: i bambini di classi sociali svantaggiate fruiscono del cinema unicamente con la scuola, visitano un’altra città soltanto con la propria classe, entrano in biblioteca soltanto con i propri insegnanti.
La perdita della routine scolastica accentua quindi le disuguaglianze e produce uno svantaggio educativo che è ben più che curricolare. La scuola a distanza crea un vuoto di conoscenze per alcuni, questo è indubbio; ma crea anche una perdita di competenze, siano esse già presenti nei bambini o in sviluppo o consolidamento. Questo aspetto evidenzia bene quanto le differenze culturali, specie delle famiglie, in alleanza o in compensazione rispetto alla scuola e da parte della scuola, abbiano un peso anche rispetto alle risposte educative nel senso più ampio del termine in una situazione di emergenza. Non lavorare più in gruppo disabitua alla cooperazione, non essere sottoposti a verifiche sugli apprendimenti indebolisce la capacità organizzativa e la resistenza allo stress; la mancanza per molti alunni di stimoli all’interno della sfera familiare produce un allentamento della creatività, dell’energia, della fantasia («io alcuni bambini li vedo davvero male, mi sembra che siano regrediti in modo impressionante... avevano bisogno della scuola per cose molto più importanti del programma... ci sono situazioni che non si possono neanche immaginare nelle case, alla fine vengono piazzati 12 ore davanti alla TV», da focus con insegnante della scuola Primula). Anche per i bambini che appartengono a famiglie attrezzate culturalmente la distanza fisica dalla scuola crea un arretramento delle loro capacità e competenze («con il passare delle settimane, ogni volta che mi collego, io sti bambini li vedo davvero male... sono apatici, insofferenti, distratti... e i genitori non per forza perché sono laureati sono capaci di seguirli, o peggio non {p. 279}ne hanno proprio voglia, stanno emergendo le criticità e i limiti delle relazioni familiari», da focus con insegnante della scuola Gelsomino). Questo rallentamento del processo di crescita e sviluppo cognitivo, relazionale ed esperienziale dei bambini mette ulteriormente sotto accusa il sistema scuola-famiglia e la sua incapacità di lavorare in modo cooperativo. Quanta parte di questa incapacità vada imputata alle famiglie, quanta alla scuola e quanta alle relazioni pregresse tra le due agenzie di socializzazione è difficile a dirsi, ma certamente l’incapacità di dare significato e rimodulare comportamenti e aspettative sembra essere maggiormente a carico delle famiglie, che per troppo tempo hanno delegato alla scuola compiti e attività. Di questo aspetto si parlerà ulteriormente nel paragrafo successivo. L’intervento delle insegnanti è, ancora di più per queste ragioni, ugualmente rivolto alla componente curricolare e al mantenimento delle competenze acquisite. Ove possibile si incoraggia il lavoro a gruppi a distanza, si favoriscono situazioni di tutorato tra pari (un compagno più bravo è tutor di un compagno più debole) con il duplice obiettivo di responsabilizzare i bambini e di spingerli a costruire relazioni significative con i pari, anche al di fuori dell’ambito degli amici più stretti. Si veicola in tal modo anche il valore della solidarietà e si tenta di rafforzare in loro l’idea che la classe sia una comunità in cui il contributo di ogni membro è indispensabile per la sopravvivenza di tutti. Tuttavia anche su questo versante la capacità delle insegnanti è estremamente variabile: sono esse stesse spesso in difficoltà a mettere in campo azioni e pratiche educative in grado di contenere gli effetti negativi della crisi legata alla pandemia. Anche rispetto a gruppi di alunni maggiormente svantaggiati e che necessitano di un intervento educativo più forte e maggiormente costate, soprattutto per quanto riguarda le competenze socio-emotive, le insegnanti mostrano differenti capacità di intervento e diversi livelli di attenzione per tali situazioni.
Un elemento emerso dall’interazione con le insegnanti è di particolare interesse: la competenza che i bambini riescono, anche in condizioni avverse, a conservare, è la loro creatività. Anche i compiti vengono svolti ricorrendo {p. 280}alla fantasia, il disegno è il vettore principale, ma lo sono anche i diari, i giochi inventati dai bambini, le filastrocche. Esiste quindi una forte capacità di resilienza infantile, una capacità di adattamento dei bambini e risorse, forse inaspettate, di riflessione sulla realtà e sulla situazione che stanno sperimentando. Questo almeno accade con la maggior parte dei bambini, specie quando insegnanti e genitori danno loro spazio per l’espressione della loro fantasia, ma anche in questo caso se le condizioni iniziali dei bambini sono di svantaggio estremo, questa situazione si ripercuote fortemente sulle loro capacità di resilienza.
Infine, un aspetto che irrompe inatteso in questo scenario è quello della socializzazione normativa: i bambini che a scuola si opponevano alle regole, le trasgredivano o le subivano, ora nella domesticità le domandano, ne sentono il bisogno, e cercano di riprodurle. Le insegnanti mostrano esse stesse sorpresa per questa autonormatività. Le norme non sono soltanto un obbligo da rispettare, costituiscono uno strumento di normalizzazione della quotidianità, sono l’espediente attraverso il quale i bambini riescono a gestire le proprie giornate, dare senso alle attività che svolgono, inserirsi in una scansione di orari, ritmi, scadenze. Soprattutto i bambini degli ultimi anni della primaria hanno profondamente acquisito le regole che governano la quotidianità scolastica, sia negli apprendimenti, sia nei momenti di gioco. Molti di loro riescono ad autolimitarsi nell’uso dei giochi elettronici, si dedicano spontaneamente allo studio, hanno scoperto il piacere della lettura, cantano le canzoni che hanno imparato in classe. Questi elementi ci portano a ipotizzare che, seppur privati di spazi e tempi regolati dagli adulti, i bambini trovino il modo per riproporre, reinterpretandola, quella stessa regolazione.

6. Una nuova alleanza educativa?

Uno degli elementi ricorrenti quando si parla di scuola è quello della relazione con le famiglie. Poco fa abbiamo accennato come anche questa dimensione sia stata rimessa {p. 281}in gioco, problematicamente, dalla situazione della didattica a distanza.
In termini generali, prima della pandemia, tale relazione era andata trasformandosi in due direzioni principali: da una parte si è attuata una crescente delega da parte della famiglia alla scuola, non soltanto sul mandato strettamente curricolare ma educativo e regolativo nel senso più ampio. D’altro canto, la scuola è stata messa sotto scacco dalla famiglia: contestata, sfidata, criticata per i suoi metodi, le sue risorse educative, le sue (in)capacità di dare formazione e risposte; continuamente criticata per non essere all’altezza delle sfide educative, in ritardo con i programmi, non abbastanza performante. Da entrambi gli elementi è derivata una frattura netta della sempre citata e mai di fatto realizzata alleanza educativa.
Per altro verso, per dirla con Furedi [2016], possiamo vedere la scuola fortemente in crisi, attraversata da tendenze per certi versi paradossali: basse aspettative nei confronti dei ragazzi, la tendenza a infantilizzarli attraverso una forte psicologizzazione del rapporto educativo e un continuo maternage, la centratura costante sulle loro motivazioni, il declino dell’autorità degli adulti minano ciò a cui l’istruzione dovrebbe mirare, cioè la formazione di persone autonome, critiche, capaci di una propria visione del mondo. Al tempo stesso, la scuola sembra essere pensata in maniera sempre più funzionale all’economia e al lavoro. Si dovrebbe allora – sempre secondo Furedi – portare una costante riflessione, in sostanza, sull’individuazione delle condizioni dell’educazione e dell’educabilità nelle specifiche condizioni attuali, cogliendone gli aspetti problematici ma anche quelli innovativi. A tal proposito, quale può essere allora una modalità positiva per ripensare la relazione tra genitori e istituzione scolastica? Alcuni studi [Corradini 1993] affermano che il rapporto fra istituzione scolastica e genitori può strutturarsi positivamente sulla base della condivisione di due aspetti principali. Il primo aspetto è che migliorando lo stile educativo dei genitori si creano le condizioni ottimali perché migliorino anche i figli nei loro apprendimenti e nel successo scolastico. Il secondo aspetto {p. 282}è che quanto più mature e fluide diventeranno le relazioni tra scuola e famiglia, tanto maggiore vantaggio ne ricaverà la scuola stessa nello sviluppo dei suoi obiettivi educativi e formativi. Vi è una corposa quantità di studi e meta-analisi nella letteratura educativa che hanno evidenziato i benefici associati al coinvolgimento dei genitori. Esso è considerato sia un fattore chiave per migliorare i risultati scolastici degli studenti, sia una strada per ridurre il divario tra i risultati scolastici degli studenti di classi sociali diverse. Altri benefici possono racchiudersi in un range che va da una maggiore autostima da parte degli alunni a una maggiore motivazione all’apprendimento, dallo sviluppo di migliori abilità sociali e di autoregolamentazione a minori difficoltà comportamentali [Changkakoti e Akkari 2008; Deslandes 2009; 2010]. Nel corso degli anni, tali ricerche hanno anche identificato i fattori che influenzano la quantità di coinvolgimento dei genitori, tra cui le caratteristiche dei genitori e delle famiglie (livello di istruzione, dimensioni e struttura della famiglia, etnia), le caratteristiche dei bambini (età, rendimento scolastico, sensibilità all’influenza della famiglia) e le caratteristiche e le pratiche degli insegnanti e delle scuole (valori, formazione). Questi possono essere fattori di rischio o di protezione. Ad esempio, la cura della formazione degli insegnanti su come lavorare con i genitori può essere vista come un fattore di protezione se, in seguito, si utilizzano strategie efficaci per promuovere il coinvolgimento dei genitori [Deslandes, Fournier e Morin 2008]. Ovviamente, il coinvolgimento dei genitori favorisce la collaborazione scuola-famiglia e viceversa. Alla scuola e ai suoi insegnanti è stato invece richiesto – nella rappresentazione delle insegnanti stesse – di sostituirsi ai genitori, cioè di educare in modo esclusivo i bambini – per esempio spiegando loro le regole e il significato delle regole. Tale attività educativa e regolativa non riguarda soltanto le attività didattiche (a titolo esemplificativo: fare i compiti entro la consegna, rispettare le scadenze, alzare la mano prima di parlare, ecc.), ma più in generale tutta la quotidianità scolastica (rispettare la fila per andare in bagno, rispettare i turni di parola, mangiare seduti e composti in mensa, usare le formule di cortesia nell’interazione, chiedere
{p. 283}scusa se si è stati maleducati o scortesi, stare in silenzio nei corridoi, rimanere in gruppo e aspettare le indicazioni della maestra per attraversare la strada, ecc.). Gran parte di queste regole si trasferiscono poi anche nell’ambiente domestico, ma spesso secondo le maestre non vi è né cooperazione da parte delle famiglie rispetto a questo mandato educativo, né un intervento di rinforzo di quanto appreso a scuola. In questo caso quindi la scuola assumerebbe su di sé per intero il compito educativo.
Note