Giorgia Pavani, Stefania Profeti, Claudia Tubertini
Le città collaborative ed eco-sostenibili
DOI: 10.1401/9788815410221/c2

Capitolo secondo Gli strumenti del diritto

Abstract
Le pratiche di collaborazione civica (o amministrazione condivisa) rappresentano ormai da tempo un fenomeno oggetto di studio nel diritto, da sempre attento all’individuazione di modelli organizzativi nuovi e più adeguati al perseguimento di obiettivi di interesse generale da parte delle pubbliche amministrazioni. Una lettura del fenomeno collaborativo nella prospettiva del diritto pubblico non può che prendere le mosse dai suoi fondamenti costituzionali. Se dal fondamento costituzionale si passa all’analisi dei principi e diritti costituzionali alla cui attuazione può essere applicato il modello dell’amministrazione condivisa, è evidente che la sua portata sistemica ne permette un’utilizzazione nei moltissimi casi in cui le norme costituzionali individuano un interesse generale, alla cui cura – come si è detto – possono sempre concorrere, ed anzi devono essere sostenuti a concorrere, i cittadini. Partecipazione e collaborazione presentano senz’altro un nesso inscindibile, potendo considerarsi la seconda la naturale evoluzione della prima: entrambe si collocano all’interno di un metodo di governo fondato sulla costruzione condivisa della democrazia. Ad una partecipazione di natura collaborativa, in cui il coinvolgimento dei cittadini, singoli o associati, è destinato comunque a confluire in una decisione degli organi dell’ente, nella prassi dell’amministrazione locale si sono affiancate forme di partecipazione anche di tipo decisorio, in cui ai cittadini viene demandata la scelta sostanziale che conclude il processo decisionale. Certamente, nell’esperienza complessiva dell’amministrazione condivisa non si può trascurare il ruolo sinora svolto dalla legislazione regionale; la quale, pur in forme assai differenziate sia nei contenuti, che nel grado di evoluzione, ha da tempo preso atto dell’importanza di questo nuovo modello di amministrazione, intervenendo talora in ottica meramente promozionale, talaltra, anche in funzione di armonizzazione delle esperienze in atto e di interpretazione della cornice normativa nazionale; ed in questa seconda direzione, forse, è auspicabile che si sviluppi ulteriormente nel prossimo futuro.

1. Il modello dell’amministrazione condivisa nella prospettiva del diritto pubblico

Le pratiche di collaborazione civica (o amministrazione condivisa) rappresentano ormai da tempo un fenomeno oggetto di studio nel diritto, da sempre attento all’individuazione di modelli organizzativi nuovi e più adeguati al perseguimento di obiettivi di interesse generale da parte delle pubbliche amministrazioni. Si tratta di pratiche che superano il consueto approccio alla cura degli interessi generali fondato sull’intervento diretto dei pubblici poteri, e che si differenziano anche dagli altrettanto consolidati modelli della collaborazione pubblico-privata e dell’esternalizzazione di servizi e funzioni.
Nel paradigma dell’amministrazione condivisa, infatti, non solo si supera la ricostruzione conflittuale della relazione tra collettività ed amministrazione, ma si propone anche un’alternativa alla tradizionale lettura dell’utilitas quale motore dell’iniziativa privata. Seguendo questa linea, in giurisprudenza si è rilevato che
la iniziativa spontanea di cittadini, famiglie, associazioni e comunità nello svolgimento di attività aventi carattere tipico e riferibili esclusivamente a quei soggetti, nelle quali l’ente territoriale non ha alcun titolo per intervenire, ed alle quali può in vario modo concorrere, anche mediante l’erogazione di sovvenzioni, sulla base di una valutazione della necessità che il servizio o l’attività possano continuare a beneficio della collettività di riferimento (…) non ha nulla in comune con la prestazione di servizi d’interesse generale suscettibili di essere erogati in forma d’impresa, e resta pertanto estranea all’assunzione diretta o indiretta di tali servizi da parte degli enti pubblici [1]
.{p. 66}
Proprio queste peculiarità hanno offerto lo spunto per considerare l’amministrazione condivisa un «quarto modello di attività amministrativa», dopo quello dell’attività autoritativa, dell’attività consensuale e quella di diritto privato [2]
. Che si tratti di un modello nuovo e diverso [3]
di attuazione di obiettivi di interesse generale non elide la constatazione del suo carattere non sostitutivo, ma integrativo rispetto agli altri menzionati, senz’altro suscettibile di ulteriori potenzialità di applicazione e di maggior diffusione. Di qui l’utilità di fare il punto sul suo fondamento costituzionale, sugli elementi costitutivi e di individuarne lo spazio nell’attuale diritto positivo: uno spazio via via crescente, se non ancora una vera e propria edificazione legislativa, visto il percorso che resta da compiere per una sua piena assimilazione socio-culturale [4]
, ma che ha fatto perno su una formidabile prassi applicativa. Oggi, proprio grazie al recepimento nella legislazione e nella giurisprudenza, questa prassi aspira a trasformarsi da insieme puntiforme e spontaneo a vero e proprio modello sistemico di azione amministrativa.Un elemento distintivo delle pratiche collaborative su cui vi è ormai completo assenso è quello dell’attivazione spontanea dei cittadini (intesi in una accezione ampia ed omnicomprensiva), a cui si chiede di integrare le proprie risorse con quelle a disposizione dell’amministrazione abbandonano il tradizionale ruolo passivo di meri fruitori, per assumersi la diretta responsabilità nella soluzione di problemi di interesse generale [5]
.{p. 67}
La collaborazione civica diviene in tal modo uno strumento essenziale per l’incremento della coesione sociale tra individui e gruppi, capace di proiettare i suoi benefici effetti ben al di là del valore dell’attività prodotta e del momento emergenziale della crisi economica, divenendo pratica da sviluppare e sostenere in funzione della stessa promozione e sviluppo della comunità [6]
. Emerge così l’origine del secondo elemento distintivo dell’amministrazione condivisa, ovvero il ruolo di supporto interpretato dai pubblici poteri, una volta riconosciuta l’utilità sociale dell’attività, in funzione dell’interesse generale ed in assenza dell’elemento sinallagmatico che caratterizza altre forme di relazione pubblico-privata.
Vi è poi il terzo, fondamentale tratto distintivo, ovvero il legame non esclusivo, ma certamente privilegiato tra amministrazione condivisa ed autonomia locale: non a caso, essa ha avuto origine proprio in quelle aree – le città – dove maggiore è la conflittualità tra categorie sociali differenti, più evidenti le problematiche di convivenza civile, più urgenti le tematiche a sfondo ambientale [7]
. Proprio per sottolineare questo profilo è stato definito «metodo co-città» o «metodo della città collaborativa» quello che punta a favorire la transizione della città e delle loro articolazioni inframunicipali verso un ecosistema collaborativo urbano/metropolitano in cui la cura e rigenerazione della città, i bisogni delle persone e le prospettive dell’economia locale vengano affrontati, soddisfatti o coltivati facendo leva anche, se non soprattutto sulla collaborazione tra pubblico e comunità/collettività [8]
(v. {p. 68}cap. 1, § 2.2).
Che questo sia il primario compito del comune quale unità di base della nostra architettura istituzionale è acquisizione ormai radicata, come dimostra la tradizionale definizione dello stesso quale ente «che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo» (art. 3, c. 2, TUEL). Proprio l’esistenza di questa clausola di competenza generale del comune ha garantito la sua capacità sia di intercettare nuovi bisogni, sia di sperimentare nuovi modelli e strumenti giuridici, anticipando soluzioni poi recepite dal legislatore. Di qui, il binomio ormai indissolubile tra amministrazione condivisa e città, e la riconduzione delle pratiche di amministrazione condivisa all’interno del nuovo diritto delle città [9]
, inteso come l’insieme delle esperienze, delle azioni e degli strumenti che le istituzioni locali sono in grado di generare insieme a cittadini e soggetti del terzo settore, per produrre innovazione anche attraverso la creazione di valore sociale aggiuntivo [10]
. In questa prospettiva, la città viene intesa sia nella sua dimensione spaziale-geografica (luogo fisico caratterizzato da una particolare concentrazione demografica, che nel caso italiano, ricco di città diffuse, include vere e proprie metropoli ma anche centri di medio-grande dimensione) sia nella sua dimensione associativa (la comunità, comprensiva dei cittadini e degli attori economici e sociali che in essa operano) sia in quella istituzionale (gli enti di governo delle aree urbane, solitamente coincidenti con i comuni medi, le grandi città o con gli enti metropolitani).
È in questa prospettiva che, soprattutto, il diritto pubblico si è approcciato allo studio ed alla definizione dei confini giudici dell’amministrazione condivisa, in uno con lo sviluppo ed il successivo perfezionamento della teoria dei c.d. beni comuni. La prevalente declinazione concreta delle pratiche collaborative proprio alla cura, rigenerazione {p. 69}e gestione dei c.d. beni comuni urbani – nell’accezione ampia ed omnicomprensiva accolta nella prassi applicativa del fenomeno collaborativo [11]
– ha favorito l’individuazione di un legame quasi inscindibile tra la nozione di bene comune e quella di amministrazione condivisa. Da un lato, infatti, sono qualificati come comuni quei beni che possono essere funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali ed alla piena valorizzazione della persona; dall’altro, proprio attraverso le attività poste in essere dai cittadini tali beni riacquistano vitalità, diventano spazi della vita comune e fattori di sviluppo della persona umana.
È questo legame che ha fatto intravvedere nell’amministrazione condivisa, infine, lo strumento di elezione per la realizzazione di un modello di città eco-sostenibili, ovvero di città che riescono a coniugare sviluppo e tutela dell’ambiente urbano, garantendo il principio di sostenibilità economica e sociale attraverso la messa a frutto di tutte le proprie risorse, non solo materiali ma anche umane [12]
(v. cap. 1, § 2.3). Le potenzialità applicative che, come si è ricordato, sono insite nel modello dell’amministrazione condivisa inducono a ritenere che per la realizzazione di questi scopi possano essere utilizzate modalità diverse di collaborazione, ivi comprese quelle anche originariamente concepite e praticate per la realizzazione di altre finalità, ed eventualmente oggetto di normazione in settori e campi differenti della vita amministrativa. Se è vero, infatti, che le prassi collaborative, nate quasi sempre praeter legem, guadagnano legittimazione progressiva mano mano che il diritto positivo le riconosce e le disciplina, è altrettanto vero che la loro forza consiste proprio nella capacità di superare gli argini rigidi delle
{p. 70}normative consolidate, per potersi adattare alle concrete esigenze della comunità di riferimento [13]
. Di qui l’utilità di una rassegna degli strumenti giuridici a disposizione delle città collaborative ed eco-solidali, che, partendo dal dato di diritto positivo, tenti di coglierne le prospettive di utilizzo attuali e future.
Note
[1] Cass. Civile, Sez. I, sent. 15595 del 9 luglio 2014.
[2] V. Cerulli Irelli, L’amministrazione condivisa nel sistema del diritto amministrativo, in G. Arena e M. Bombardelli (a cura di), L’amministrazione condivisa, Napoli, Editoriale Scientifica, 2022, p. 24.
[3] Sottolinea questo profilo F. Giglioni, Forme e strumenti dell’amministrazione condivisa, in G. Arena e M. Bombardelli (a cura di), ibidem, pp. 67 ss.
[4] In questi termini, per es., S.S. Scoca, L’amministrazione condivisa nei servizi sociali: una complessa strada ancora da percorrere, in «Diritto dell’economia», n. 3/2021, p. 109.
[5] Sul tema risulta ancora essenziale F. Benvenuti, Il nuovo cittadino, Marsilio, Venezia, 1994; si veda anche S. Cassese, L’arena pubblica: nuovi paradigmi per lo Stato, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», n. 3/2001, pp. 601 ss.; ma la definizione del modello è attribuibile a G. Arena, Introduzione all’amministrazione condivisa, in «Studi parlamentari e di politica costituzionale», n. 3-4/1997, pp. 29 ss. e I cittadini attivi, una risorsa per l’interesse generale, in A. Bixio e G. Crifò (a cura di), Il giurista e il diritto, Milano, Franco Angeli, 2010.
[6] G. Arena, Democrazia, partecipazione ed amministrazione condivisa, in A. Valastro (a cura di), Le regole locali della democrazia partecipativa. Tendenze e prospettive dei regolamenti comunali, Napoli, Jovene, 2016, pp. 239 ss.
[7] Sulla collaborazione civica come fattore di giustizia sociale cfr. G. Arena e C. Iaione, L’età della condivisione: la collaborazione fra cittadini e amministrazione per i beni comuni, Roma, Carocci, 2015.
[8] C. Iaione, Le politiche pubbliche al tempo della sharing economy: nell’età della condivisione il paradigma del cambiamento è la collaborazione, in E. Polizzi e M. Bassoli (a cura di), Le politiche della condivisione, Milano, Giuffré, 2016, p. 44.
[9] Secondo la definizione utilizzata nell’ormai noto studio pubblicato da J.B. Auby, Droit de la ville, Paris, Lexisnexis, 2013.
[10] M. Cammelli, Governo delle città: profili istituzionali, in G. Dematteis (a cura di), Le grandi città italiane. Società e territori da ricomporre, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 361-362.
[11] Secondo la definizione del Regolamento del Comune di Bologna (prototipo di tutti i successivi regolamenti locali in materia) sono beni comuni urbani «i beni, materiali, immateriali e digitali, che i cittadini e l’amministrazione, anche attraverso procedure partecipative e deliberative, riconoscono essere funzionali al benessere individuale e collettivo, attivandosi di conseguenza nei loro confronti [...] per condividere con l’amministrazione la responsabilità della loro cura o rigenerazione, al fine di migliorarne la fruizione collettiva».
[12] In questa prospettiva, per es., C. Micciché, Beni comuni: risorse per lo sviluppo sostenibile, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018, p. 67.
[13] In questo senso anche Giglioni, Forme e strumenti dell’amministrazione condivisa, cit., p. 85.