Umberto Romagnoli
Contrattazione e partecipazione
DOI: 10.1401/9788815374950/c5

5. La consultazione mista come fattore del processo di razionalizzazione aziendale: l’estensione della «tecnostruttura»

Benché si presenti come un fatto di volontà individuale o, comunque, «di vertice», la CM non è estranea alla logica dell’azienda in cui essa è stata introdotta. Anzi, rappresenta il paradigma comportamentistico di attuazione della decisione di razionalizzare l’azienda ‒ che è, essa pure, un fatto «di vertice» ‒ e il comitato è la «cassa di risonanza» dei principi e criteri di giudizio che presiedono allo svolgimento della razionalizzazione. In sostanza, è il metodo istituzionalizzato per creare e conservare in vita «una forma di organicità culturale» fra tutti i quadri della gerarchia aziendale (come la logica della razionalizzazione impone) [1]
e, nel contempo, per estenderla alle maestranze, tradizionalmente assenti dalle scelte che scandiscono i tempi e segnano le finalità primarie dei processi di trasformazione generale dell’azienda. In altri termini, la CM è utilizzata per mettere al passo con le esigenze di rinnovamento sia il corpo della gerarchia aziendale, fino ai gradini più bassi, sia l’intera collettività aziendale: è un modo di condurre i cambiamenti e di farne oggetto di comunicazione a coloro che quei cambiamenti devono eseguire o subire, è la risposta data al «problema della “crescita in comune” della società aziendale», ovvero dell’azienda come gruppo sociale [2]
.
Uno scrittore assai famoso ha recentemente proposto di distinguere tra le società per azioni quelle in cui l’età, le dimensioni e la semplicità del funzionamento consentono che il potere sia detenuto da un singolo individuo (o da un gruppo ristretto di individui) e quelle in cui è subentrata, con funzioni di comando, la c.d. tecnostruttura: «io chiamerò le prime “società imprenditoriali” e le seconde “società mature”» [3]
.{p. 68}
L’esperienza in atto alla Bassetti rappresenta, nella storia di questa industria fondata nel 1830, una fase di passaggio dalla classica raffigurazione della funzione imprenditoriale in termini di duro e solitario individualismo battagliero a quella moderna che assegna alla «organizzazione» (intesa, in senso dinamico, come azione sistematica e coordinata di gruppi di persone in possesso di competenze specialistiche date e capaci di fornire e valutare gli elementi di giudizio occorrenti per effettuare le scelte gestionali) il potere di prendere decisioni conformi agli imperativi della tecnologia ed alle esigenze della gestione pianificata dell’impresa. Infatti, all’organizzazione della Bassetti ‒ non diversamente che all’organizzazione dell’impresa «matura» [4]
‒ «non è errato pensare come ad una gerarchia di commissioni», composte da persone impegnate nella raccolta, selezione, scambio o verifica delle informazioni ricavabili dai diversi settori d’esperienza.
Tra il 1958 e il 1960, si costituisce, al vertice dell’organizzazione, il comitato dei direttori.
«Che cosa è il comitato dei direttori? un tentativo di mettere, per la prima volta nell’esperienza annosa della Bassetti, le direzioni che oramai si erano costituite con una loro funzione a contatto anche orizzontalmente» [5]
.
A livello di base, devono operare, con analoga funzione, i comitati paritetici di CM: «all’utilità dell’informazione in sé e per sé bisogna credere come a una verità di fede»; «quando le persone sono abituate ad essere informate, le diffidenze cadono» [6]
. In questo contesto, il comitato non è altro che l’occasione istituzionale per mettere periodicamente a confronto pacifico idee ed{p. 69} opinioni sui fatti aziendali, inserendo «nella meccanica della informazione (reciproca) o della comunicazione, qualunque ne sia il contenuto» [7]
, una precisa funzione «quasi parlamentare» che caratterizza qualunque sede formale di discussioni preparatorie di comportamenti. In quanto tale, il comitato di CM ‒ per composizione e funzione all’interno delle strutture produttive ‒ riproduce, su scala ridotta, il modello sperimentale di un «sistema per cui» ‒ intesa l’azienda come «un organismo vivente nel quale tutti gli organi hanno funzioni complementari» ‒ «quello che succede in una parte è risentito in un’altra» [8]
. Fin quando i vari gruppi che costituiscono l’impresa sono tra loro scarsamente comunicanti, l’impresa non potrà realizzare una associazione integrata di persone cooperanti per un fine comune: l’obiettivo (largamente ispirato all’ideologia dell’impresa-istituzione) è indicato con grande chiarezza fin dall’inizio ed è perseguito con coerenza esemplare.
È ravvisabile, infatti, una sintonia oggettiva tra gli sviluppi del processo di riorganizzazione dell’azienda e l’evoluzione della politica della CM. Come ho già riferito [9]
, all’iniziale accentramento nel CA di compiti e responsabilità si sostituisce, nel 1959-60, un orientamento decentralizzatore. Non diversamente da quanto avviene sul versante organizzativo, ove la direzione stessa prende l’iniziativa di forzare i capi ad accettare nuove responsabilità decentrate, una volta esaurito il periodo in cui gli organi di staff di recente creazione hanno svuotato di contenuto l’àmbito tradizionale del potere dei capi. La tendenza centralizzatrice cessa, nell’un caso, allorché si ritiene che «la primitiva funzione di diffusione dei concetti produttivistici possa dirsi oramai assolta» [10]
; nell’altro, allorché l’adeguamento del livello culturale dei capi offre sufficienti garanzie che essi condividano i prin{p. 70}cipi su cui si fondava la serie di decisioni accentrate precedentemente adottate dal personale di staff [11]
.
Le operazioni descritte procedono in direzione parallela, e almeno in apparenza, reciprocamente indipendenti, ma non si tarda ad avvertire che la dinamica della CM rischia di arrestarsi qualora il metodo della consultazione non sia praticato all’interno della gerarchia aziendale: «estendete(lo) subito e il più possibile come metodo di lavoro (con i vostri dipendenti)», è l’«ordine» impartito dal Direttore generale ai suoi diretti collaboratori [12]
. In altri termini, i lavoratori devono diventare, sentirsi e essere considerati un’estensione della tecnostruttura.
Senonché, si fa in pari tempo strada l’opinione che, per quanto articolato sia il suo decentramento, la CM rischia altresì di incapsularsi nel guscio formale dei comitati e, a causa della persistente mancanza di un collegamento organico tra coloro che vi partecipano e le maestranze («tanto è vero che le informazioni non scendono, le ricerche di argomenti da portare in discussione non ci sono») [13]
prende consistenza il timore che la CM non riesca ad operare come correttivo alla «spersonalizzazione» del lavoro (e del rapporto di lavoro) la quale aumenta in proporzione diretta al tasso di progresso tecnico dell’azienda. Perciò, «potrà darsi che ... occorra portare la CM a livello di settore e di reparto» [14]
, come prevede del resto l’art. 12 dello statuto del CA approvato il 4 agosto 1958 che concede alla rappresentanza del personale la facoltà di «convocare assemblee di reparto». In linea con questa disposizione, si affermerà che, in conformità allo «spirito» e alla «sostanza» della CM, «una volta divenuta operante metodo di lavoro», «le decisioni verranno prese a livello di reparto» fra capi e maestranze [15]
, o dalle stesse maestranze{p. 71} e si valuteranno con particolare favore i risultati del primo esperimento condotto da un gruppo di lavoro «informale».
Nel 1961, i maestri tessitori dello stabilimento di R. ‒ imitati, nell’estate dell’anno successivo, dagli assistenti della sala telai bassi e medi [16]
‒ definiscono i criteri generali del proprio sistema di avvicendamento in turni, conciliando spontaneamente le esigenze personali con quelle aziendali, senza che del problema sia investito il comitato. Salutata come «una prima forma di autogoverno del personale» [17]
, questa esperienza giustifica la proposta di «trasferire dagli organi formali di CM ai diretti interessati la soluzione dei problemi» [18]
. La proposta non viene accettata per quello che è in quanto attuabile (estensione della CM ai livelli operativi), ma per quello che è indipendentemente dalla sua attuazione concreta, in quanto pone le premesse per arricchire di una dimensione nuova le strutture della CM. Infatti, nella misura in cui la CM cessa di essere una funzione «privilegiata» ed esclusiva di organi determinati per diventare una funzione del complesso aziendale, «il fatto del consultarsi» in sé considerato è complementare al «fatto di produrre o di vendere i prodotti». Perciò, la «funzione della consultazione», come quella commerciale o di produzione, deve tradursi in (e corrispondere ad) una categoria organizzativa identificabile nel quadro della organizzazione funzionale dell’azienda. La volontà di trasporre in termini di pura funzionalizzazione aziendale la CM affiora nel corso del dibattito che precede l’attribuzione di una «nuova fisionomia» alla segreteria dei comitati consultivi: non più semplice organo amministrativo di questi ultimi (che «provvede alle convocazioni, istruisce gli ordini del giorno, redige i verbali», come si limitava a disporre l’art. 10 del vecchio statuto), bensì organo suppletivo di una «direzione funzionale che risponda delle decisioni, delle soluzioni, delle rea
{p. 72}lizzazioni, dei problemi aventi attinenza alla CM in senso lato» [19]
. La segreteria, si dichiara, ha «l’impegno morale di rappresentare un fatto apolitico»: essa «rappresenta la CM» [20]
. D’ora in poi, nel linguaggio comune degli operatori ‒ a testimonianza della compiuta funzionalizzazione della CM ‒ questo particolare ufficio viene designato come «segreteria della CM».
Note
[1] Pizzorno, Comunità, cit., p. 128 s.
[2] Intervento di Bassetti nel CD dell’11 febbraio 1963.
[3] Galbraith, Il nuovo Stato, cit., p. 82 ss.
[4] Galbraith, Il nuovo Stato, cit., p. 57.
[5] Intervento di Bassetti nel congresso di Stresa del 1960.
[6] Intervento di Bassetti alla riunione del CA del 15 ottobre 1959.
[7] Intervento di Bassetti nel CD dell’11 febbraio 1963.
[8] Intervento di Bassetti nel CD dell’11 febbraio 1963.
[9] V. retro, n. 1.
[10] V. il preambolo dell’accordo 9 novembre 1959.
[11] Pizzorno, Comunità, cit., pp. 119-129.
[12] Verbale del CD del 10 dicembre 1962.
[13] Intervento di uno dei direttori della Bassetti nel CD del 10 dicembre 1962.
[14]14 Verbale del CA del 15 ottobre 1959.
[15] Verbale del CA del 20 dicembre 1960.
[16] Verbale del SC dello stabilimento di R. del 1° agosto 1962.
[17] Verbale del SC dello stabilimento di R. del 22 settembre 1961.
[18] Verbale del CA del 20 gennaio 1962.
[19] Verbale del CD dell’11 febbraio 1963.
[20] Verbale del CA del 9 marzo 1963.