Umberto Romagnoli
Contrattazione e partecipazione
DOI: 10.1401/9788815374950/c7

7. Partecipazione operaia e il problema del «doppio ruolo»

Del ruolo svolto dalla segreteria in contraddizione prevalente con le strutture d’autorità aziendale (in particolare, con la direzione del personale) e delle risultanze di tale contrasto sul piano delle relazioni industriali, si dirà ampiamente nella seconda parte del volume.
Le esigenze della trattazione consigliano, ora, di analizzare il comportamento dei rappresentanti del personale nei comitati consultivi in rapporto alla manifesta intenzione della controparte di impiegare la CM come strumento per allargare il processo in atto di razionalizzazione aziendale allo scopo di raggiungere più elevati traguardi di efficienza e di produttività.
Al riguardo, giova avvertire subito che, una volta imboccata con chiarezza questa strada, la politica aziendale della Bassetti ha rapidamente toccato il suo plafond. Infatti, nella misura in cui «la direzione usava la CM come modo tecnicamente più efficace per razionalizzare le proprie decisioni» [1]
 si inaspriva alla base il diffuso malessere derivante dal fatto che gli organi della CM, coinvolti nei compiti, nelle responsabilità e, almeno indirettamente, negli interessi della direzione, erano chiamati a sostenere un «doppio ruolo». Per contro, nella misura in cui l’orientamento democratico, anche solo implicito in questa politica aziendale, era rimesso in discussione da un apparato gerarchico tendenzialmente contrario alla CM, si percepì che, per ciò solo, esso poteva e doveva essere accentuato. La presa di coscienza dei due fenomeni non è simultanea, ma quando è pienamente raggiunta la CM subisce una svolta. Da quel momento, la{p. 84} componente sindacale della CM acquisterà finalmente una dimensione precisa.
Il problema del «doppio ruolo» ‒ comune alle consolidate esperienze inglesi, francesi e tedesche, in tema di comitati misti [2]
‒ si manifesta con maggiore evidenza non appena si decide che «la CM tocchi argomenti strettamente legati ai singoli ambienti di lavoro», costituendo «tanti sottocomitati quanti sono i luoghi dove sono dislocati sede e stabilimenti» [3]
. L’estensione della CM ai livelli inferiori accresce la possibilità effettiva di episodi frizionali, soprattutto perché la debole caratterizzazione politica dei nuovi organismi rende meno agevole la mediazione tra il compito di tutela degli interessi dei lavoratori e il compito collaborativo con l’imprenditore allorché la contestuale realizzazione dell’uno e dell’altro comporta l’adozione di provvedimenti «anche legittimi», ma «impopolari» [4]
e quindi crea per i rappresentanti del personale un «conflitto di lealtà». L’attribuzione di funzioni proprie di organo di seconda istanza al preesistente CA, relativamente ai problemi che non abbiano trovato «conveniente soluzione in sede locale» [5]
, è un accorgimento «procedurale» da cui ci si può forse attendere un alleggerimento della responsabilità dei SC, ma non è risolutivo. Un sovraccarico di lavoro non permetterebbe, infatti, al CA di svolgere quella «funzione politica» che i suoi componenti si ripromettono di esercitare «all’interno del discorso produttivistico» [6]
. A ben vedere, la{p. 85} direzione appare, fin dall’inizio, più propensa a negare che ad ammettere l’ambivalenza della posizione assunta dai rappresentanti del personale inseriti nei comitati di CM. Ma commette un errore di valutazione: «occorre guardarsi dal ritenere che i lavoratori possano essere indotti ad abbracciare la produttività come loro primo obiettivo da anteporre a quello “naturale” della difesa dei posti di lavoro..., se si vorrà evitare di agire a vuoto» [7]
. Non sarà, quindi, né potrà essere «una maggiore coscienza» a convincere i rappresentanti operai della «ragionevolezza di quello che è stato deciso» ed a «sentirsi impegnati ad appoggiarlo senza riserve», come crede la direzione [8]
.
Tuttavia, non è casuale che il direttore dello stabilimento di R., presidente del SC ivi istituito, ponga ‒ nel corso della seduta del 20 dicembre 1961 ‒ la questione «se il SC deve limitarsi solo a denunciare problemi o se, invece, deve insieme indicarne le soluzioni e controllarne l’applicazione». È ragionevole supporre, infatti, che egli non intendesse rimettere in discussione l’art. 4 dell’accordo siglato il 9 novembre 1959, là dove si stabilisce che «spetta ai SC vagliare le indicazioni e i problemi rilevati nei reparti e negli uffici (e) controllare (...) l’applicazione delle raccomandazioni scaturite dalla discussione». Più verosimilmente (e realisticamente), il presidente del SC intendeva accertare il margine di disponibilità della rappresentanza del personale all’attuazione degli impegni assunti contrattualmente, costringendola a «scoprirsi», a rimuovere cioè perplessità e reticenze di fronte alla propria responsabilità. Si può comprendere, quindi, la soddisfazione con cui il presidente del SC abbia preso atto dell’unanimità di vedute emersa dalla «vivace discussione» che ‒ come si legge nel verbale ‒ evidenziò «la consapevolezza che, qualora il SC avesse solo il compito di denuncia di problemi, le riunioni del SC diventerebbero sterili e la stessa politica della CM{p. 86} verrebbe svuotata di consistenza, di contenuto e di prospettive». Infatti, «una collaborazione puramente critica» non poteva interessare alla direzione [9]
: quest’ultima «è pronta a perdere una parte della propria libertà di decisione nella misura in cui la controparte (il personale) è in grado di dare un contributo concreto alla dinamica aziendale» [10]
.
Senonché, era illusorio pretendere che la riconfermata fedeltà allo «spirito» originario dei patti potesse risolvere, una volta per tutte, il problema del «doppio ruolo». Indebitamente trascurato, esso si è aggravato fino a diventare pressoché insolubile quando i comitati di CM hanno cominciato ad operare di fatto come organi di tutela dei lavoratori in concorrenza con la CI, benché la loro libertà di azione subisse un limite sconosciuto a quest’ultima, dato che «non si può ascoltare [in sede di CM] senza esprimere un parere e, anche se questo parere non si traduce in una adesione esplicita, esso “compromette” sempre in qualche modo coloro che lo esprimono» [11]
.
Note
[1] Intervento di Bassetti nella riunione con i sindacati del 6 set­tembre 1965.
[2] Si rinvia, per estesi riferimenti di carattere istituzionale, al docu­mentato volume di Leminsky, Der Arbeitnehmereinfluss in englischen und franzosischen Unternehmen. Ein Vergleich mit der deutschen Mit­bestimmung, Köln, 1965, e, per analisi critiche limitate ai profili del fenomeno che qui maggiormente interessano, agli acuti saggi di Ollier, in Atti delle Giornate di studio (4-6 ottobre 1965) organizzate dalla CECA sui Rapporti tra datori di lavoro e lavoratori sul piano azien­dale. Forme e funzioni (Lussemburgo, 1966, p. 185 ss.) e di Dahren­dorf, Politique syndacale et structure des entreprises en Allemagne, in Sociologie du travail, 1962, p. 159 ss.
[3] V. preambolo e art. 1 dell’accordo integrativo del 9 novembre 1959.
[4] Verbale della riunione del CA del 25 novembre 1958.
[5] Art. 4 dell’accordo 9 novembre 1959.
[6] Verbale della riunione del CA del 23 giugno 1961.
[7] Perlman, Ideologia e pratica dell’azione sindacale, trad. it., Fi­renze, 1956, p. 331 s.
[8] Verbale del CA del 7 gennaio 1960.
[9] Intervento del presidente del CA nella riunione del 25 no­vembre 1958.
[10] Intervento del presidente del CA nella riunione del 15 otto­bre 1959.
[11] Bloch Lainé, Pour une réforme, cit., p. 97.