Giorgia Pavani, Stefania Profeti, Claudia Tubertini
Le città collaborative ed eco-sostenibili
DOI: 10.1401/9788815410221/c3

Capitolo terzo Gli strumenti di policy per collaborare

Abstract
Gli strumenti di policy non sono altro che i mezzi e le tecniche che i decisori mettono in campo per risolvere – almeno in parte – un problema pubblico, ovvero una questione ritenuta di rilevanza collettiva; sono, in altre parole, ciò che consente loro di stabilire un ponte tra un’aspirazione e la sua realizzazione, di tradurre in azioni concrete le loro ipotesi e strategie di intervento. In questa sezione proviamo appunto ad analizzare alcuni specifici casi di collaborazione tra amministrazione e cittadini che hanno interessato alcune città italiane nell’ultimo decennio, utilizzando la griglia illustrata sopra. La scelta dei casi presi in considerazione ha seguito un duplice criterio: da un lato, ci si è concentrati su esperienze che si sono sviluppate in ambiti diversi dalle politiche di welfare, ovvero al di fuori di un terreno già abbondantemente dissodato per quanto riguarda le pratiche di collaborazione e le relazioni tra pubblica amministrazione e terzo settore. Il Comune di Capannori è stata la prima comunità non solo in Italia, ma anche in Europa, ad aderire alla Zero Waste International Alliance, con apposita delibera comunale emanata nel 2007. Obiettivo della strategia Zero Waste è quello di andare oltre la logica del semplice riciclo dei materiali derivanti dalla raccolta differenziata, puntando a una riduzione a monte della produzione dei rifiuti grazie a iniziative volte a finalizzare il riuso delle materie scartate, in un’ottica di economia circolare. Nel 2019 Bologna è stata tra le prime città italiane ad approvare, con formale delibera del consiglio comunale, la dichiarazione di emergenza climatica ed ecologica che impegna l’amministrazione a una transizione verso l’azzeramento, o quantomeno il contenimento, dell’impatto sul clima delle attività portate avanti sul suolo urbano. In quasi tutti i casi esaminati, la strumentazione per promuovere e far funzionare la collaborazione tra amministrazione e cittadini sperimenta aggiustamenti incrementali nel corso del tempo, volti prima di tutto ad affinare la cassetta degli attrezzi disponibili e, nella maggior parte dei casi, anche a istituzionalizzare le sperimentazioni avviate, ampliandone gli ambiti di utilizzo e talvolta incorporandole nell’ordinario policy making dell’amministrazione cittadina.

1. Introduzione

Nella letteratura di analisi delle politiche pubbliche la collaborazione tra amministrazione e cittadini – al pari del fenomeno più generale della co-produzione [1]
– è generalmente trattata alla stregua di uno strumento di policy che fa parte della cassetta degli attrezzi a cui i governi possono attingere per realizzare le proprie politiche [2]
. Gli strumenti di policy non sono altro che i mezzi e le tecniche che i decisori mettono in campo per risolvere – almeno in parte – un problema pubblico, ovvero una questione ritenuta di rilevanza collettiva; {p. 114}sono, in altre parole, ciò che consente loro di stabilire un ponte tra un’aspirazione e la sua realizzazione [3]
, di tradurre in azioni concrete le loro ipotesi e strategie di intervento.
Come è stato osservato, specie nell’epoca attuale in cui l’azione dei governi e delle pubbliche amministrazioni si è progressivamente allontanata dal modello burocratico tradizionale di stampo weberiano [4]
, «la strumentazione delle politiche non può essere ricondotta solo alle sue dimensioni giuridiche ed economiche, per quanto certamente rilevanti» [5]
.
Da un lato, i mezzi e le tecniche utilizzabili dai governi per trovare una soluzione ai problemi pubblici e per indurre il comportamento desiderato dei destinatari delle politiche non si riducono agli strumenti di tipo regolatorio/autoritativo tipici della gerarchia: numerose ricerche nell’ambito delle politiche pubbliche hanno infatti messo in luce l’esistenza di una vastissima gamma di policy tools, classificabili in base al tipo di risorse a disposizione dei decision makers (non solo autoritative, ma anche organizzative, finanziarie, informative), al grado variabile di coercizione messo in atto, o agli assunti comportamentali sulla base dei quali gli strumenti vengono scelti – e cioè le aspettative rispetto ai meccanismi che possono far scattare le reazioni della platea target (non solo autorità, ma anche incentivi, interventi di capacitazione, esortazioni e simboli, così come iniziative finalizzate all’apprendimento) [6]
.
Dall’altro lato, la scelta di uno strumento rispetto a un altro è un fenomeno intrinsecamente politico e non può essere {p. 115}ridotta ad una mera operazione tecnica guidata dalla logica dell’efficienza, avendo a che fare con altri fattori contingenti e di contesto, come la fattibilità (tecnica e politica) [7]
e la legittimità percepita delle soluzioni proposte [8]
. Inoltre, in prospettiva diacronica, nuovi strumenti possono aggiungersi a quelli precedentemente adottati, che a loro volta possono essere ricalibrati nel tempo [9]
.
La natura composita dei mix di strumenti e la loro mutevolezza nel tempo richiedono quindi di prestare attenzione alla loro coerenza interna, oltre che al loro allineamento con l’obiettivo che intendono perseguire [10]
. In questo capitolo analizzeremo la collaborazione tra amministrazione e cittadini attraverso la lente degli strumenti di policy. Non solo, infatti, le pratiche collaborative possono essere interpretate come un insieme articolato di policy tools caratterizzati da una matrice comune di scopi e principi (il coinvolgimento diretto di cittadini e organizzazioni terze nel policy making, la volontarietà della partecipazione, l’innovazione nelle modalità di interazione, l’enfasi verso la condivisione), ma esse possono anche essere opportunamente distinte, e classificate, a seconda del tipo di strumenti che le istituzioni mettono in campo per realizzarle. In altre parole, l’approccio che proponiamo in questa sede affianca la prospettiva – prevalente in letteratura – che si concentra sulle diverse declinazioni che la collaborazione con i cittadini può assumere nelle città con una riflessione sui differenti mezzi e sulle diverse tecniche (e quindi strumenti) che possono essere impiegati dalle amministrazioni locali per far sì che la collaborazione si realizzi, a seconda del contesto e delle finalità ad essa associate.{p. 116}

2. Gli strumenti per governare la collaborazione [11]

Partendo dallo stato dell’arte delle prospettive analitiche e giuridiche relative alla collaborazione tra amministrazione e cittadini, così come delineate nei capitoli precedenti, in questo capitolo avanziamo una proposta classificatoria allo scopo di elaborare un framework teorico/analitico che permetta una comparazione sistematica degli strumenti con cui gli enti locali possono promuovere forme di collaborazione con i cittadini nei vari contesti locali e nelle diverse fasi del processo di policy. La logica della classificazione, infatti, risulta fondamentale nelle operazioni di affinamento concettuale che preludono a qualsiasi tentativo di quantificazione o di misurazione di un determinato fenomeno, nonché alla comparazione nel tempo e nello spazio di fenomeni apparentemente etichettati nella medesima maniera ma forieri di implicazioni teoriche e sostantive del tutto differenti [12]
.
Come primo passo occorre dunque circoscrivere la gamma dei referenti empirici che a nostro avviso possono essere ricondotti al novero delle pratiche di collaborazione tra amministrazione e cittadini, differenziandosi da fenomeni contigui. In questo senso, ricomprendiamo nella nostra analisi quelle esperienze che a) vedono coinvolte istituzioni, cittadini – singoli o in gruppo – ed eventualmente altre organizzazioni operanti sul territorio; b) prevedono la partecipazione volontaria dei soggetti coinvolti; e c) sono contraddistinte da una finalità collettiva, ovvero un orientamento alla condivisione di beni e alla co-produzione di beni e servizi di pubblica utilità (e quindi non al mero scambio). Si escludono quindi sia le forme più strutturate di partenariato tra pubblico e privato, come le tradizionali sedi di concertazione tra amministrazione e interessi organizzati o le collaborazioni istituzionalizzate in forma societaria, sia il versante della c.d. gig economy, che prevede una mera transazione di denaro in cambio di accesso tra clienti e grandi imprese di piattaforma che offrono {p. 117}servizi individuali, sia infine gli scambi peer to peer che avvengono tra singoli individui senza un coinvolgimento – almeno diretto – delle amministrazioni pubbliche.
In secondo luogo, la classificazione qui proposta si basa su due dimensioni assai rilevanti per comprendere la natura delle pratiche di collaborazione e il ruolo in esse giocato dagli enti locali: da un lato, il tipo di strumenti messi in campo dalle amministrazioni per realizzare dette pratiche e, dall’altro, la fase dell’intervento pubblico in cui la collaborazione si verifica.
Riguardo al primo versante, facciamo riferimento al classico schema elaborato da Christopher Hood, meglio conosciuto sotto l’acronimo NATO, che distingue tra risorse di autorità (authority), risorse organizzative (organization), risorse finanziarie (treasure) e risorse informative (nodality) [13]
.
Chiaramente, a seconda del tipo di strumento utilizzato, il ruolo delle istituzioni pubbliche varierà in intensità e ampiezza: agire tramite l’utilizzo di strumenti regolatori, o attraverso l’azione di proprie risorse organizzative (umane o strutturali), implica infatti un impegno più diretto e immediato degli attori di governo; mentre l’utilizzo di incentivi o sussidi, o più ancora di informazioni volte a ottenere un comportamento desiderato, pur denotando una qualche intenzione di agire, si traduce in un coinvolgimento più soft e indiretto, che lascia maggiori margini di discrezionalità organizzativa e di azione nella mani dei destinatari.
Riguardo al «quando» si realizza la collaborazione, si è osservato come il coinvolgimento dei lay actors e di altri attori non pubblici possa riguardare non solo la fase di produzione/fornitura di servizi tout court, ma anche quelle precedenti del design e del management [14]
e la successiva fase di assessment [15]
.
{p. 118}
Note
[1] Il concetto di coproduzione ha cominciato a essere introdotto nel lessico della pubblica amministrazione grazie ai primi lavori di Elinor Ostrom tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, venendo inizialmente definito come «coinvolgimento dei cittadini, dei clienti e dei consumatori, dei volontari e/o delle organizzazioni comunitarie nella produzione dei servizi pubblici» oltre che nel loro utilizzo (J. Alford, A public management road less travelled: Clients as co-producers of public services, in «Australian Journal of Public Administration», n. 4/1998, p. 128). La coproduzione come strumento per la fornitura di beni e servizi pubblici ha guadagnato terreno negli ultimi due decenni, sulla scia delle critiche diffuse ai limiti del New Public Management e al parallelo affermarsi della prospettiva della New Public Governance, così come in risposta all’incedere della crisi economica globale e alle conseguenti restrizioni di finanza pubblica che hanno interessato in maniera crescente i governi locali. Sul punto si veda L. Cataldi, Coproduzione: uno strumento di riforma in tempi di austerity?, in «Rivista Italiana di Politiche Pubbliche», n. 1/2015, pp. 59-86.
[2] Cfr. T.A. Scott e C.W. Thomas, Unpacking the Collaborative Toolbox: Why and When Do Public Managers Choose Collaborative Governance Strategies?, in «Studies Journal», n. 1/2017, pp. 191-214; M. Howlett, A. Kekez e O. Poocharoen, Understanding Co-Production as a Policy Tool: Integrating New Public Governance and Comparative Policy Theory, in «Journal of Comparative Policy Analysis: Research and Practice», n. 5/2017, pp. 487-501.
[3] C. Hood, The tools of government, London, MacMillan, 1983.
[4] Per una riflessione sulle trasformazioni delle logiche di funzionamento delle pubbliche amministrazioni negli ultimi decenni, si rinvia a C. Pollitt e G. Bouckaert, Public Management Reform. A Comparative Analysis - Into the Age of Austerity, Oxford, Oxford University Press, 2017.
[5] G. Capano e A. Lippi, Gli strumenti di governo stanno cambiando? Aspetti teorici e problemi empirici, in «Rivista Italiana di Politiche Pubbliche», n. 2/2010, p. 10.
[6] Per una recente rassegna critica delle varie classificazioni degli strumenti di policy e dei loro usi, si rinvia a G. Capano e I. Engeli, Using Instrument Typologies in Comparative Research: Conceptual and Methodological Trade-Offs, in «Journal of Comparative Policy Analysis: Research and Practice», n. 2/2022, pp. 99-116.
[7] L. Salamon (a cura di), The Tools of Government. A Guide to New Governance, Oxford, Oxford University Press, 2002.
[8] G. Capano e A. Lippi, How policy instruments are chosen: Patterns of decision makers’ choices, in «Policy Sciences», n. 2/2017, pp. 269-293.
[9] G. Capano, Reconceptualizing layering. From mode of institutional change to mode of institutional design: Types and outputs, in «Public Administration», n. 3/2019, pp. 590-604.
[10] K.S. Rogge e K. Reichardt, Policy mixes for sustainability transitions: An extended concept and framework for analysis, in «Research Policy», n. 8/2016, pp. 1620-1635.
[11] Questo paragrafo rielabora e arricchisce la riflessione già proposta in S. Profeti e V. Tarditi, Le pratiche collaborative per la co-produzione di beni e servizi: quale ruolo per gli Enti locali?, in «Le Istituzioni del Federalismo», n. 4/2019, pp. 861-890.
[12] G. Sartori, Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali, Bologna, Il Mulino, 2011.
[13] Hood, The tools of government, cit.
[14] V. Pestoff e T. Brandsen, Public governance and the third sector: Opportunities for co-production and innovation?, in S.P. Osborne (a cura di), The New Public Governance: Emerging Perspectives on the Theory and Practice of Public Governance, London, Routledge, 2010, pp. 223-237; V. Pestoff, Towards a Paradigm of Democratic Participation: Citizen Participation and Co-Production of Personal Social Services in Sweden, in «Annals of Public and Cooperative Economics», n. 2/2009, pp. 197-224.
[15] T. Bovaird, Beyond Engagement and Participation: User and Community Coproduction of Public Services, in «Public Administration», n. 5/2007, pp. 846-860.