Federico Batini (a cura di)
La lettura ad alta voce condivisa
DOI: 10.1401/9788815410238/c4

Capitolo quarto Letture oltre il genere: lettura per tutt*
di Giordana Szpunar

Notizie Autori
Giordana Szpunar è professoressa associata di Pedagogia generale e sociale nel Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione della Sapienza. È presidente del Corso di studi in Scienze della formazione primaria e insegna Pedagogia interculturale nei Corsi di studio pedagogici. I suoi principali temi di ricerca riguardano l’educazione alla differenza in una prospettiva inclusiva, la riduzione del pregiudizio nei contesti educativi, la formazione di abiti riflessivi per la democrazia.
Abstract
L’invenzione della lettura, che risale a qualche migliaio di anni fa, ha determinato una riorganizzazione del cervello che ha comportato, a sua volta, l’evoluzione intellettuale della specie fino allo stato attuale. Tale evoluzione è stata possibile solo grazie alla capacità del cervello umano di modellarsi in base all’esperienza e, di conseguenza, di combinare collegamenti nuovi tra strutture preesistenti. La scelta di ciò che si legge, infatti, influenza in buona misura la costruzione dell’identità delle bambine e dei bambini. Si pensi, ad esempio, all’identità di genere. Il processo di strutturazione dell’identità di genere è il risultato complesso dell’interazione tra fattori biologici, cognitivi e socio-culturali. Le bambine e i bambini mostrano, fin dalla primissima infanzia, un interesse attivo a conoscere e ad apprendere le categorie sociali e a comprendere il modo in cui utilizzarle per poter acquisire un posto nel sistema di categorizzazione usato dal proprio gruppo sociale. processi narrativi integrano tipi di pensiero diversi: coinvolgono processi di rispecchiamento, di comprensione emotiva, di attivazione empatica e processi lineari che utilizzando il linguaggio creano una rappresentazione e un’interpretazione ordinata e causale. Una comprensione narrativa può dirsi efficace in presenza di una coordinazione tra diversi punti di vista interpretativi e tra diversi processi cognitivi, automatici e riflessivi, lenti e veloci, che integri le attività dei due emisferi e utilizzi le specifiche risorse provenienti dai racconti già esistenti. Chi legge, dunque, è chiamato a mediare la conversazione in modo tale da garantire e potenziare le caratteristiche precipue di una comunità di ricerca. Se la lettura scelta è accessibile e la mediazione del lettore è attenta, la comunità di ricerca che si crea in un’attività di lettura ad alta voce è un organismo di per sé democratico e inclusivo, perché tutti e tutte possono partecipare alla condivisione dell’esperienza collettiva a partire dalla propria.

1. Non siamo nati per leggere, ma siamo quello che leggiamo

Non siamo nati per leggere. Su questo aspetto la ricerca e la letteratura presentano, ormai, dati incontrovertibili. L’invenzione della lettura, che risale a qualche migliaio di anni fa, ha determinato una riorganizzazione del cervello che ha comportato, a sua volta, l’evoluzione intellettuale della specie fino allo stato attuale. Tale evoluzione è stata possibile solo grazie alla capacità del cervello umano di modellarsi in base all’esperienza e, di conseguenza, di combinare collegamenti nuovi tra strutture preesistenti. Una plasticità che è alla base di gran parte di ciò che siamo e di ciò che possiamo diventare [Wolf 2007]. In particolare, il processo di apprendimento della lettura, grazie al meccanismo del «riciclaggio neuronale», riutilizza una serie di aree cerebrali inizialmente dedicate alla visione e alla lingua parlata. Quando si impara a leggere, il cervello si organizza in modo che le regioni visive riconoscano le sequenze di lettere e le indirizzino verso le aree del linguaggio: le parole lette sono trattate come le parole pronunciate. Non ci sono geni specifici che ci mettono nella condizione di saper leggere. Dunque, il bambino e la bambina, per acquisire la capacità di riciclare le funzioni destinate alla visione e al linguaggio e imparare a leggere, devono ripercorrere tutto il processo che ha portato la nostra specie a riorganizzare i circuiti neuronali del cervello in funzione della lettura. E per far questo, devono beneficiare di un ambiente e di condizioni particolarmente favorevoli. L’infanzia è un periodo dello sviluppo particolarmente efficace per imparare a leggere perché la corteccia visiva, evolutasi per imparare {p. 124}a riconoscere le immagini e ad adattarsi alla loro forma, è ancora molto flessibile: basta esporla alle parole scritte per permetterle di adattarsi e riciclarsi in vista dell’attività di lettura. Man mano che si cresce, automatizzare il riconoscimento delle lettere e delle loro combinazioni diventa sempre più difficile perché la corteccia visiva cessa gradualmente di modificarsi. Imparare a leggere da adulti comporta, invece, tempi più lunghi perché il processo è molto più lento e la stessa modalità di lettura tende a rimanere, nel tempo, quella di un principiante [Dehaene 2019].
Nonostante non siamo nati per leggere, la ricerca in ambito biologico, psicologico, neuroscientifico, filosofico converge nell’affermare che il cervello dell’essere umano è caratterizzato da una struttura narrativa. Una persona adulta esperisce e comprende la propria vita come una raccolta più o meno integrata di storie, una narrazione [Gallagher 2011]. L’io di una persona è la molteplicità delle storie che racconta di sé e della propria vita e, dunque, non può essere nettamente separato dalla propria autointerpretazione e dai processi di immaginazione richiesti per esplorare e dare forma alla rete di storie che viene narrata [Zahavi 2006]. La questione su cui ci si sta interrogando negli ultimi anni è quale impatto possono avere le narrazioni esterne di natura sociale, anche di tipo finzionale, sul sé narrativo [Consoli 2018]. Le ricerche mostrano che la narrazione finzionale influenza le credenze riferite al mondo reale [Marsh, Meade e Roediger 2003] e le credenze relative al sé [Djikic et al. 2009], modifica gli atteggiamenti e i comportamenti prosociali [Bal e Veltkamp 2013; Johnson 2012], facilita l’attivazione dell’empatia cognitiva e della capacità di comprendere l’altro [Kidd e Castano 2013], promuove la riduzione del pregiudizio [Vezzali et al. 2015].
La narrazione ha, inoltre, una relazione privilegiata con il linguaggio. E il linguaggio «costituisce una vera e propria metamorfosi del pensiero» [Smorti 2018, 322]. È proprio il linguaggio, infatti, che ci consente di contraddistinguere, selezionare e precisare significati specifici e individuali, ma anche di raggrupparli nei loro rapporti reciproci.
Il potere delle parole consiste dunque, nella loro capa{p. 125}cità di rinviare agli oggetti e alle esperienze che consentono di comprenderle, vale a dire, nella loro capacità di tenere insieme significante e significato. Le parole sono potenti, plasmano e motivano il nostro comportamento. In questo senso possiamo affermare che il linguaggio è magico [Chambers 2020]. La lingua, oltre a permetterci di comunicare con gli altri, ci consente di definirci e di descrivere il mondo. Da un lato, le parole sono atti di identità ed esprimono le caratteristiche che ci contraddistinguono come persone nella nostra individualità e come parte di gruppi sociali diversi. Dall’altro, ci consentono di descrivere la realtà mettendone in luce aspetti diversi e quindi restituendone interpretazioni differenti (si pensi, ad esempio, ai sinonimi). Allo stesso tempo, le parole condizionano il modo stesso in cui vediamo la realtà. In questo senso, la competenza nel padroneggiare le parole e la lingua rende libere e liberi, poiché ci permette di partecipare pienamente e in modo soddisfacente alla società della comunicazione [Gheno 2019] e di dar voce alle nostre fantasie, alle nostre emozioni, ai nostri pensieri, alle nostre esperienze passate, presenti e future. E, dunque, torniamo all’importanza delle narrazioni: «la lingua è il dio che ci crea», perché la usiamo per costruire le storie che rappresentano le nostre idee su chi siamo e su cosa possiamo diventare. Allora non è sufficiente avere un’esperienza per cambiare e per formarsi, ma è necessario narrarla, raccontare la storia di quell’esperienza. Finché non diamo forma alla nostra vita in un racconto strutturato, non possiamo comprendere il significato delle esperienze che abbiamo vissuto. La narrazione è uno strumento fondamentale di comprensione e di interpretazione del mondo e la letteratura ci permette di esplorare e ricreare i significati dell’esperienza umana, nella sua complessità, singolarità e diversità: siamo ciò che leggiamo [Chambers 2020].
Rispetto alla lettura individuale, la lettura ad alta voce condivisa possiede una caratteristica fondamentale: la relazione con il lettore e con il gruppo sociale degli ascoltatori e delle ascoltatrici. Nella lettura ad alta voce le ascoltatrici e gli ascoltatori sviluppano un senso di appartenenza a una comunità: una comunità che partecipa a un’esperienza col{p. 126}lettiva, che condivide esperienze immaginarie, che negozia significati comuni.
Il processo di comprensione del mondo, dunque, è strettamente legato alla narrazione e la lettura ad alta voce condivisa rappresenta uno degli strumenti più potenti per promuoverlo: nella dimensione della narrazione e nelle attività di lettura ad alta voce il bambino e la bambina imparano a connettere esperienze, a prevedere conseguenze, a fare deduzioni, a rendersi conto di una mancata comprensione, a riconoscere che ogni nuova scoperta può sovvertire la conoscenza acquisita [Wolf 2007]. E questo processo è fortemente supportato dalla mediazione dei riferimenti adulti (insegnanti, genitori), che promuove la produzione di domande e accompagna la co-costruzione delle risposte, e dal confronto con i pari, che apre alla possibilità di appropriarsi di molteplici interpretazioni e punti di vista diversi per leggere e rileggere la realtà e il sé.

2. Il lettore che sceglie: da un grande potere derivano grandi responsabilità

La letteratura sul tema ci dice chiaramente che, nell’organizzare un’attività di lettura ad alta voce, è necessario che il lettore non si improvvisi, ma presti particolare attenzione a una serie di elementi fondamentali. L’attività di lettura deve essere progettata con grande accuratezza: il lettore deve fare in modo che ogni ascoltatrice e ogni ascoltatore facciano esperienza della «zona di lettura», vale a dire di quella particolare condizione psicofisica che ogni persona può sperimentare quando si immerge completamente in un libro [Atwell e Atwell Merkel 2016].
È importante la cura di alcuni elementi di contesto che favoriscano una lettura piacevole, serena, rilassata. In particolare, è necessario predisporre uno spazio comodo, accogliente e sicuro e prevedere l’uso di un tempo sufficiente, che permetta agli ascoltatori e alle ascoltatrici di immergersi nella «condizione di auralità» rappresentata dallo spazio particolare che si produce in un gruppo esposto alla {p. 127}lettura ad alta voce e che consenta anche di prospettare una continuità, un ritmo, una regolarità dell’attività. Anche la scelta di cosa leggere richiede una particolare attenzione. Una delle questioni più importanti riguarda l’aspetto della progressività: le letture iniziali devono rispondere ai bisogni immediati e agli interessi degli ascoltatori e delle ascoltatrici, devono essere accessibili dal punto di vista linguistico e proporzionate alle capacità di attenzione, per garantire che lo spazio di lettura sia inclusivo, per poi diventare gradualmente sfidanti, tanto da garantire una crescita costante [Cardarello 2004; Chambers 1993; Batini 2022].
La possibilità di scegliere cosa leggere rappresenta, inoltre, un grande potere perché, come si è detto, cosa leggiamo stimola, orienta, forma, trasforma chi ascolta. E questo potere porta con sé grandi responsabilità, soprattutto quando si lavora in contesti popolati da ascoltatrici e ascoltatori giovani e molto giovani, per esempio nei contesti scolastici. La scelta di ciò che si legge, infatti, influenza in buona misura la costruzione dell’identità delle bambine e dei bambini. Si pensi, ad esempio, all’identità di genere. Il processo di strutturazione dell’identità di genere è il risultato complesso dell’interazione tra fattori biologici, cognitivi e socio-culturali [Ruble, Martin e Berenbaum 2006; Blakemore, Berenbaum e Liben 2009].
Secondo la ricerca che valorizza gli aspetti socio-culturali, la costruzione e la strutturazione dell’identità di genere è da ascrivere principalmente alle numerose influenze presenti nel contesto sociale: la famiglia e il gruppo degli adulti di riferimento (parenti, insegnanti ecc.) che rappresentano modelli di ruolo, esibiscono aspettative, attivano atteggiamenti incoraggianti o scoraggianti [Fagot, Rodgers e Leinbach 2000]; il gruppo dei pari che attraverso la segregazione di genere produce «culture separate» [Maccoby 1998]; i giocattoli, i media (libri, televisione, videogiochi, internet), il linguaggio che veicolano in modo esplicito o implicito messaggi stereotipici [Kinder 1999; Signorielli 2001]. Tale considerazione incrocia la spiegazione dello sviluppo dell’identità di genere da una prospettiva cognitiva: i processi cognitivi individuali, e sostanzialmente impliciti e inconsapevoli, di
{p. 128}categorizzazione organizzano lo sviluppo dell’identità di genere, poiché influenzano in modo decisivo le aspettative e i ricordi delle bambine e dei bambini, il modo in cui elaborano i loro giudizi sociali e il modo in cui si comportano [Bussey e Bandura 1999]. Le categorie sociali vengono poi via via sviluppate da bambine e bambini attraverso, appunto, i modelli adulti e i media.